A.C. 9-A ed abbinate
Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'esplosione del fenomeno migratorio ha riproposto in una nuova e inedita versione pressoché in tutti i Paesi dell'Europa continentale una situazione che era tipica dell'ordinamento feudale e cetuale pre-Rivoluzione francese. Persone che stabilmente convivono e lavorano nello stesso contesto materiale e sociale sono sottoposte a regimi giuridici differenziati, sono diverse di fronte alla legge e non godono degli stessi diritti.
Oggi la cittadinanza dei Paesi ricchi rappresenta, infatti, per molti aspetti un vero e proprio nuovo privilegio di status, è fattore di esclusione e di discriminazione anziché, come all'origine dello Stato nazionale, di inclusione e parificazione e ciò solleva un problema di ordine politico, sociale e anche costituzionale.
In conseguenza della mutata realtà sociale le norme che disciplinano l'acquisto e la perdita della cittadinanza si pongono in tensione con alcuni principi fondamentali dello Stato costituzionale contemporaneo, quali ad esempio il principio di uguaglianza nei suoi molteplici profili, a cominciare da quello dell'uguaglianza di fronte alla legge; il principio democratico, inteso come diritto di ogni essere umano di poter prendere parte alla definizione delle leggi che disciplinano la società in cui stabilmente vive e lavora e alle quali è dunque sottoposto, nonché il principio dell'universalità dei diritti fondamentali. Da questi principi discende, infatti, in tema di cittadinanza un principio che potrebbe essere così sintetizzato: tutti coloro che stabilmente vivono e lavorano in Italia e sono dunque sottoposti alla sovranità della Costituzione e delle leggi devono essere o poter diventare cittadini italiani.
Ad una concezione di tipo naturale o etnico della cittadinanza, che tende a individuare l'elemento qualificante dell'appartenenza al popolo in fattori oggettivi, che trascendono la volontà e che attengono prevalentemente al passato, come la lingua, la discendenza, la religione e la storia, occorrerebbe perciò sostituire, o perlomeno affiancare, una concezione della cittadinanza di tipo volontaristico o elettivo, che tende a individuare l'elemento qualificante e unificante, il popolo, al quale l'articolo 1 della Costituzione riconosce la sovranità, più che nel sangue e nella storia, nella comunanza di idee, intesa come adesione ai principi del pluralismo, dell'uguaglianza e della libertà, nella comunanza di speranza e, quindi, di futuro.
Ciò non significa che si debba affermare un diritto di tutti gli individui ad entrare in Italia o a diventare cittadini italiani, ma semplicemente che, se si è stati ammessi nel nostro territorio, secondo quanto prescrivono le norme costituzionali e di legge sul diritto di asilo e sul diritto di immigrazione e se la presenza sul territorio ha assunto i caratteri della stabilità e si proietta nel futuro, allora si è altresì titolari di un diritto a fare parte della comunità politica e statuale, in condizioni di uguaglianza.
In questa direzione muove la proposta di legge che stiamo discutendo e, in particolare, l'articolo che ci accingiamo a votare e la successiva disposizione transitoria, in virtù della quale, se i termini saranno rispettati, si eviteranno alcune irragionevoli discriminazioni.Approvando questo provvedimento consentiremo, infatti, al nostro ordinamento di compiere un primo importante passo nella giusta direzione di una nuova e più moderna disciplina della cittadinanza, incentrata sullo ius soli, se pur temperato, e sullo ius culturae.
Questo è un primo passo al quale dovranno, tuttavia, seguirne altri, capaci, da un lato, per quanto riguarda lo ius soli, di maggiormente valorizzare i profili connessi alla volontà e alla stabile presenza sul territorio e, dall'altro, per quanto riguarda lo ius culturae, maggiormente capaci di tutelare i legami familiari dei minori che hanno intrapreso e intraprenderanno un percorso formativo e culturale nel nostro Paese.