Presidente, colleghi, mi accingo ad illustrare le parti principali ed i contenuti più importanti del Documento di economia e finanza presentato dal Governo, Documento che risulta, al solito, articolato in tre sezioni: la prima è il Programma di stabilità, che contiene le informazioni richieste dai regolamenti dell'Unione europea, con specifico riferimento agli obiettivi di politica economica da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico; la seconda è l'analisi delle tendenze della finanza pubblica, principalmente basata sull'analisi del conto economico delle amministrazioni pubbliche dell'anno precedente; la terza è il Programma nazionale di riforma, che, in coerenza con il Programma di stabilità, contiene gli elementi e le informazioni previsti dai regolamenti dell'Unione europea e dalle specifiche linee guida per il Programma nazionale.
Il DEF che è alla nostra attenzione parte dall'esposizione dei risultati positivi registrati sul piano del quadro macroeconomico dall'economia italiana nel 2015 e traccia le previsioni per l'anno in corso e per il periodo 2017-2019. Nella prima sezione relativa al Programma di stabilità, il DEF evidenzia un fatto importante e, cioè, come nel 2015 il ritmo di crescita dell'economia mondiale e del commercio mondiale abbia mostrato un inatteso rallentamento rispetto al 2014, su cui ha pesato in maniera particolare la flessione e, in taluni casi, l'entrata in recessione di importanti economie emergenti, fatto che si è intensificato nella seconda metà dell'anno a seguito del perdurante declino del prezzo del petrolio e dell'inasprimento delle condizioni finanziarie. Negli ultimi mesi del 2015 si è, inoltre, registrata anche una perdita di slancio della crescita delle economie avanzate.
Come sottolineato anche dai principali organismi previsori internazionali, l'attività economica mondiale dovrebbe, comunque, continuare ad espandersi nel 2016, ma ad un ritmo che resta, tuttavia, moderato. Da un lato, il rischio di deflazione nelle economie avanzate, il protrarsi dei bassi prezzi del petrolio, l'incertezza sull'andamento dell'economia cinese, shock di origine non economica, come i conflitti geopolitici, il terrorismo e i flussi di rifugiati, potrebbero avere ricadute negative sull'attività economica mondiale. Dall'altro lato, tuttavia, proprio le basse quotazioni del greggio potrebbero stimolare la domanda interna dei Paesi importatori di petrolio per un periodo più prolungato e il pieno dispiegarsi di effetti espansivi delle politiche monetarie, al momento al di sotto delle attese, potrebbe avere un ruolo importante sul recupero della domanda mondiale.
Sulla base di queste considerazioni, il DEF evidenzia il ritorno alla crescita dell'economia italiana nel 2015, registrando un incremento del PIL pari allo 0,8 per cento che giunge dopo tre anni di contrazione del prodotto interno lordo, periodo nel quale è doveroso rammentare che il PIL è diminuito di 2,8 punti percentuali nel 2012, di 1,7 nel 2013 e di 0,3 nel 2014. Si tratta, in riferimento alla crescita registrata nel 2015, di un incremento del prodotto interno lordo sostanzialmente in linea con quanto previsto a settembre scorso nella Nota di aggiornamento al DEF, in cui si era indicato un più 0,9 per cento.
Il DEF sottolinea, inoltre, come sul risultato positivo del 2015 abbia inciso in maniera rilevante il recupero della domanda interna nelle sue due componenti dei consumi delle famiglie e delle pubbliche amministrazioni e degli investimenti fissi lordi.
Con riferimento alle esportazioni, seppure esse siano state penalizzate dall'indebolimento del ciclo internazionale, la loro dinamica si è mantenuta, anche nel corso del 2015, positiva e le esportazioni sono risultate supportate dalla competitività derivante dal deprezzamento dell'euro. Nel complesso, nonostante il rallentamento del commercio e della produzione industriale mondiali, il commercio con l'estero ha registrato in Italia, anche nel 2015, dati positivi, registrando un avanzo per il terzo anno consecutivo pari a circa 45,2 miliardi e risultando – dice il DEF – tra i più elevati dell'Unione europea dopo quello della Germania e quello dei Paesi Bassi.
Per quanto riguarda il 2016, le stime prevedono una crescita dell'1,2 per cento, in ribasso rispetto a quanto previsto nella Nota di aggiornamento di settembre. La stima di minor crescita deriva soprattutto dalle già ricordate sopraggiunte difficoltà del contesto internazionale ed europeo. Per gli anni successivi si prevede una crescita tendenziale – di nuovo stiamo parlando del prodotto interno lordo –, che si mantiene stabile al medesimo livello di quest'anno, vale a dire attorno all'1,2 per cento fino al 2018, per salire, poi, all'1,3 per cento nel 2019, ponendosi per tutto il periodo al di sotto delle previsioni programmatiche elaborate a settembre scorso nella Nota di aggiornamento del precedente Documento di economia e finanza.
Il clima di incertezza che caratterizza l'economia mondiale dovrebbe riflettersi ancora sull'andamento delle esportazioni, determinandone un rallentamento, con una crescita moderata 1,6 per cento nell'anno in corso, per ritornare ad una crescita media del 3,6 per cento nel periodo successivo. Nel medio termine, inoltre, il complesso delle misure espansive ulteriormente implementate dalla BCE dovrebbe favorire una ripartenza del credito al settore privato, alimentando la crescita economica e l'espansione dei consumi e degli investimenti, nonché una graduale risalita dell'inflazione al consumo verso l'Obiettivo di medio termine, anche in considerazione del venir meno della spinta deflattiva fornita dal comportamento del prezzo dei beni energetici.
Per quel che riguarda il mercato del lavoro, dopo i risultati positivi del 2015, che confermano un'evoluzione favorevole, che già si era manifestata nel corso del 2014, dopo un periodo negativo che datava, invece, dal 2009, le previsioni tendenziali riportate nel DEF mantengono una variazione positiva dell'occupazione per tutto il periodo di previsione, che si estende – lo ricordiamo – fino al 2019. È un andamento positivo che si riflette sugli indicatori occupazionali, con un tasso di disoccupazione che dovrebbe calare fino a 9,9 punti percentuali dagli 11,9 del 2015, ed un tasso di occupazione che dovrebbe anch'esso registrare un andamento positivo, con un incremento di 1,8 punti percentuali, da 56,3 a 58,1 punti percentuali.
Tali andamenti sono in linea con i dati espressi dai principali previsori internazionali. In particolare il dato sul tasso di disoccupazione 2016, previsto nel DEF all'11,4 per cento, si riscontra anche nelle previsioni della Commissione europea e nelle previsioni di aprile del Fondo monetario internazionale, che conferma la stima del 10,9 per cento prevista dal DEF per il 2017.
Nello scenario economico programmatico, quello cioè che si determinerebbe a seguito dell'attuazione degli obiettivi programmatici del Governo, la crescita del PIL sopravanzerebbe quella esposta nello scenario tendenziale che si è ora illustrata di circa 0,2 punti percentuali nel 2017, 0,3 nel 2018, 0,1 nel 2019, risultando quindi pari, rispettivamente, all'1,4, 1,5 e 1,4 per cento. Tale risultato assume un profilo temporale lievemente diverso sul piano del PIL nominale, sulla cui evoluzione incide la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, che rappresentano nel 2017 circa 0,9 punti di PIL e la cui disattivazione, impedendo la traslazione dei previsti aumenti di IVA, accise e prezzi, determinerebbe nel quadro programmatico un più basso deflattore dei consumi e del PIL.
Passando al quadro di finanza pubblica, si deve notare che, analogamente a quanto si è prima illustrato con riguardo al quadro macroeconomico, il 2015 mostra risultati positivi. Il deficit rispetto al PIL è sceso dal 3 per cento del 2014 al 2,6 per cento. In linea con le previsioni, in valori assoluti, si è attestato sotto i 43 miliardi di euro. Da un confronto, che è doveroso fare, tra il 2015 e il 2014 emerge che al miglioramento del saldo hanno principalmente concorso la voce degli interessi passivi, che si sono ridotti, quella delle spese correnti, che hanno avuto una riduzione per 4,6 miliardi, nonché un incremento sul versante delle entrate, sia delle entrate tributarie che dei contributi sociali. Queste variazioni, positive per i saldi di finanza pubblica, sono state compensate solo parzialmente da un incremento delle prestazioni sociali e delle spese in conto capitale.
L'avanzo primario, che aveva raggiunto l'1,9 per cento del PIL nel 2013 ed è sceso all'1,6 per cento nel 2014, è rimasto costante su questa soglia nel 2015, mentre la spesa per interessi ha continuato ad avere una tendenza alla riduzione, attestandosi al 4,2 per cento del PIL rispetto al 4,6 per cento del 2014 e al 4,8 per cento del 2013. Importante, dato che si parla di saldo della finanza pubblica, è evidenziare la stabilizzazione delle spese finali della pubblica amministrazione e anche una positiva ricomposizione delle sue componenti. Positivi sono gli andamenti della spesa corrente primaria, che si è ridotta in maniera apprezzabile. Si è avuto, invece, dopo molti anni, un ritorno alla crescita, sia come incidenza rispetto al PIL sia in valore assoluto, della spesa di parte capitale.
La pressione fiscale è risultata in lieve diminuzione, di 0,1 punti percentuali, se non si tiene conto del bonus 80 euro. Vi è una più netta diminuzione, di 0,6 punti percentuali, se, invece, si tiene conto di questo intervento risalente al 2014 e poi stabilizzato con la successiva legge di stabilita.
Il miglioramento del saldo di indebitamento è previsto proseguire anche nel 2016, con una discesa al 2,3 per cento. Rispetto al 2015, nel 2016 si determina, quindi, una riduzione dello 0,3 per cento in termini di PIL, dovuta al miglioramento di entrambe le componenti di questo saldo, cioè sia del saldo primario che della spesa per interessi. Per gli anni successivi si stima una riduzione progressiva dell'indebitamento netto, sia in valore assoluto sia in rapporto al PIL, fino a raggiungere, nell'esercizio 2019, un saldo positivo, accreditamento netto, come di seguito esposto: nel 2017 indebitamento netto all'1,4 per cento del PIL; nel 2018 0,3 per cento del PIL; nel 2019 avanzo di 0,4 per cento rispetto al PIL. In base al DEF, questo percorso di miglioramento di saldo è determinato sia dalla spesa per interessi sia dal saldo primario.
Analizzando, in particolare, le entrate, per esse il DEF stima, per tutto il periodo di previsione, un andamento crescente, in valore assoluto, delle entrate finali, da 789 miliardi di euro nel 2016 a 856 miliardi di euro nel 2019. È previsto anche un incremento delle entrate tributarie per 2,4 miliardi di euro nel 2016, attribuibile all'effetto del miglioramento delle principali variabili macroeconomiche rispetto a quelle del 2015.
Va sottolineato come nel DEF si precisi che nell'ambito del gettito tributario si osserva una ricomposizione in favore delle imposte indirette, la cui incidenza sul PIL cresce dal 14,7 per cento nel 2016 al 15,5 per cento nel 2019, mentre la quota delle imposte dirette sul PIL mostra una riduzione dal 14,7 per cento al 14 per cento. Le previsioni concernenti la pressione fiscale evidenziano una riduzione negli anni 2016 e 2017 e un incremento al 42,9 per cento negli anni 2018 e 2019.
In ordine alle spese, il DEF stima, per il periodo di previsione, un andamento crescente, in valore assoluto, delle spese finali, che passano da 828,7 milioni a 848,9 milioni di euro. In termini di PIL, tuttavia, l'incidenza di queste spese mostra una riduzione importante, di 1,2 punti percentuali, dal 49,6 per cento nel 2016 al 48,4 per cento nel 2017.
La spesa corrente primaria è caratterizzata da variazioni annue positive. Con riguardo ai diversi aggregati di spesa, per i redditi da lavoro dipendente si preveda una moderata crescita delle retribuzioni per l'anno 2016 e una riduzione delle medesime nel 2017 e nel 2018. Per quanto riguarda i consumi intermedi, si prevede un contenimento nel 2016, seguito da una crescita dell'1 per cento nel 2017 e da una sostanziale stabilità dell'aggregato nel 2018. L'andamento di tale voce si mantiene, comunque, al di sotto della dinamica del PIL nominale, evidenziando conseguentemente un'incidenza sul prodotto che si riduce fino al 7,5 per cento nel 2019. Per quanto riguarda la spesa per prestazioni sociali in denaro, è stimata in aumento per l'intero periodo previsionale. Dopo un incremento del 2,1 per cento del 2016 rispetto al 2015, la dinamica si dimostra più contenuta nel 2017, dando luogo ad una variazione percentuale annua dell'1,6 per cento. Le previsioni tendenziali mostrano, infine, un andamento complessivamente decrescente della spesa in conto capitale, non solo in termini percentuali, ma anche in valore assoluto. A fine periodo l'aggregato si attesta su un valore pari a 59,6 miliardi di euro, inferiore di circa 0,8 miliardi di euro rispetto al valore previsto per il 2016. L'andamento descritto viene confermato dalla dinamica della spesa in termini di PIL, che dal 3,6 per cento del 2016 scende al 3,3 per cento a fine periodo.
Passando allo scenario programmatico, il Governo replica la strategia già adottata nel 2015 riguardo al percorso di miglioramento sopra illustrato. Il Governo intende destinare parte delle risorse derivanti dai risultati di bilancio, come evidenziate nel quadro tendenziale, al sostegno della crescita. Come precisato espressamente nella premessa al documento, il Governo ritiene inopportuno e controproducente adottare un'intonazione più restrittiva della politica di bilancio, ciò sia per i contenuti concreti rischi di deflazione e stagnazione riconducibili al contesto internazionale, sia per gli effetti negativi di manovre eccessivamente restrittive, che possono finire per peggiorare, anziché migliorare, il rapporto tra debito e PIL. Viene, pertanto, mantenuto il percorso di riduzione del deficit di bilancio, ma con un profilo discendente attenuato rispetto a quello tendenziale rispetto al quale l'indebitamento netto risulta superiore agli 0,4 punti percentuali di PIL nel 2017, di 0,6 punti nel 2018, attestandosi, rispettivamente, a 1,8 e a 0,9 punti percentuali.
Nel 2019 si mantiene l'obiettivo del passaggio ad un saldo positivo ma dello 0,1 per cento di PIL, anziché dello 0,4 come previsto nel tendenziale. L'aumento del deficit comporta il prodursi di una intonazione moderatamente espansiva della politica di bilancio allo scopo di sostenere una ripresa che, come abbiamo già ricordato, è meno brillante del previsto. Un elemento centrale del percorso programmatico è costituito dalla disapplicazione delle clausole di salvaguardia, al cui riguardo l'intendimento del Governo è attuare nella prossima legge di stabilità una manovra alternativa alle clausole, la cui parziale compensazione, per il resto operata nell'ambito dei nuovi spazi programmatici di manovra, sarà composta da un insieme articolato di interventi di revisione della spesa pubblica, ivi incluse le spese fiscali e da strumenti che accrescano la fedeltà fiscale e riducano i margini di evasione e di elusione. L'intonazione meno restrittiva della politica di bilancio esposta nel quadro programmatico comporta la necessità di posporre il conseguimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio in termini strutturali – medium term objective – di un anno dal 2018 al 2019, anno in cui il deficit strutturale si attesta, come detto, allo 0,2 per cento, quindi in sostanziale pareggio. Pertanto, unitamente al Documento di economia e finanza, è stata trasmessa dal Governo alle Camere anche la relazione prescritta dall'articolo 6 della legge di attuazione del pareggio di bilancio n. 243 del 2012.
Venendo infine al debito, una ulteriore crescita nel 2015 ne ha portato il livello al 132,7 per cento del PIL. Dal 2016 si prevede avviarsi la fase di discesa del rapporto debito pubblico-PIL con una prima riduzione di 0,3 punti percentuali. Tale discesa continua anche nel 2017 e nel 2018 ed si prevede che porti il debito pubblico al 123,5 per cento nel 2019.
Venendo al programma nazionale di riforma che è il terzo ed ultimo elemento del DEF, nel quadro del programma di stabilità ed in linea con il consolidamento e la sostenibilità delle finanze pubbliche sono tracciati gli interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi programmatici del Governo in materia di crescita, di sviluppo ed occupazione anche in coerenza con i target delineati dalla strategia Europa 2020. Il PNR 2016 rivisita gli obiettivi del precedente anno facendo riferimento anche alle raccomandazioni del luglio 2015 del Consiglio dell'Unione europea e tenendo altresì conto sia dell'analisi annuale della crescita 2016 nonché della relazione per Paese relativa all'Italia 2016, documento di lavoro dei servizi della Commissione nell'ambito delle procedure sugli squilibri macroeconomici. Come precisato espressamente nel PNR, la strategia di riforme strutturali deve essere accompagnata e sostenuta da una politica di responsabilità fiscale che, attraverso la riduzione del carico delle imposte, permetta di sostenere la spesa di imprese e famiglie, rafforzare la crescita in una fase di notevole incertezza economica a livello internazionale e continuare nello sforzo di consolidamento della finanza pubblica e di riduzione del debito. In tale quadro gli ambiti principali riscontrabili nel PNR concernono in particolare la competitività, le riforme istituzionali, la pubblica amministrazione, la giustizia, la finanza per la crescita, la concorrenza, il lavoro, l'istruzione e la ricerca, la riduzione degli squilibri territoriali, la lotta alla povertà, l'imposizione fiscale, le infrastrutture, gli interventi sul piano della finanza pubblica tra i quali l'ottimizzazione dell'attività di revisione della spesa, la riforma del bilancio dello Stato sulla base della legge n. 243 del 2012 di attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio e la continuazione del programma di privatizzazione di società partecipate e di dismissione delle proprietà immobiliari.
Per quanto concerne le principali politiche di interesse della Commissione Bilancio si ritiene di approfondire in particolare la revisione della spesa, le privatizzazioni e le politiche di coesione. Facendo un breve riferimento alla spending review, il Documento prevede risparmi associati a interventi di razionalizzazione della spesa in termini di indebitamento netto che riguardano tutti i livelli di Governo e risultano quantificati in 3,6 miliardi di euro nel 2014, 18 miliardi nel 2015, 25 miliardi nel 2016, 27,6 miliardi nel 17 e 28,7 miliardi nel 2018. Risultano essenziali ai fini della riqualificazione della spesa, anche accanto alla riduzione del numero di centri di spesa e all’e-procurement, forme di razionalizzazione della spesa in tecnologia che impatta sui costi di gestione, investimenti per la semplificazione dei processi, innovazione strategica a lungo termine. A tal fine, secondo il DEF, andranno messe in atto ulteriori misure di rafforzamento oltre a quelle già previste dalla legge di stabilità 2016 e si dovrà dare impulso in particolare all'azione di Consip. Per quanto riguarda gli enti territoriali, i costi e i fabbisogni standard introdotti, come è noto, dal decreto legislativo n. 216 del 2010 nell'ambito dell'attuazione della delega sul federalismo fiscale, di cui alla legge n. 42 del 2009, rimangono il cardine per individuare i parametri a cui ancorare il finanziamento delle spese fondamentali degli enti medesimi al fine di assicurare anche nella finanza decentrata un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica. La disciplina contabile degli enti territoriali delineata dagli articoli 9 e 12 della legge n. 243 del 2012 attuativa del principio del pareggio di bilancio costituisce inoltre l'oggetto di un recente disegno di legge approvato dal Governo che introduce modifiche alla legge n. 243 medesima al fine di adeguare i vincoli di finanza pubblica di regioni ed enti locali alla riforma di contabilità degli stessi. Venendo poi alla questione delle privatizzazioni, alla quale si fa espresso riferimento anche nella raccomandazione 1 della Commissione, rientra nell'ambito delle misure volte alla sostenibilità delle finanze pubbliche con particolare intervento alle politiche volte alla riduzione del debito. Nel percorso di riduzione del debito esposto nel quadro programmatico del DEF nel quadriennio 2016-2019, questo è previsto decrescere di quasi nove punti, come ricordato dal 132,7 al 123,8 per cento del 2019, con un concorso significativo dei proventi da privatizzazioni pari, coerentemente con quanto previsto nel PNR, allo 0,5 per cento del PIL nel 2016, 2017, 2018 e allo 0,3 per cento nel 2019. I risultati del 2015 in termini di debito hanno beneficiato di proventi da privatizzazioni per circa 6,6 miliardi di euro pari allo 0,4 per cento del PIL. Quanto alle dismissioni immobiliari il DEF ricorda che è in corso un piano di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico volto anch'esso, unitamente alle privatizzazioni societarie, al reperimento di risorse a riduzione del debito. Tale piano coinvolge diversi attori istituzionali, dall'Agenzia del demanio all'Invimit SGR, dalla Cassa depositi e prestiti agli enti pubblici proprietari degli immobili. Si ricorda, infine, che nel corso del 2015 è proseguito il processo di trasferimento del patrimonio immobiliare pubblico statale agli enti territoriali previsto dal federalismo demaniale.
Per quel che concerne le politiche di coesione che sono, come è risaputo, volte al superamento degli squilibri economici e sociali tra le diverse aree del Paese, si segnala espressamente la necessità di assicurare la piena operatività dell'Agenzia per la coesione territoriale ai fini del potenziamento degli sforzi intesi al miglioramento della gestione dei fondi dell'Unione europea. La necessità del rafforzamento della capacità amministrativa nella gestione dei fondi europei ha portato alla definizione di un nuovo quadro di governance istituzionale per le politiche di coesione che ha affidato alla Presidenza del Consiglio dei ministri e alla nuova Agenzia per la coesione territoriale, sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio, l'azione di programmazione, coordinamento, sorveglianza a sostegno della politica di coesione. Tale attività ha trovato riscontro nelle ultime fasi di attuazione dei programmi operativi della programmazione 2007-2013, ormai giunto a conclusione, che ha consentito la pressoché piena utilizzazione delle risorse programmate. L'importante è citare i dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato: al 31 dicembre 2015, infatti, i pagamenti hanno raggiunto 43,4 miliardi complessivi che corrispondono al 93 per cento delle risorse programmate. Nel complesso per la quasi totalità dei programmi dei fondi strutturali FESR e FSE è stata superata la quota del 90 per cento. Si ricorda al riguardo che i progetti non conclusi alla data del 31 dicembre 2015 potranno comunque essere completati attraverso l'utilizzo delle risorse di cofinanziamento nazionale destinate all'attuazione dei programmi di azione e coesione complementari alla programmazione 2014-2020.
Proseguiamo con quanto concerne il Piano di azione e coesione, attuato attraverso la rimodulazione strategica delle risorse e dei programmi operativi 2007-2013 maggiormente in ritardo e attraverso la riduzione della quota di cofinanziamento nazionale, al fine di evitare il disimpegno delle risorse comunitarie inutilizzate. Il monitoraggio effettuato dal sistema informatico della Ragioneria generale dello Stato, sulla base delle informazioni periodicamente inviate dalle amministrazioni titolari degli interventi, evidenzia al 31 ottobre 2015 impegni per circa 6,5 miliardi di euro, pari all'80 per cento delle risorse programmate, e pagamenti per 1,6 miliardi di euro, pari al 19,2 per cento di dette risorse. In relazione alla programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali e di investimento europei, nel corso del 2015 tutti i programmi operativi, sia nazionali, che regionali, sono stati adottati dalla Commissione europea e sono in fase di avvio. Nell'impostazione strategica della politica di coesione 2014-2020 il PNR sottolinea, infine, la rilevanza della strategia nazionale per le aree interne del Paese, definite come quelle aree più lontane dai servizi di base che interessano oltre il 60 per cento del territorio nazionale ed il 7,6 per cento della popolazione italiana.
La strategia, sostenuta, sia dai fondi europei, sia da risorse nazionali, circa 280 milioni di euro messi a disposizione dalle ultime tre leggi di stabilità, rappresenta un'azione diretta al sostegno della competitività territoriale sostenibile al fine di contrastare nel medio periodo il declino demografico che caratterizza tali aree. Per quanto riguarda, infine, la programmazione delle politiche di coesione attraverso le risorse nazionali, si ricorda che nel Fondo per lo sviluppo e la coesione sono iscritte le risorse finanziarie aggiuntive nazionali destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché incentivi e investimenti pubblici. Le risorse per la programmazione 2014-2020, autorizzate dalla legge di stabilità per il 2014 nell'importo complessivo di 54,8 miliardi di euro, sono destinate a sostenere esclusivamente interventi per lo sviluppo, anche di natura ambientale, secondo la chiave di riparto dell'80 per cento nelle regioni del Mezzogiorno, del 20 per cento nelle aree del centro-nord. La parte delle politiche di coesione finanziata da risorse interamente nazionali, ricorda il DEF, rimane quella forse più rilevante per gli interventi di natura infrastrutturale, soprattutto nel Mezzogiorno. L'impostazione del nuovo quadro di governanceistituzionale per le politiche di coesione ha determinato la ridefinizione con la legge di stabilità 2015 delle procedure di programmazione e gestione delle risorse nazionali assegnate al Fondo per lo sviluppo e la coesione per il ciclo 2014-2020, riservando all'autorità politica per la coesione il compito di indicare le linee strategiche per l'impiego del Fondo.
In tale contesto normativo, secondo quanto illustrato nel DEF, il CIPE ha approvato diverse assegnazioni riconducibili a tale piano-stralcio, quali 65,4 miliardi di euro ad interventi nei SIN di Piombino e Trieste; 450 milioni di euro per la realizzazione di interventi finalizzati a prevenire il rischio idrogeologico in aree metropolitane e urbane con un alto livello di popolazione esposta al rischio; 100 milioni di euro per la progettazione di interventi nello stesso ambito; 250 milioni di euro per i contratti di sviluppo che favoriscono la realizzazione di investimenti di rilevanti dimensioni proposti da imprese italiane ed estere nel settore industriale e turistico e della tutela ambientale; 2,2 miliardi di euro per il Piano sulla banda larga e oltre 1,3 miliardi di euro a titolo di assegnazione programmatica per la medesima finalità; 38,7 milioni di euro per l'area di Taranto.
Un ruolo importante – e ho concluso – dell'FSC 2014-2020 è previsto per il cosiddettoMasterplan per il Mezzogiorno, iniziativa lanciata dal Governo nell'estate 2015, che prevede la predisposizione di specifici piani strategici e operativi per le otto regioni e le sette città metropolitane del Mezzogiorno. In particolare, dice il DEF, al Masterplan per il Mezzogiorno il Governo intende destinare circa 13,4 miliardi di euro delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione della programmazione 2014-2020 finalizzate ai patti per il sud. Il Masterplan è il quadro di riferimento entro cui si collocheranno le scelte operative in corso di definizione nel confronto tra Governo, regioni, città metropolitane sui patti per il sud. I patti sono sedici, uno per ognuno delle otto regioni e uno per ognuna delle sette città metropolitane del Mezzogiorno e sono finalizzati a definire per ognuno di essi gli interventi prioritari e trainanti, le azioni da intraprendere per attuarli, gli ostacoli da rimuovere, la tempistica, le reciproche responsabilità.
Discussione - Relatore per la maggioranza
Data:
Mercoledì, 27 Aprile, 2016
Nome:
Dario Parrini