Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 9 Maggio, 2016
Nome: 
Luigi Laquaniti

 A.C. 3634

Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghe e colleghi, in questo Paese le grandi riforme non hanno mai avuto vita facile; anni di discussioni furono necessari alla politica per arrivare al divorzio, anni in cui nulla pareva mutare per il legislatore e, intanto, però, il Paese cambiava. Chi poteva permetterselo utilizzava quello che era diventato un surrogato del divorzio, l'annullamento del matrimonio, ma era un mondo di pochi privilegiati; per tutti gli altri le separazioni di fatto facevano già parte della realtà e, in assenza di una disciplina, a farne le spese era la parte più debole, quasi sempre la donna. E poi il divorzio arrivò anche in Italia e fu così per tante altre grandi riforme, la riforma del diritto di famiglia, l'introduzione dell'aborto e altre ancora. 
Le nostre grandi riforme come tanti fiumi carsici: tutto pareva fermo, immobile e, intanto, il fiume dei grandi cambiamenti scavava il proprio letto nella società, fino a quando la riforma irrompeva anche presso le istituzioni, incontenibile. Ed è stato così anche per le unioni civili e così è anche oggi che ci accingiamo, finalmente, a introdurre in Italia questo istituto. 
Anni a discutere invano di Pacs, di Dico, di Cus e intanto il Paese cambiava e sempre più il legislatore si mostrava in ritardo, incapace di rispondere alle nuove domande che dal Paese venivano. 
Cosa ci ha impedito di dare in modo tempestivo un riconoscimento e una disciplina alle unioni civili ? Innanzitutto, l'incapacità di una parte della classe politica di questo Paese, una parte di noi, signor Presidente, di elaborare una parola semplice, ma fondamentale, su cui poggia la nostra democrazia e ogni moderna democrazia, la parola «laicità», la consapevolezza che nessuna democrazia compiuta e matura può essere subalterna rispetto a istituzioni religiose o a movimenti confessionali e la consapevolezza che chi ha compiti di Governo da nient'altro può farsi guidare se non dal perseguimento del bene comune. E anche questo è bene comune: dare una risposta tempestiva alle domande nuove che dalla società vengono, definire una disciplina efficace per tutte quelle nuove forme di unione diverse dal tradizionale istituto matrimoniale e il riconoscimento, finalmente, delle unioni omosessuali. 
Ma la laicità non può essere un'idea, un feticcio, e va sempre accompagnata da un'altra parola, la parola «persona». Se avessimo avuto presenti queste parole: – laicità e persona – fin da quando il tema delle unioni civili fece irruzione nelle Aule parlamentari, una trentina d'anni fa, saremmo stati capaci di una riforma che, invece, ha dovuto attendere decenni. Verrebbe da dire: a cosa serviamo noi legislatori, noi politici, se non a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana ? È l'articolo 3 della nostra Costituzione, colleghe e colleghi, l'avete riconosciuto. 
Ecco, tutto questo è mancato presso una parte della classe politica, una parte di noi e a questo oggi, finalmente, stiamo ponendo rimedio, in ritardo, con qualche incertezza, ma vi stiamo certamente ponendo rimedio: la rimozione degli ostacoli che hanno limitato la libertà e l'uguaglianza dei cittadini nella loro domanda di affettività, giacché tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge. È ancora l'articolo 3 della Costituzione. 
«I diritti del sentimento» è il titolo di un dibattito a cui ho partecipato qualche mese fa, i sentimenti che qualcuno fra noi vorrebbe forse relegati a qualche soap opera o alle pagine di qualche rotocalco e che, invece, sono cose maledettamente importanti nella vita della persona, nel pieno sviluppo della persona, ancora una volta l'articolo 3. 
I sentimenti non sono forse meritevoli di considerazione da parte del legislatore o il legislatore è tale solo quando si deve occupare di leggi di stabilità, di contratti di lavoro, di pensioni ? E di cosa parliamo, colleghe e colleghi, quando parliamo di unioni civili se non dei sentimenti delle persone ? 
Al di fuori di quest'Aula, che ci piaccia o no, le unioni civili sono già da tempo una realtà, il luogo in cui milioni di persone vivono la propria affettività, la sfera più intima della persona, come tale degna della più alta considerazione da parte nostra. 
In questi mesi i detrattori di questo progetto di legge, i fieri persecutori della morale in cui si imbatte puntualmente ogni generazione – qualcuno lo abbiamo ascoltato anche qui, oggi – si sono sforzati di ammonire che non stiamo andando a riformare l'istituto del matrimonio e, in effetti, è questo l'impianto della proposta di legge sulle unioni civili che fonda l'istituto in riferimento ai principi di uguaglianza e non discriminazione dell'articolo 3 della Costituzione. Nessun riferimento, dunque, all'articolo 29 della Costituzione, il riconoscimento della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. 
Lo scorso gennaio ci è stata da più parti ricordata la sentenza della Corte costituzionale del 2010: i costituenti tennero presente la nozione di matrimonio che stabiliva che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso; è una sentenza che alcuni costituzionalisti ritengono discutibile, ma io qui voglio assumerla così com’è, senza timore. Del resto, in questa legislatura non abbiamo avuto timore a confrontarci con la Costituzione, l'abbiamo riformata e presto sarà celebrato un referendum, perché ogni cittadino possa dire cosa ne pensa. Verrà il tempo in cui metteremo mano anche a questa ulteriore riforma, ma se questa è la norma, adesso, se questa è la norma che ci vincola, colleghe e colleghi, tutto il dibattito sulle unioni civili ci sfida a considerare la norma stessa per quello che è: uno strumento, uno strumento che deve abbracciare l'individuo, la sua sofferenza, la sua personale ricerca della felicità, non il contrario. 
La realtà è ben diversa, lo sappiamo tutti, e quanti si oppongono a questa legge delle unioni civili potranno anche strillare, come fanno i bambini, e battere i piedi, ma non possono cambiare una realtà che è già mutata. Non lo dico con più o meno soddisfazione, è una semplice constatazione di fatto; le famiglie sono cambiate e, accanto alla famiglia tradizionale, oggi, esistono già svariate altre forme di famiglia, ci sono famiglie aperte, nate dall'unione fra partner con alle spalle precedenti matrimoni o precedenti convivenze, alcune sono un esempio bellissimo di collaborazione nell'educazione dei figli e del sereno proseguimento dei rapporti parentali che non vengono interrotti dalla separazione e dalla costituzione di una nuova unione. Ci sono poi famiglie omogenitoriali, dove già oggi i figli vivono con due genitori del medesimo sesso e vivono bene, sono felici. Qui lo dico per inciso, ma anche con un po’ d'orgoglio, permettetemi di fare riferimento anche a quella comunità valdese di cui faccio parte che non senza attenta riflessione è arrivata da tempo, serenamente, al riconoscimento e alla benedizione delle coppie omosessuali. E dovreste vederla anche voi, colleghe e colleghi, la felicità sul viso di quelle coppie, l'energia con cui paiono voler sfidare il mondo: è la stessa felicità di qualsiasi altra coppia, non cambia niente, non è retorica, non è enfasi parlare della felicità delle persone, colleghi del MoVimento 5 Stelle. Noi fra qualche ora approveremo in via definitiva le unioni civili e sarà tempo di festeggiare in tutto il Paese questa che è una grande conquista. Dal giorno successivo, però, dovremo metterci di nuovo al lavoro, perché questa legge, come sappiamo, non è riuscita ad affrontare il tema della stepchild adoption e, siccome ogni ricerca della felicità delle persone è una priorità irrinunciabile per noi, è disumano pensare di poter sacrificare la felicità anche di quelle bambine e di quei bambini che, in caso di morte del genitore biologico, rischierebbero di veder sradicato il rapporto con l'altro genitore e di essere affidati da un giudice ad altri parenti o, peggio, a un istituto. La stepchild adoption andrà a completare la disciplina delle unioni civili, non ci siamo riusciti questa volta, ce la faremo la prossima volta con serenità e determinazione, lo dico, signor Presidente, dopo aver udito l'angosciato grido di dolore della collega Binetti. 
Vado a terminare; il ritardo con cui abbiamo affrontato le unioni civili è talmente grave che, quando le generazioni che verranno leggeranno i lavori di questo Parlamento, lo faranno con incredulità, ma anche con la stessa emozione con cui noi oggi, a nostra volta, guardiamo le grandi battaglie di uguaglianza condotte dall'Occidente negli ultimi cento anni. 
La Costituzione degli Stati Uniti afferma che fra i diritti inalienabili vi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità; noi oggi, introducendo l'istituto delle unioni civili, questo stiamo facendo: permettiamo a ogni cittadino di questo Paese
di realizzare la propria felicità. Tolstoj, all'inizio del suo Anna Karenina, scriveva che tutte le famiglie felici si somigliano: è vero, colleghe e colleghi, tutte le famiglie si somigliano nella felicità, e non importa che siano famiglie tradizionali, aperte, con genitori eterosessuali o omosessuali. Se sono felici, sono famiglie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Congratulazioni).