A.C. 3634
Presidente, siamo ben consapevoli che le questioni di pregiudizialità poste dalle minoranze, come peraltro esse stesse hanno dichiarato, sono utilizzate più come appendici e strumenti di lotta politica che per il loro effettivo contenuto di merito; e tuttavia io credo che non solo ragioni di serietà ci impongono di non accantonarle con una scrollata di spalle, ma che siano anzi l'occasione per fare chiarezza su questioni che spesso vengono agitate e che riguardano per l'appunto la conformità del testo sulle unioni civili ai principi costituzionali. Sappiamo bene infatti che la materia è assai delicata, andando ad incrociare princìpi e valori posti da alcuni articoli della nostra Costituzione, in particolare gli articoli 2, 3 e 29 richiamati nelle pregiudiziali: princìpi sui quali peraltro si è soffermata più volte la Corte costituzionale, in particolare con la pluricitata sentenza n. 138 del 2010, che è esemplare per chiarezza e limpidezza, e che quindi costituisce certamente il punto di riferimento a cui guardare.
Vale la pena allora di iniziare con il ricordare che proprio in base a quella pronuncia l'unica lesione certa ai principi e ai valori costituzionali è rappresentata oggi dallo status quo, posto che la Corte ha espressamente dichiarato che l'assenza di una disciplina che consenta alle unioni omosessuali, intese come stabili convivenze tra due persone dello stesso sesso, di vivere la loro condizione di coppia attraverso il riconoscimento dei connessi diritti e doveri, quella lacuna rappresenta oggi una lesione del principio costituzionale posto dall'articolo 2. Quanto poi alla riserva di disciplina che la Corte costituzionale, sulla base in particolare dell'articolo 29, riconosce al matrimonio eterosessuale in ragione della sua peculiarità, occorre sottolineare che, proprio per evitare i rischi di censure costituzionali che altre scelte avrebbero comportato, il testo che ci accingiamo ad approvare ha individuato un istituto autonomo dal matrimonio per disciplinare le unioni omosessuali, caratterizzato da un fondamento diverso, quale l'articolo 2, rispetto all'articolo 29 che costituisce il fondamento del matrimonio; e se il fondamento è diverso, e così rispettoso della diversità costituzionalmente garantita con il matrimonio, nessuna lesione al principio di ragionevolezza pone la denunciata omogeneità di trattamento con il matrimonio, poiché anzi il principio che è dato ricavare dalle sentenze della Corte suggerisce che nelle forme più impegnative di legami di coppia come le unioni civili il legislatore deve orientarsi avendo come regola l'equiparazione, e come eccezione la diversità di trattamento: al contrario delle forme di legame meno tutelate, come le convivenze di fatto, in cui vale la regola opposta.
Il controllo di ragionevolezza della disciplina che stiamo approvando va dunque letto più come controllo di ragionevolezza della diversità di trattamento che non della omogeneità, e le distinzioni operate dalla legge in esame, che hanno cercato di ridurre sovrapposizioni, contraddizioni e incoerenze, ci pare si sottraggano a qualunque censura di irragionevolezza; anche in particolare in materia di filiazione, che la Corte costituzionale ha espressamente individuato come criterio differenziale rispetto al matrimonio, e le norme relative alla quale in questa legge non sono richiamate, se non con un inciso pleonastico e non precettivo.
D'altro canto – e concludo – il dosaggio tra uguaglianza e diversità di trattamento spetta al legislatore con discrezionalità che non può essere compressa eccessivamente da una corte. Per questi motivi, e per quanto possano essere oggetto legittimamente di valutazione politica divergente, riteniamo che le differenze di disciplina tra matrimonio e unioni civili che ci apprestiamo ad introdurre nell'ordinamento non si prestino alle obiezioni di costituzionalità denunciate, e per questo voteremo contro.