A.C. 2839
Grazie, Presidente. Penso che la scelta e il lavoro fatto per portare in Aula il testo sui partiti che è stato illustrato qui, questa mattina, in maniera dettagliata, dal collega Richetti sia un fatto importante e non sia affatto un'occasione persa, anche perché noi stiamo discutendo di un tema che ha grande rilevanza, ma che nell'opinione pubblica oggi incontra particolare difficoltà. Insomma, l'aria che tira è quella non esattamente di grande simpatia verso i partiti, anzi, semmai è il contrario. C’è un processo di caduta radicale di credibilità dei partiti, del sistema politico, che trascina con sé anche una credibilità verso le istituzioni democratiche. Questo è il tema.
E, allora, discutere di questa cosa, come reagire a questo problema, non è un fatto secondario. Credo che già portare una proposta, una discussione, sollecitare un dibattito su questo, oggi, sia di per sé un fatto estremamente importante. Certo, l'occasione non va persa, va valorizzata ancora di più, e allora che senso hanno posizioni che sminuiscono ? Se è questo il tema, va affrontato. Poi, bisogna vedere anche i limiti, bisogna vedere anche i punti di incontro che hanno portato ad un testo che cerca di essere il maggiormente condiviso possibile, perché è giusto che su una disciplina che riguarda i partiti e una parte importate di vita democratica ci sia uno sforzo per cercare di trovare il massimo di convergenza. E mi pare che il testo questo lo faccia, lo dico anche perché, sostanzialmente, ho presentato anch'io, insieme a un nutrito gruppo di altri colleghi del Partito Democratico, una proposta di legge.
E oggi posso dire che, nella sostanza, mi ritrovo in questo testo, perché il punto centrale di quella proposta, che ruotava attorno al tema della trasparenza, si ritrova bene e ha sviluppi concreti dentro questo testo. Il problema è come dare una risposta a quella crisi, che pone un problema reale di democrazia che accennavo all'inizio; quindi, è un'occasione da non perdere. D'Attorre ha sostenuto prima nel suo intervento che siamo in una fase storica che non è certamente favorevole a discutere e a realizzare cose che riguardino il partito. Certo che ha ragione, per un certo verso, però non è che si può proporre, allora, di non affrontarle. Se è vero, da qualche parte dovremo iniziare, e già questa legge è un'inversione di tendenza per dire che questo tema è centrale.
E badate che la proiezione nel tempo del problema che affrontiamo non è breve nello spazio. Questo tema io l'ho ritrovato, e mi piace poi usarne il titolo – poi ci ritorno, perché credo sia un po’ anche il senso della proposta che sta venendo avanti –, però c'era un libro di Roberto Ruffilli, che scrisse nel 1988, prima di essere assassinato dalle Brigate Rosse, in cui definiva un po’ in questo modo quella fase: il bisogno di certezza, trasparenza, responsabilità come tema conduttore per ripensare il rapporto fra cittadino e Stato acquista, però, il suo massimo rilievo quando dal rapporto tra cittadini e strutture pubbliche si passi a considerare il rapporto tra cittadino e sistema politico. Una democrazia nella quale il cittadino sente di non poter sostanzialmente incidere sul sistema politico è una democrazia debole.
Ed è quello che poi è avvenuto negli anni: abbiamo assistito ad uno svuotamento, non è bastato stare ancorati a un'idea dei partiti che non facesse i conti con questo. Dov’è che in questi anni si è quindi indebolito quel rapporto e ha aperto la strada ancora di più a fenomeni che non sono solo italiani, come quelli che dicevo, il populismo, un fenomeno di antipolitica, un fenomeno che vediamo crescente ? Viene anche dal fatto che il sistema politico non ha saputo, in quella fase, cogliere gli elementi di trasformazione e dare risposte anche a questo elemento. Anzi, oggi siamo in una fase storica in cui è difficile parlarne, perché l'idea che, purtroppo, vediamo camminare più rapidamente, che prende più piede, è quella di una democrazia senza i partiti, una democrazia fatta dai leader e da partiti che sono sostanzialmente i comitati elettorali; nell'aria respiriamo questo. Allora, oggi, proporre, anche sul terreno legislativo, una iniziativa importante che, invece, va in direzione diversa, va in direzione contraria, rimette al centro il tema della partecipazione, del ruolo, della possibilità di contare dei cittadini, credo sia la strada più giusta che bisogna perseguire per dare una risposta a questa crisi. È una strada che parte, che ha una sua coerenza, con l'articolo 49. Possiamo ragionarci intorno quanto si vuole, ma io credo che il collega Toninelli debba fare un triplo salto mortale per cercare di dimostrare, come nelle sue dichiarazioni ha fatto, che l'articolo 49 contrappone i cittadini ai partiti. Lui è partito da questa valutazione, ma non esiste, anche leggendolo in tutti i modi che si vuole quell'articolo 49. Anzi, c’è la valorizzazione dell'elemento partecipativo del cittadino attraverso i partiti nel concorrere. Quindi, quella contrapposizione lì è un errore, uno sbaglio, è un elemento che alimenta una crisi che sarà una crisi di sistema politico che travolgerà tutti se non la arrestiamo. Travolgerà perché si favoriranno esiti o sbocchi in qualche modo di tipo plebiscitario, chiamiamolo come si vuole, ma non certamente coerente con i propositi dell'articolo 49.
Allora il problema che si pone con questa legge qual è ? La domanda è: come si fa oggi, da dove partiamo, per cercare di far recuperare credibilità ai partiti e al sistema politico ? Questa è la domanda. Io credo che nel suo piccolo è certamente un tassello, non è tutto, perché ovviamente contano i comportamenti, contano le idee, le politiche, la capacità di interpretare un bisogno di rinnovamento generale in modo giusto. La politica e i partiti che la svolgono devono saper fare questo innanzitutto. Però si possono già prendere dei riferimenti più piccoli per potere partire. Per partire bisogna oggi un po’ cambiare il paradigma. Il problema non è la legge, né andare contro qualcuno, e sbaglia chi dice che si era pensata la legge contro qualcuno. Non è una legge nemmeno a favore dei partiti, anzi è una responsabilità, è una sfida per i partiti. Questa legge è una legge per i cittadini; che vuol dire ? Vuol dire partire da quel titolo che ricordavo di Ruffilli «il cittadino come arbitro». Cambiamo il paradigma, vediamo in che modo si danno ai cittadini gli strumenti e la responsabilità per potere esigere e chiedere al sistema politico, attraverso la trasparenza, la conoscenza, attraverso la possibilità di interferire concretamente, di essere una cosa diversa. Questo credo sia il punto e la legge ruota su questo: gli strumenti che si danno ai cittadini, attraverso la trasparenza la possibilità, la forza, la condizione, per incidere, per interferire con la politica e con i partiti, per poterli in qualche modo valutare, giudicare, non solo nel voto, ma anche facendo valere quelle regole che qualcuno dice siano poche, ma che vengono più chiaramente delineate da questa proposta di legge. Far valere la richiesta di trasparenza e di un rapporto diverso fra i partiti e la comunità. In questo senso io credo che si siano fatti dei passi avanti importanti. Certo, ci vuole anche un'autoriforma dei partiti, ma questa non si fa con le regole, si fa se prevale uno spirito politico che raccoglie il senso della sfida e lo produce. Non è che si può imporre un vademecum di regole a tutti uguale perché questo sarebbe un errore. Puoi porre i termini di una sfida politica che li obbliga a fare i conti con i cittadini che vogliono, che debbono e che possono, con delle regole, contare. Quindi è una legge per loro. Qui c’è una differenza. Quello che bisogna fare è una legge che dica ai cittadini «potete ficcare il naso negli affari dei partiti», come si finanziano, come funzionano, come funziona lo democrazia, e nel ficcare il naso c’è anche la possibilità che voi possiate trovare il modo di interferire se si muovono in maniera contraddittoria rispetto a quello che anche loro scrivono, nello statuto, nelle regole, in quello che proclamano; proclamano la trasparenza e poi decido in tre ? Noi bisogna creare questi strumenti per i cittadini, metterli nella condizione di ficcare il naso. A me dispiace, io sarei stato in questo senso per una normativa un po’ più stringente. Noi abbiamo scelto, per trovare in qualche modo un accordo, di stare sul piano delle associazioni non riconosciute come sono oggi. Io penso che sarebbe stato più forte il riconoscimento della personalità giuridica.
Si è detto: ma così il rischio è che la magistratura condizioni e interferisca. Lo fa già oggi la Magistratura, guardate la sentenza del tribunale di Roma di qualche giorno fa sul ricorso rispetto alla chiusura dei circoli del Pd a Roma e quanti casi potremmo elencare. Basta che ci sia un ricorso, una spinta, la magistratura entra, non è che sta fuori. Non bisogna aver paura di quello. Io quello che voglio fare è che il cittadino possa sentire che ha nelle mani lo strumento di dire «te partito non funzioni secondo le regole che ti sei dato e in coerenza con un procedimento democratico che tutti vogliono». Questo credo sia il punto di fondo e credo che con la legge, su questo piano, si facciano dei passi avanti, pur rimanendo nell'ambito delle associazioni non riconosciute. I requisiti che vengono delineati, e che ha illustrato bene il collega Richetti questa mattina, forniscono un quadro di certezza, di sicurezza, su alcuni punti che riguardano sia la disciplina del finanziamento, sia gli elementi di riferimento al metodo democratico, anche in relazione ai percorsi di presentazione delle elezioni che ritengono siano novità; elementi rafforzativi e innovativi che vanno sottolineati.
Quindi, io considero questo testo sicuramente un passo avanti. Lo considero un passo avanti anche nel quadro del dibattito politico che mi auguro si allarghi, si sviluppi, perché credo che questa legge può essere utile anche a contribuire a rendere un po’ più solido il contesto delle riforme di cui si parla, a partire da quella costituzionale, anche riflettendoci su. In quella riforma vi sono alcuni elementi di rischio che noi possiamo individuare, ma che possono essere attenuati e superati, se si riprende un percorso di credibilità e di fiducia nei partiti e se i partiti esercitino una funzione. Per esempio, penso in particolare alla questione che riguarda la partecipazione. Un eccesso di centralizzazione, di centralismi oggi non aiuta il Paese a trovare le risposte alla crisi di cui ha bisogno. Se viene meno del tutto anche un sistema politico che è il modo di mediare, di mettere insieme, di creare e organizzare le forme della partecipazione, quei rischi diventano ancora più pesanti. Oppure se si vuole parlare della questione che è connessa alla legge elettorale, va detto che le norme sul finanziamento sono anche importanti, perché proviamo a immaginare cosa sarà il tema dei costi della politica nella gara sulle preferenze in collegi di 600-700 mila abitanti. Già pensando a questo, allora, restringere un po’ su questo piano, avere una normativa ancora più rigorosa che consenta di avere trasparenza, credo che non sia affatto una cosa secondaria. Credo che questo tema richieda nel complesso una risposta anche a un'esigenza di bilanciamento, sostanzialmente, rispetto al rischio che è stato evocato – ne ha parlato D'Attorre prima – quello di un eccesso di personalizzazione della politica che può evolvere fino alla democrazia del leader, la democrazia del capo. Questo è un processo che è purtroppo in corso, non è un'ipotesi da noi, e non solo in Italia. Ritengo che a questo si può rispondere meglio, in maniera più incisiva, se il sistema politico sa rigenerarsi, se i partiti si pongono il problema di riabilitarsi, di accettare la sfida anche dell'autoriforma su questo piano, cogliendo tutti i punti, ma mettendo in campo come dirimente, nelle forme nuove, aggiornate di oggi, soggetti politici che hanno in testa, e lavorano per questo, l'idea che la loro funzione, il loro ruolo, è quello, come dice l'articolo 49, di far concorrere i cittadini alle grandi scelte politiche del Paese. Questa è la strada che va perseguita ed è un'occasione che sicuramente non bisogna perdere. È il primo passo, però importante, e finalmente di questo si discute in Parlamento.