A.C. 3504-A
Grazie, signora Presidente. Hanno nomi difficili le malattie metaboliche: Fenilchetonuria, omocistinuria, aciduria metilmalonica. Sono solo alcune delle cinquecento malattie metaboliche non necessariamente ereditarie: alcune acquisite da danno neonatale o da infiammazione intrauterina.
Sono malattie che si caratterizzano per la mancanza di un enzima, cioè un catalizzatore, in quello che ricordiamo il «ciclo di Krebs» – qualcuno di noi lo ricorda dagli studi di biologia –, il ciclo energetico cellulare. La mancanza di metaboliti, la mancanza di nutrimento, in molti casi, comportano danni irreversibili neurologici.
Molto spesso, queste malattie comportano l'uso di farmaci orfani, altre rispondono bene a terapie enzimatiche sostitutive fino al trapianto d'organo o al trapianto tessutale; per molte, però, non esiste al momento alcuna cura, ma per quelle patologie suscettibili di cura la sola chance è la prevenzione, è correre avanti alla tossicità metabolica che determinerà la comparsa di handicap, è legata alla tempestività della diagnosi e alla rapidità di inizio della terapia. Il mancato riconoscimento della malattia o il suo trattamento in centri medici non qualificati per queste patologie si traduce in un peggioramento dell'aspettativa e della qualità di vita dei pazienti: vite segnate per i gravi danni neurologici che ne derivano.
Questo è l'argomento di questo testo: malattie metaboliche, tecnologie per individuarne quaranta in un colpo, l'organizzazione per garantire un approccio di prevenzione scientifico ed efficace e chi fa e che cosa. Sicuramente questo provvedimento è un passo avanti, ma va sottolineato l'impegno del Governo a stanziare, per gli screening metabolici allargati, le risorse aggiuntive necessarie, come sollecitato, a livello parlamentare, in tutte le istanze, sulle malattie rare.
Il panorama attuale non è l'anno zero, ma è il solito patchwork della frammentazione regionale. Ci sono già risultati di diversi progetti pilota, sono diversi i programmi regionali per numero e tipo di malattie screenate, per modelli organizzativi e per tecnologie utilizzate. Tutto parte da una semplice procedura alla nascita: la raccolta di poche gocce di sangue dal tallone del bambino. Su quel sangue, attraverso la spettrometria, vengono valutate diverse componenti, fino a quaranta tipologie di malattie. Questo provvedimento ha il pregio di dare organicità e omogeneità all'organizzazione degli screening con respiro nazionale, rispondendo, almeno in questo settore, ad una domanda frequente: quella di equità.
Il numero delle malattie screenate è uguale in tutto il territorio nazionale e le finalità sono chiaramente descritte all'articolo 1: obbligatori da effettuare su tutti i nati da parti in strutture sanitarie o a domicilio. Eseguire lo screening neonatale significa molto di più che eseguire un test: è questo il motivo per cui nei nostri emendamenti abbiamo voluto «screening» come parola cardine.
Si tratta di una procedura coordinata ed inserita in un sistema dove prevedere formazione escreening, follow up, diagnosi, trattamento e gestione, oltre alla valutazione dei risultati. «Screening» quindi non è dunque solo una parola inglese inserita in una legge italiana, ma è un metodo, un metodo scientifico, che risponde non solo al bisogno di salute del singolo ma all'impatto sociale della malattia. Abbiamo sottolineato più volte che il vero risultato è nell'attuazione del principio che in sanità le spese per la prevenzione non sono costo ma un investimento. Fondamentale, in questi tempi di limitate disponibilità finanziarie, è quello della sostenibilità organizzativa ed economica, oltre alla scelta di quali malattie per le quali va fatta una redistribuzione delle tecnologie in base ai bacini di riferimento e non secondo una mera distribuzione regionale.
Per favorire un adeguato risparmio in termini di utilizzo di strumentazioni, materiali di laboratorio e impiego di risorse umane, oltre che per garantire un'adeguata expertise da parte del personale impiegato nelle diverse fasi dello screening, si istituisce un centro di coordinamento sugliscreening neonatali a caratterizzarne il respiro nazionale, in cui sono presenti i rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, del Ministero della salute, della Conferenza Stato-regioni e le associazioni, sì, le associazioni rappresentative dei soggetti affetti. Auspichiamo che, come abbiamo detto a proposito delle malattie rare, la crescita della qualità delle associazioni che siedono ai tavoli organizzativi e di verifica delle procedure vogliano implementare gli sforzi per dotarsi di comitati scientifici. Il nodo è: bisogna «screenare» tutto ciò che si può misurare perché un metodo, una tecnologia e una macchina ci consente di farlo, o bisogna limitarsi a ciò che si conosce bene e si può efficacemente curare ? Certo è che non è la casa produttrice di nuove tecnologie che definisce l'elenco delle quaranta malattie da «screenare». L'articolo 4, infatti, correttamente affida all'AgeNaS la scelta delle patologie da inserire, con la lente interdisciplinare dell’Health Technology Assessment: una tipologia di valutazione analitica delle conseguenze medico-cliniche, sociali, organizzative, etiche ed economica di una tecnologia. Quindi, non la tecnologia in quanto tale, ma la sua rispondenza ai bisogni di salute; in una parola: appropriatezza.
È evidente che oltre agli screening, il sistema deve essere adeguato al completamento dell'iter diagnostico, consapevoli che nessuna tecnologia è infallibile e che i falsi positivi sono devastanti, quasi quanto le cattive notizie, perché è bene ricordare, con una comunicazione chiara e a tappeto che dia la giusta aspettativa, che alcune patologie ad espressione particolarmente grave possono presentarsi nei primissimi giorni, quando ancora l'esito dello screening non è disponibile, e ricordare una delle grandi verità della medicina: qualsiasi strumentazione è suscettibile di errore. Si intuisce quindi la necessità di adeguati percorsi formativi del personale sanitario, oltre che di un esauriente comunicazione ed informazione, che dovrebbe esser fornita ai genitori prima del test già in epoca prenatale.
I pediatri, oltre le macchine; i pediatri, quelli che sanno come parlare con le famiglie in caso di positività e come evitare che un falso positivo allo screening diventi elemento di fragilità permanente nella crescita del bambino e di eccessiva apprensione per la famiglia. Si fa un passo avanti, dunque: si introducono in un testo di legge gli indirizzi scaturiti da progetti pilota sull'utilizzo di nuove tecnologie; si pongono le tecnologie al servizio della salute del bambino, con le aspettative di salute uguali su tutto il territorio nazionale, che fa di questo testo una risposta ad un diritto, per un modello sostenibile di pubblico e universale della sanità, in cui la prevenzione e la cultura sanitaria di base fanno la parte del leone. Per questi motivi, dichiaro il voto favorevole del Partito Democratico.