A.C. 3594-A
Grazie, Presidente. I dati recenti sulla povertà mostrano un notevole aumento di persone che si trovano sotto la soglia della povertà assoluta. La stima è di 1.470.000 famiglie che vivono in questa condizione. Gli stessi dati mostrano altresì un consistente aumento del rischio di scivolamento delle famiglie italiane nella fascia di povertà relativa. Infatti nel nostro Paese il numero di persone a rischio di povertà si attesta su una percentuale del 28,3 per cento, in aumento costante dal 2008.
Il presidente dell'INPS ha dichiarato che, tra il 2008 il 2014, il numero di italiani con reddito inferiore alla soglia di povertà è cresciuto di un terzo passando da 11 a 15 milioni di persone. A detta delle relatrici di maggioranza sulla situazione descritta inciderebbe l'assenza di uno strumento organico di contrasto alla povertà e secondo la quale l'area delle politiche socioassistenziali necessita da molti anni di un intervento riformatore orientato a garantire maggiore efficacia ed efficienza, nonché maggiore rispondenza ai bisogni delle fasce più deboli della società, così come necessita di una misura universale e selettiva capace di coprire i bisogni delle persone più vulnerabili: misura che già la fondamentale legge n. 328 del 2000 reputa pilastro essenziale del sistema integrato e del welfare.
La questione su cui porre attenzione è quella dell'universalismo selettivo, previsto nel testo proposto dal disegno di legge del Governo: questo era infatti uno dei punti che determinavano unvulnus nell'approccio della legge delega in esame. L'utilizzo disinvolto di termini come rispondenza ai bisogni delle fasce più deboli della società e necessità di una misura selettiva capace di coprire i bisogni delle persone più vulnerabili rappresentano meglio di ogni altro approfondimento la volontà del Governo e della maggioranza di procedere a un intervento che, piegato alle scarse risorse disponibili, potrebbe ridurre, con un taglio, gli aventi diritto alle prestazioni sociali e una cernita all'interno della stessa fascia di popolazione in povertà assoluta. In questo ambito l'utilizzo dell'ISEE non rappresenta l'elemento chiarificatore tra gli aventi diritto alle prestazioni sociali gratuite e coloro che devono compartecipare alla spesa su una base progressiva legata al reddito. Il sistema di sostegno al reddito paventato dalla legge delega appare privo di un efficace percorso di politiche attive sul lavoro, fondamentale per sostenere i soggetti interessati e affrancarli dalla povertà. Tale percorso, del resto, ha avuto una rappresentazione con la legge di stabilità 2016 che indica una serie di interventi contro la povertà e l'esclusione sociale prevedendo per il 2016 risorse definite di priorità ossia 380 milioni di euro destinati al rafforzamento ed estensione della carta acquisti sperimentale, definita programma di sostegno per l'inclusione attiva, e 220 milioni di euro per l'incremento della spesa e per l'assegno di disoccupazione. Ora il comma 3 del testo indica le finalità alle quali destinare un miliardo di euro stanziato per gli anni a partire dal 2017: risorse che sarebbero da destinare al finanziamento di interventi normativi per l'introduzione di una misura unica di contrasto alla povertà correlata alla differenza tra il reddito familiare e la soglia di povertà assoluta. Tuttavia però il miliardo formalmente stanziato dal Governo a partire dal 2017 è solo una piccola parte dei 7 miliardi circa che sarebbero necessari per sostenere realmente le famiglie e le persone in povertà assoluta e non è previsto alcun incremento reale di risorse. Pertanto, considerata la totale inadeguatezza delle risorse stanziate, il tutto potrebbe tradursi in un'aberrante lotta tra gli ultimi dove a beneficiare saranno forse e in numero ridotto i più poveri tra i poveri e questi ultimi continueranno a rimanere tali, nonostante lo sbandierato carattere universalistico della misura. Peraltro si segnala come i comuni italiani, a cui di fatto spetta l'attuazione di progetti personalizzati per l'inclusione, potranno contare sostanzialmente sulle risorse provenienti dai fondi europei che scadono nel 2020: meno di 200 milioni l'anno in tutto, praticamente nulla. Per fare un esempio, il miliardo stanziato dal 2017, se rapportato al 1.470.000 famiglie in povertà assoluta rilevate dall'Istat, fornisce una cifra iperbolica di 680 euro l'anno che al mese si declina in 56 euro per famiglie in povertà assoluta.
Allora io vorrei capire se 56 euro sono una somma che può aiutare le famiglie a far fronte alle esigenze primarie, se sono una somma che può aiutare le persone veramente all'inclusione. Noi non pensiamo che sia così, anzi è sotto gli occhi di tutti, è un fatto reale che 56 euro non possono permettere assolutamente l'inclusione sociale. Solo questo basta a far capire come non è possibile affrontare strutturalmente la povertà con queste risorse. Di fatto, pur avendo espunto dal testo l'universalismo selettivo, è l'ammontare delle risorse destinate al contrasto alla povertà a diventare di per sé un fattore di selezione. La delega in esame prevede una graduale estensione dei beneficiari e un graduale incremento del beneficio, che rischia di essere una previsione vuota quando, come in questo caso, non si indicano obiettivi di stanziamenti ulteriori che incrementino la possibilità di estendere i beneficiari e il beneficio. Del resto, si prevede che gli unici incrementi di risorse per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale possano derivare solo per effetto degli interventi di riordino delle prestazioni assistenziali ovvero probabilmente dai tagli. Diamo ulteriormente atto alle relatrici delle Commissioni competenti, XI e XII, comunque di aver svolto un lavoro attento, che ha prodotto delle modifiche al testo che sicuramente lo hanno migliorato in termini di riduzione del danno rispetto al testo uscito dal Consiglio dei Ministri, tuttavia, come già detto, resta una delega per il contrasto alla povertà che mantiene un carattere e un obiettivo molto lontani dal titolo e dalle necessità derivanti da una povertà dilagante, che marcia di pari passo con la precarizzazione del mondo del lavoro, con la privatizzazione delle prestazioni sociali e della salute. Da questo deriva la nostra opposizione al provvedimento in esame, perché il gruppo di Sinistra Italiana non considera la lotta alla povertà e all'inclusione sociale e lavorativa un intervento che si possa piegare o che possa essere subalterno alle risorse disponibili, noi non denigriamo. Per questi motivi Sinistra Italiana, in alternativa all'inadeguata e insufficiente misura unica di contrasto alla povertà proposta dal Governo, ha proposto l'istituzione del reddito minimo garantito attraverso un'adeguata e congrua copertura che, non a caso, è passata al vaglio dell'ammissibilità, una proposta strutturale universale con una copertura che ne consentirebbe l'istituzione sin dal 2017. Il reddito minimo garantito da noi proposto con risorse adeguate è una misura capace di arginare concretamente la condizione di povertà di milioni di persone, una misura strutturale contro la crisi in chiave anticiclica e anti recessiva, un meccanismo a garanzia del diritto al reddito di tutte le persone in povertà. Si tratta di una proposta presente nella maggior parte dei Paesi europei e in linea con le indicazioni in materia del Parlamento europeo. Il reddito minimo garantito è una proposta di sostegno economico ai soggetti disoccupati, precariamente occupati o in cerca di prima occupazione, ai quali si devono offerte di impiego compatibili con la carriera lavorativa pregressa del soggetto e con le competenze formali o informali in suo possesso, perché l'occupazione è l'unico elemento efficace per efficace per l'uscita dalla povertà. Il reddito minimo oggi è la modalità attraverso la quale la maggior parte dei Paesi aderenti all'Unione europea affronta i percorsi di affrancamento della povertà e la stessa Unione europea lo pone come uno dei punti del pilastro sociale; al contrario, il Governo preferisce ottenere una delega dal Parlamento per una misura insufficiente, che si rivolge solo a una parte di coloro in povertà assoluta, peraltro con risorse inadeguate, una delega che non ha alcuna corrispondenza con le modifiche apportate al comma 1 dell'articolo 1, laddove si è modificato il testo inserendo finalità forti e impegnative ma che restano pure enunciazioni senza conseguenze effettive nel testo in esame. In sostanza siamo davanti a un testo che non prevede un intervento strutturale ed effettivo di contrasto della povertà verso attività di inclusione lavorativa e sociale. Inoltre il riordino delle prestazioni assistenziali, pur necessario, deve essere vincolato ad una vera riforma del welfare, con l'obiettivo di ampliare e rendere più efficace il sistema di protezione sociale.
Tuttavia, poiché il complesso della spesa assistenziale coinvolge ben più persone e interessi rispetto alla povertà, se le due problematiche non vengono scisse, la gran parte del dibattito sulla delega non riguarderebbe i poveri bensì la revisione di spesa. Per cui occorre, come suggeriscono le organizzazioni dell'alleanza contro la povertà, separare gli atti sulla lotta alla povertà da quelli sulla revisione dell'assistenza. In ultimo ma non in ultimo la delega enfatizza la natura di inclusione attiva e non assistenziale delle nuove prestazioni, si tratta di elaborare nei territori progetti personalizzati di inserimento sociale e di mettere in campo gli interventi necessari alla loro attuazione. Le politiche sociali italiane, d'altra parte, sono disseminate di norme con finalità apprezzabili ma non accompagnate dagli strumenti per realizzarle. Il punto decisivo dunque è fornire ai soggetti delwelfare locale, a partire dai comuni, gli strumenti per poter concretamente lavorare per l'inclusione degli utenti. L'attuale testo della delega desta molta preoccupazione in proposito, perché per i servizi territoriali chiamati in causa si prevedono solo finanziamenti europei temporanei, che scompariranno all'inizio del prossimo decennio. Peraltro, le risorse disponibili per queste prime annualità sono senza dubbio inadeguate. Quindi il carattere di provvisorietà dello stanziamento per i percorsi di inclusione sociale fa cadere la possibilità che lo Stato definisca qualsiasi regola certa rispetto alla loro effettiva fruizione da parte dei cittadini. Analogamente, non si prevedono le necessarie modalità per rafforzare le competenze degli operatori impegnati nei territori, quali iniziative d'accompagnamento e formazione e neppure le attività di monitoraggio utili ad imparare dall'esperienza. Complessivamente dunque si chiede alla realtà del welfare locale di costruire strategie per l'inclusione sociale dei propri cittadini poveri senza dotarle di strumenti adeguati allo scopo. Per tali questioni la lotta alla povertà e l'inclusione sociale rischiano di rimanere un semplice e vuoto obiettivo dichiarato ma di fatto non perseguito (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).