Signora Presidente, colleghi, non è semplice ricordare ed onorare delle vite spezzate, soprattutto quando alcune di esse hanno le sembianze di volti noti, di storie conosciute. Non lo è per me, non lo è sicuramente per i colleghi che da quelle terre provengono. Non è semplice, non è semplice soprattutto quando parte di esse erano giovani vite, troppo giovani vite. Eppure è bene e giusto farlo, e sarà bene anche provare a capire di più cosa sono quelle terre difficili e cosa è accaduto in quella terribile notte, al di là delle tante e spesso troppo leggere parole spese in questi giorni.
Borghi antichi, luoghi di confine da sempre, ricchi di storie minori, costruiti e difesi con fatica per secoli, luoghi dove tutti sanno di tutti e nulla può essere a lungo celato, luoghi dove nessuno resta mai solo e forte è il senso di comunità. I nostri paesi, i paesi lontani del nostro Appennino, esistono per essere cento volte maledetti e straordinariamente amati quando si resta e rimpianti e cercati quando si lasciano. Esistono per essere scoperti da chi vi giunge a volte per un amico, a volte per caso. E quella notte ad Arquata del Tronto, a Pescara, ad Amatrice, ad Accumoli, una sorte beffarda ha cancellato centinaia di vite di chi in quei paesi viveva, di chi li ha scoperti, di chi li ha lasciati e li ha ritrovati.
Sotto quelle macerie ha trovato la morte chi, nel bene e nel male, aveva deciso di non spezzare il filo del proprio vissuto, e non c’è distinzione tra loro, tra chi abitava terre ingenerose e chi in quelle terre si ritrovava, rasserenandosi per una breve parte dell'anno; tra chi le aveva scoperte nei loro silenzi e chi vi dimorava, rinsaldando ogni giorno l'antico legame con le proprie radici che mai avrebbe voluto spezzare. Le radici: ecco, se un tratto comune va ricercato in questa tragedia, esso è tutto nella saldezza delle radici, nell'ostinazione di chi resta, nel legame indissolubile di chi ogni anno puntualmente ritorna. Erano tutti lì, in quelle sere, a consumare gli ultimi giorni di agosto, a ritrovare i sapori, a condividerli con chi quei sapori non aveva mai abbandonato, a raccontare e a conoscere storie, a prepararsi per le ultime feste, a narrarsi l'un l'altro l'anno trascorso, a bearsi dell'aria, dei monti, pronti a separarsi di nuovo e pronti di nuovo a ritrovarsi.
Il terremoto non ha distrutto soltanto in modo vigliacco le vite e le case: ha provato, come sempre fa, a cancellare la storia e il futuro, e la storia e il futuro noi abbiamo il dovere di restituire a quei luoghi. Onoriamo e ricordiamo oggi chi non c’è più e ci domandiamo che cos'altro possiamo fare per loro. Possiamo innaffiare quelle radici, far sì che non muoiano mai, far loro spazio nelle scelte che compiamo ogni giorno, ricordandoci ogni tanto che quella dorsale di monti, troppe volte stretta tra il nord e il sud del Paese, a volte ha bisogno di noi.
Sconfiggere per una volta il peso e la forza dei numeri, dare sicurezza a quei luoghi, certo, sicuramente, correggere gli errori dell'uomo, ma anche accendere vite, non lasciare solo chi ha avuto famiglie distrutte. Si può fare con poco, ma quel poco va fatto; lo dobbiamo a tutte le vite spezzate, lo dobbiamo alla mitezza e all'ostinazione di chi vuole tornare alla vita normale, lo dobbiamo ai bambini che oggi tornano a scuola, perché tra loro possa esserci ancora chi vorrà restare e chi tornerà a raccontare agli amici l'anno trascorso. Hanno il diritto di continuare a maledire quelle terre, hanno il diritto di continuare ad amarle visceralmente come i loro padri e le loro madri e hanno il diritto di continuare ad allargare lo sguardo e di continuare a stupirsi di quell'immenso paesaggio. Hanno il diritto di riconoscersi nelle loro vie anguste, nei loro scorci, nei loro angoli, di ritrovarli il più possibile uguali ai loro ricordi.
Dobbiamo farlo per l'Italia migliore, per gli uomini e per le donne dello Stato, delle regioni, degli enti locali che hanno lavorato incessantemente giorno e notte, per tutti coloro che da ogni parte d'Italia sono arrivati per dare una mano, senza esitare nemmeno un istante, per quelli che hanno generosamente donato beni e provviste, fino a costringerci a chiedere loro di fermarsi. Dobbiamo farlo anche quando i riflettori e il rumore che in questi giorni hanno violentato quei borghi torneranno a cedere il passo al silenzio dei giorni, e sono certo che tutti insieme lo faremo(Applausi).
Data:
Martedì, 13 Settembre, 2016
Nome:
Fabio Melilli