Signor Presidente, l'Italia dei piccoli comuni rappresenta un segmento molto rilevante del nostro Paese. Sono 5.627 i comuni con meno di 5 mila abitanti e sono il 70 per cento del totale. Coprono 164 mila chilometri quadrati, il 54 per cento dalla superficie del nostro Paese, e ospitano poco più di 10 milioni di abitanti, poco meno del 17 per cento dalla popolazione totale del Paese.
Sono territori che rappresentano un'Italia forse minore, se guardiamo al dato della popolazione che vi risiede, ma, citando il Presidente Ciampi, non sono «un piccolo mondo antico». Queste piccole comunità locali sono l'elemento fondamentale dell'identità del nostro Paese. Sono spesso caratterizzate da un'elevata qualità della vita, da una forte coesione sociale, racchiudono una parte molto importante del nostro patrimonio paesaggistico, storico e artistico e ospitano tante eccellenze del sistema produttivo italiano.
Non ci sono solo luci, ma anche ombre in questo universo di comuni, perché i piccoli comuni sono particolarmente colpiti dallo spopolamento, hanno un tasso di natalità inferiore e un tasso di mortalità superiore alla media nazionale, un saldo migratorio negativo, soffrono più degli altri comuni dell'invecchiamento della popolazione e hanno visto, negli anni più recenti, un diradamento e un indebolimento di importanti servizi pubblici. Da ultimo, ma non certo ultimo in ordine di importanza, il digital divide, la dotazione di reti informatiche e di connessioni a banda larga e ultralarga, penalizza questa parte del Paese e rischia di aprire un'ulteriore frattura rispetto alle aree urbane maggiormente dotate.
La frammentazione amministrativa è indubbiamente un limite per l'organizzazione di questa parte del Paese, anche se il numero elevato di comuni non è un'anomalia italiana. Vorrei ricordare, signor Presidente, che nel 2015 l'Italia contava 8.048 comuni (sono scesi a 7.998 quest'anno), la Germania ne contava 11.169, il Regno Unito 10.332, la Spagna 8.119 e la Francia addirittura 36.678. Questo vuol dire che la frammentazione e l'esistenza di tanti municipi non è un'anomalia italiana, la vera anomalia italiana, invece, è il debole tasso di cooperazione intercomunale. Infatti in Italia solo il 39 per cento dei comuni fa parte di un'unione, in Francia la totalità (tranne 27 di questi 36.678 comuni) fanno parte di istituzioni di cooperazione sovracomunale.
Il riordino istituzionale non è l'oggetto di questo progetto di legge. Ci sono altri percorsi che il Governo ha avviato, a partire dalla legge n. 56 del 2014, la riforma Delrio, e dagli incentivi rafforzati con la legge di stabilità 2016 per le unioni e le fusioni. Bisognerà tornare su questi temi, perché il percorso è incompiuto. Personalmente però sono convinto che il riassetto istituzionale sia un punto chiave. Va spinto il più possibile per accelerare la cooperazione e per superare la frammentazione, ma sono altrettanto convinto che la riorganizzazione delle istituzioni rappresenti solo un pezzo delle sfide che questa parte d'Italia ha di fronte.La sfida più importante che dobbiamo vincere è: ridefinire le vocazioni di questi territori, avviare un diverso modello di sviluppo per rispondere alla crisi e invertire la tendenza all'abbandono, partendo dal alcune convenzioni.
La prima. Non c’è ripresa in questo Paese se non si riducono i divari territoriali. I divari territoriali non vanno letti solo con la chiave tradizionale nord-sud. Ci sono in questo Paese forti divari centro-periferia e aree urbane-piccole comunità locali.
Seconda convinzione. Il declino demografico, economico e sociale non è un dato ineluttabile. Anche in quell'universo di 5.627 comunità locali ci sono tanti, tantissimi comuni, che sono tornati a crescere negli anni più recenti, in cui sono state messe in campo politiche adeguate per lo sviluppo, a partire dalla progettualità locale.
Terza e ultima convinzione. Queste comunità locali incrociano, per le caratteristiche che hanno, alcuni dei sentieri più interessanti di un possibile nuovo sviluppo del Paese. Ne cito alcuni: la green economy, l'economia verde, il futuro delle energie rinnovabili, l'economia della cultura e il turismo sostenibile, l'agroalimentare di qualità a chilometro utile, da filiera corta. Insomma, un pezzo significativo della possibile ripresa e del possibile sviluppo sostenibile del Paese passa da questi territori.
Questa proposta di legge sì colloca esattamente in questa prospettiva, fissando una serie di obiettivi. Ne parlerà più dettagliatamente il collega Borghi, che farà una panoramica compiuta. Io mi soffermerò sui temi di più diretta competenza dalla Commissione di cui faccio parte, la V Commissione (Bilancio). Si tratta dell'articolo 3 e di ciò che prevede. Ne approfitto per ringraziare anche il collega Tino Iannuzzi, che ha compiuto un lavoro preziosissimo per portare in Aula questo progetto di legge.
La parte di competenza su cui entro nel dettaglio è l'articolo 3, che disciplina l'istituzione di un Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni. Il fondo è finalizzato al finanziamento di investimenti, quindi parliamo di spese in conto capitale e mirate allo sviluppo. Sono investimenti per l'ambiente e i beni culturali, per la mitigazione del rischio idrogeologico, per la salvaguardia e la riqualificazione dei centri storici e la messa in sicurezza di infrastrutture di edifici pubblici, l'insediamento di nuove attività produttive, lo sviluppo economico e sociale. Questi sono i terreni che il progetto di legge indica per la progettualità delle comunità locali, mettendo a disposizione 100 milioni di euro, dal 2017 al 2023, con una dotazione di 10 milioni il primo anno e di 15 milioni per gli anni successivi.
Ai fini dell'utilizzo di queste risorse viene predisposto un Piano nazionale per la riqualificazione dei piccoli comuni e un elenco di interventi prioritari, tenendo conto che il piano deve assicurare la priorità ai seguenti interventi: la qualificazione e la manutenzione del territorio; la messa in sicurezza e la riqualificazione delle infrastrutture e degli edifici pubblici, con particolare riferimento alle scuole e agli edifici con funzioni socioassistenziali; il tema dell'efficienza energetica delle fonti rinnovabili; la questione dell'acquisizione di qualificazione di terreni ed edifici in stato di abbandono; l'acquisizione di case cantoniere e dei sedimi ferroviari dismessi; il recupero dei centri storici, come dicevo in precedenza, e il recupero dei beni culturali, storici ed artistici.
I commi 4 e 5 disciplinano i criteri per la presentazione dei progetti e l'aggiornamento annuale del piano. Credo che vada menzionato tra i criteri più significativi che il progetto di legge pone per l'accesso a queste risorse, quello dei tempi per la realizzazione degli interventi e la capacità di coinvolgimento di soggetti finanziatori, pubblici e privati. L'effetto moltiplicatore, quindi, di queste risorse è uno degli elementi fondamentali per dare priorità all'accesso ai 100 milioni del Fondo nazionale per la riqualificazione dei piccoli comuni. I progetti finanziabili vengono individuati con DPCM e le risorse sono ripartite con decreto del Ministero dell'interno. Da ultimi i commi 8 e 9 dispongono in ordine alla copertura degli oneri e al reperimento di queste risorse.
Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Queste risorse, i 100 milioni del fondo nazionale, da soli ovviamente non basteranno a raggiungere tutti gli obiettivi che pone questa proposta di legge. Ma il fondo, queste risorse che vengono messe sul piatto, aprono una breccia: indicano e evidenziano i terreni di progettualità su cui lo Stato è disponibile a concorrere con le proprie risorse. Poi la loro parte la devono fare le piccole comunità locali, mettendosi assieme, costruendo progetti e lavorando per costruire e per adeguare alla propria realtà dei possibili sentieri di sviluppo sostenibile. È questo, se vogliamo, lo spirito di fondo di questo provvedimento: delineare una nuova prospettiva di sviluppo per le migliaia di piccole comunità locali del nostro Paese. Una prospettiva che deve tradursi in tanti progetti concreti di recupero, di riqualificazione del territorio e degli edifici, di riorganizzazione dei servizi – altro tema fondamentale per invertire il declino economico, sociale e demografico di queste realtà –, di valorizzazione del patrimonio artistico, paesaggistico, culturale di cui sono molto ricche queste comunità.
Lì c’è un giacimento di possibile sviluppo per questo Paese: questo giacimento deve essere sfruttato con intelligenza, secondo criteri di sussidiarietà, facendo partire dal basso i progetti che possano costruire percorsi di sviluppo, occupazione, nuove prospettive di benessere e di attrattività per questi territori. È un primo passo, signor Presidente, altri ne dovranno seguire: con questo provvedimento, però, poniamo un punto fermo in una strategia di rilancio di quella che, tante volte, il Presidente Ciampi e i suoi successori hanno chiamato, giustamente, la piccola, grande Italia(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Relatore per la V Commissione
Data:
Lunedì, 26 Settembre, 2016
Nome:
Antonio Misiani