Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 24 Ottobre, 2016
Nome: 
Teresa Piccione

Grazie, Presidente. Ci troviamo ad affrontare, a conclusione di questa lunga giornata di lavori, un tema che meriterebbe sicuramente uno spazio più ampio, perché non è solo relativo alla crisi e ai morsi di questa crisi che, dal 2008 ancora, continua ad incidere sul popolo italiano, ma anche al rapporto che, in particolare nella mozione della Lega, è stato instaurato tra questa situazione di fragilità nella quale verserebbero e versano enti locali, cittadini e imprese e le spese che l'Italia destina ai salvataggi e alla politica sull'immigrazione e sull'accoglienza dei migranti. 
Dicevo che oggi noi affrontiamo questo tema che merita tutta una riflessione. Io partirò invertendo l'ordine, non dalla crisi, ma da una riflessione sul sistema migratorio, sul fenomeno migratorio e sulle conseguenze nel nostro Paese. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno di ingente portata e di lunga durata, se non saremo in grado di invertire la politica e le politiche internazionali. Non credo che oggi qualcuno si senta più di affermare che si possa parlare di emergenza migranti: un'emergenza, di volta in volta, riconducibile alla crisi mediorientale, ora irachena, ora afgana, ora siriana o libanese, se, come accade, ci troviamo di fronte a grandi flussi africani, che sfuggono alle guerre del Corno d'Africa, all'instabilità e alla violenza dei regimi subsahariani e alle conseguenti condizioni di estrema indigenza e di estremo pericolo per l'incolumità fisica. 
Dico questo perché se veramente vogliamo pervenire ad una terapia del fenomeno, occorre che prima tentiamo una chiara diagnosi. Fermare le migrazioni è difficile, se non impossibile e non mi risulta che in passato alcuno ci sia riuscito, pur avendo tentato strade e maniere diverse. La parola d'ordine è, allora, governare il fenomeno. Come si fa a governarlo ? Non certo come oggi ci viene spesso ricordato o suggerito dalle forze di opposizione o dalla Lega in particolare, mettendo in contrapposizione, quasi fossero coppie antinomiche, migranti contro italiani, migranti contro enti locali, migranti che hanno perso ogni cosa e italiani in difficoltà. Non è con la contrapposizione che si può affrontare questo problema né risolverlo ed è fuorviante ed ingannevole, se non addirittura strumentale costruire tale opposizione riduttiva, oltre che mistificante. Occorrono, invece, coesione e unita. E proprio questi obiettivi sono quelli che il Governo italiano persegue ad intra e ad extra, in Italia e in Europa. 
Il Governo italiano, infatti, affronta e ha già affrontato con il coraggio delle sue scelte sia il problema delle immigrazioni sia quello relativo alla crisi e alle situazioni di fragilità che hanno colpito le nostre imprese e i nostri cittadini. Entrambi rientrano in quella unità di visione strategica per il rilancio e lo sviluppo del nostro Paese, ma anche dell'idea stessa di democrazia. L'Italia lo fa con il coraggio delle sue scelte, dicevo, con quel coraggio che la vede protagonista nei salvataggi nel Mediterraneo. 
Di fronte ai gommoni pericolosamente sovraccarichi, l'Italia non si gira dall'altra parte, anzi, prima attraverso Mare Nostrum, oggi attraverso Frontex e i vari interventi della nostra Guardia costiera, fa quello che tutti dovrebbero fare, proprio in base al codice della navigazione, se non in base alla propria coscienza: salvare chi a mare chiede aiuto e rischia il naufragio; nel codice della navigazione è obbligatorio. Ancora ieri si sono registrati sbarchi e ancora salvataggi e stamattina sono arrivati nella mia città, Palermo, più di mille migranti e 17 salme, 3 bambini. Sono stati soccorsi da una nave norvegese nelle acque del Mediterraneo, approdano sulle nostre coste, prima di tutto sulle coste della mia isola, la Sicilia; sono i nuovi popoli del mare che non ha e non consente confini. Io li ho incontrati al porto di Palermo, ho assistito agli sbarchi, hanno sui volti paura e orrore, gli sguardi sperduti, barcollano, qualcuno sta male, qualcuno deve essere reidratato e stabilizzato. Ci sono le tende da campo dell'ASP 6 con gli operatori sanitari, i pediatri che accolgono i bambini, talvolta senza famiglia. Si muovono all'unisono, senza più parlare per intendersi, le donne e gli uomini della Croce rossa, della Caritas, delle organizzazioni umanitarie, il prefetto, il questore, spesso il sindaco, in una sincronia perfetta, segno di comprovata esperienza e reiterata accoglienza. Ci sono i pullman per i trasferimenti, si mette in moto la macchina per trovare gli alloggi, qualcuno piange, c’è chi ha perso i parenti nella traversata, c’è chi ha abortito e chi deve partorire. Temo che aspetteremo ancora per poco la stagione di una nuova letteratura che ci racconterà questi viaggi e avrà lo stesso colore, lo stesso dolore di quella della Shoah. 
No, l'Italia non può voltarsi dall'altra parte e non può farlo neanche l'Europa. C’è un passaggio nella mozione della Lega che fa riferimento alla cultura italiana ed europea dell'accoglienza, salvo poi restringerla nella realizzazione; dice: come il buon padre di famiglia non può accogliere più di quanto non consenta la casa per non rovinare la vita dei familiari. Il concetto è più o meno questo. Ma ci sono momenti in cui le case si allargano a dismisura, nei terremoti, nelle alluvioni, nelle guerre. L'Europa ha 500 milioni di abitanti e zone la cui densità abitativa è bassissima. Se il peso di un fenomeno come quello migratorio è lasciato sulle spalle delle sole Italia e Grecia può disorientare e fare paura ed è per questo che il Governo italiano, non solo risponde all'emergenza degli sbarchi, ma ha presentato in Europa proposte come il Migration compact, nell'aprile scorso, che contiene diverse misure, a mio avviso, non più differibili, ne cito alcune che coniugano insieme sicurezza, sviluppo e accoglienza: progetti di investimento, bond Ue-Africa per finanziare progetti infrastrutturali e facilitare l'ingresso dei Paesi africani ai mercati finanziari, cooperazione sul fronte della sicurezza, opportunità di migrazione legale, schema di reinsediamenti. In cambio di ciò si può chiedere il controllo dei confini e la riduzione dei flussi, la cooperazione su rimpatri e riammissioni, la gestione dei flussi dei rifugiati, l'applicazione di sistemi di asilo nazionale, la lotta comune contro i trafficanti. Sono misure che attestano che la strategia del Governo è oculata ed è in grado di avanzare proposte da realizzare in Europa e con l'Europa nel breve, nel medio e nel lungo periodo, proposte in grado di governare il fenomeno, promuovendo politiche di condivisione e solidarietà tra gli Stati membri, senza le quali non è nemmeno possibile parlare di Europa. 
Avvicinandoci al sessantesimo anniversario del Trattato di Roma, il nostro sforzo deve essere quello di rendere la commemorazione un memoriale e di saperne riprendere lo spirito fondativo; l'Italia sta facendo uno sforzo enorme e non certo a scapito delle politiche economiche e di sviluppo del nostro Paese. Sappiamo tutti che la crisi finanziaria del 2008 si è trasformata in crisi economica e, quindi, in crisi sociale; sappiamo che l'Italia ha perso 7 punti di PIL in questi anni, la Sicilia 14; sappiamo che questa crisi morde ancora, ma sappiamo pure che l'Italia è ripartita, dal 2014 la sua crescita è documentata, seppure non è quella che vorremmo. 
Il Governo Renzi ha rimesso in moto il Paese, con una serie di misure che hanno avuto un forte impatto sulla realtà italiana. Voglio ricordarne alcune di sostegno al reddito e alla famiglia: gli 80 euro, il bonus bebé, la carta famiglia per i servizi, il mantenimento della social card, la creazione della SIA, Sostegno per l'inclusione attiva, partita sperimentalmente nelle città di Palermo, Catania, Napoli e Bari e poi estesa all'intero Mezzogiorno, i voucher per il servizio di babysitting, una legge, la prima, di contrasto alla povertà, con uno stanziamento, nel 2016, di 600 milioni e, dal 2017, di un miliardo all'anno. Ci sono poi le misure a sostegno delle imprese e del lavoro: decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato, riduzione delle forme più precarie del lavoro col Jobs Act, emersione delle partite IVA, misure per la maternità nei contratti a tempo determinato, riforma degli ammortizzatori sociali nell'ottica di una maggiore universalità, ridisegno delle politiche attive del lavoro, Ecobonus. Anche relativamente alla politica fiscale ricordiamo la riduzione dell'IRAP per le imprese, l'abolizione dell'IMU sulla prima casa, lo scongiurato aumento dell'IVA. Per non parlare dello sforzo riformatore che ha caratterizzato le politiche governative e che si iscrive nel complessivo rilancio della competitività del nostro Paese. Cito per tutti due esempi: la riforma del lavoro e quella della pubblica amministrazione. 
Proprio in virtù di tali politiche riformiste e riformatrici ci presentiamo a testa alta in Europa e possiamo denunciare la sua afasia a proposito del problema migratorio e chiedere che esso sia affrontato e che venga individuata una soluzione unitaria per la ricollocazione dei migranti, senza consentire ai Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca) di sottrarsi alle loro responsabilità e di usare l'Europa come un bancomat. Ha ragione il Presidente del Consiglio quando invoca per i Paesi dell'Unione parità di diritti e di doveri. Siamo consapevoli che sostenere da soli l'accoglienza dei flussi migratori è impresa ardua e che molti enti locali, front office dei flussi, stentano a trovare soluzioni alle richieste, è pure vero, però, che degli ottomila circa comuni italiani solo duemilasei hanno dato la disponibilità a ospitare i centri con il conseguente sovraffollamento di alcuni territori rispetto ad altri. Fa specie vedere che, anche nel sistema SPRAR, la maggiore concentrazione di presenze si trovi nel Lazio, in Sicilia, in Puglia e in Calabria, determinando un'innaturale persistenza dei migranti nei centri temporanei. 
Un'ultima riflessione che forse serve meglio a capire perché migranti e sviluppo non costituiscono coppie antinomiche; basta guardare i dati del rapporto Moressa: 11 miliardi sono i contributi previdenziali versati dai migranti ogni anno ed è di questi giorni la notizia che, grazie a loro, vengono pagate 640.000 pensioni. Sette miliardi è l'IRPEF versata, 96 miliardi il valore aggiunto prodotto da 550.000 imprese di immigrati, a fronte della spesa destinata loro che ammonta al 2 per cento dell'intera spesa pubblica italiana. Consapevoli, però, delle sfide che ci attendono, noi chiediamo al Governo di continuare a pressare sull'Unione europea perché si addivenga a scelte impegnative e condivise, secondo lo spirito del Migration compact, che si riveda il sistema di Dublino, che si rafforzi il sistema SPRAR, anche sostenendo, con incentivi, i comuni che vi aderiscono, che si continui nella lotta contro la povertà con strumenti sempre più efficaci, anche favorendo la rapida approvazione al Senato del disegno di legge votato alla Camera, nella convinzione che è possibile coniugare crescita, sviluppo e accoglienza. Ancora una volta la Sicilia si presenta come una metafora di tale possibilità. Fino al 1492, cioè fino al malaugurato momento in cui Filippo II, re di Spagna, cacciò moriscos e marranos, arabi ed ebrei, in Sicilia vissero in pace greci e bizantini, latini e normanni, arabi ed ebrei, e fu quello il periodo del suo più grande splendore.