Discussione
Data: 
Giovedì, 9 Marzo, 2017
Nome: 
Marietta Tidei

Presidente, io prima di iniziare il mio intervento sul prossimo Consiglio europeo, vorrei manifestare il mio imbarazzo per le parole espresse dal Vicepresidente della Camera Di Maio. E lo dico soprattutto perché quelle parole, che nulla c'entrano con il Consiglio europeo, con l'agenda del Consiglio europeo, sono state espresse in un momento cruciale per il progetto europeo, e sono state espresse da un uomo delle istituzioni, il Vicepresidente della Camera. Vorrei dire per suo tramite, Presidente, all'onorevole Di Maio che nel PD nessuno si fa dare lezioni sulla credibilità politica, soprattutto in Europa, da un movimento che in Europa è passato con grande disinvoltura (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) – almeno, ha tentato di passare – dall'UKIP di Farage all'ALDE, ma siccome lì non li hanno voluti... E tra l'altro andavano lì solo per una questione di rimborsi e di fondi, perché questo dobbiamo dirlo ! Sono stati costretti a tornare con la coda tra le gambe da Farage. Quindi, io direi che prima di parlare di credibilità politica, probabilmente bisognerebbe guardarsi in casa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) !
  Ci tengo però a dire quello che penso sul prossimo Consiglio europeo, perché il Presidente Gentiloni prima diceva che si tratterà di un Consiglio di transizione. Si tratta comunque di un consiglio molto importante, perché è l'ultimo prima delle celebrazioni del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, e comunque presenta un'agenda ambiziosa quanto necessaria: sicurezza, politiche migratorie, politica estera, sono alcuni dei punti all'ordine del giorno. Rappresentano questioni che chiamano l'Europa ad una rinnovata sfida con se stessa e nel rapporto con gli altri player internazionali, quelli tradizionali e quelli che negli ultimi anni hanno rivendicato un ruolo sempre più forte nei diversi scenari regionali.
  Sul fronte dell'immigrazione è necessario dare seguito agli impegni assunti a Malta, ma anche rilanciare con vigore la necessità di modificare il regolamento di Dublino, figlio a mio avviso di un altro tempo e di un'altra storia. È un impegno ineludibile, di fronte al quale tutti i Paesi membri dell'Unione europea devono fare la loro parte: per tanto, troppo tempo infatti l'egoismo di alcuni Paesi ha provocato squilibri e problemi sul fronte dell'accoglienza dei migranti, che resta una missione innanzitutto umanitaria che l'Europa non può eludere. Muri e fili spinati non hanno rappresentato la soluzione ad un tema che invece richiede il rispetto degli impegni assunti in sede comunitaria, a iniziare da quelli sui ricollocamenti. E voglio ricordare la decisione del Consiglio europeo del settembre 2015, che prevedeva il ricollocamento di 160 mila migranti presenti allora in Italia e in Grecia, e che ad oggi risulta ampiamente disattesa, visto che sono state ricollocate poco più di 11 mila persone. Ho citato questo punto, Presidente, perché credo che anche su questi temi si misuri la credibilità dell'Europa: come possiamo pretendere che i cittadini europei credano ancora nel progetto europeo, se non siamo in grado di far rispettare le decisioni che le stesse istituzioni europee hanno assunto ?
  Dove sta andando l'Europa ? Cinque gli scenari previsti dal Libro bianco della Commissione per una riflessione sullo stato dell'Unione post Brexit entro il 2025: è importante, a mio avviso, tenere conto di questo documento, soprattutto nella parte in cui si esplicita un forte richiamo all'Europa di Rossi e di Spinelli, i padri fondatori della nostra Europa, e ad un patriottismo europeo fondato sulla solidarietà, sull'integrazione, sulla coesione.
  Altro punto qualificante dell'agenda del prossimo Consiglio è la politica di allargamento dell'Unione europea ai Paesi dei Balcani occidentali: se ne parla poco, anche in quest'Aula, e anche oggi se ne è parlato poco. È evidente che il complesso dossier turco e lo stallo che ne è derivato alla fine del 2016 destano serie preoccupazioni per il futuro dell'integrazione europea dei Paesi balcanici, facendola scivolare in fondo all'agenda delle priorità europee, monopolizzata in questo momento dei negoziati sulla Brexit, dalla gestione di altri complessi dossier, dal Medioriente alla Turchia ai rapporti con l'America post Trump. Credo però che per ragioni di coerenza e credibilità nella gestione delle relazioni esterne dell'Unione europea, occorra assicurare prospettiva al percorso di integrazione europea dei Balcani occidentali, perché è indubbio che l'unico progetto credibile per conseguire una vera stabilità e una certa prosperità nei Balcani sia l'integrazione di questi Paesi nell'Unione europea.
  Occorre però evitare di guardare a tale percorso nella sola ottica della tutela della sicurezza europea rispetto alle maggiori minacce esterne, come il terrorismo e i flussi migratori incontrollati.
  Sarebbe un errore di valutazione gravissimo non riconoscere l'importanza di per sé dell'integrazione di tale regione nell'Unione europea, per ragioni che attengono alla tutela dello Stato di diritto, della democrazia, della stabilità regionale e continentale, alla cura delle ferite ancora aperte a seguito di tragici conflitti interetnici e da ultimo, ma non per importanza, al bilanciamento del peso politico ed economico eccessivo di attori esterni rispetto a questioni di interesse strategico, vitali per l'Europa e per Italia.
  L'Italia, per ragioni geografiche e storiche, coltiva da sempre l'ambizione di svolgere un ruolo propulsivo per la cooperazione regionale e per l'integrazione europea dei Balcani occidentali.
  La presidenza italiana di quest'anno del processo di Berlino ci permetterà di rilanciare questo percorso solo se saremo in grado di integrarlo in una riflessione di più ampia portata regionale, destinata ad includere il Mediterraneo e le grandi dinamiche che stanno attraversando la nostra regione.
  Mi riferisco alle sfide della sicurezza e giova ricordare i numeri, assolutamente preoccupanti, di foreign fighters provenienti da quella regione.
  Quanto al processo di integrazione europea, mai come in questa fase è a tutti evidente la centralità e la delicatezza della riflessione sul progetto europeo e sull'Unione, soprattutto nel suo assetto istituzionale ridisegnato a Lisbona.
  Le gravi crisi e sacche di instabilità che incombono lungo i confini del continente hanno fatto emergere le carenze dell'architettura istituzionale europea, non attrezzata a fare della UE quell'attore protagonista della politica internazionale che tutti gli europeisti convinti auspicano.
  Dobbiamo rilanciare l'azione dell'Europa.
  È un'Europa che si interroga oggi se andare a una doppia velocità.
 L'Italia, Paese fondatore del progetto europeo, è tra i più attivi nelle sfide che l'Europa affronta oggi e deve necessariamente stare nei vagoni di testa.
  L'Europa a più velocità deve però puntare a rafforzare l'integrazione: oggi più che mai urgono cooperazioni rafforzate e geometrie variabili, per dare nuovo impulso al vecchio continente dopo Brexit, le bordate anti-europei di Trump, il rischio dei populisti alle porte del Governo in Paesi come Francia e Olanda.
  È il momento di fare un grande salto in avanti.
  Il modello di Europa a cui dobbiamo guardare è quello in grado di distinguere le dimensioni della zona di integrazione politica dall'area di semplice cooperazione economica.
  Occorre ridurre l'area delle decisioni intergovernative e rafforzare il principio di sussidiarietà: in altre parole, un modello che abbia due governi di livello ben distinto, riconoscibili come tali, quello federale e quello invece che è in capo alla responsabilità dei singoli Stati, anche in forma associata tra di loro, nel contesto del Consiglio europeo.
  È un disegno che deve mirare a rafforzare l'integrazione, a renderla più autentica e soprattutto più efficace, un'integrazione che deve guardare alla crescita, allo sviluppo, non all’austerity, come ha fatto fino ad oggi.
  Lo scenario economico mostra ancora evidenti segni di fragilità per tutta l'Europa e nuove incertezze e rischia di gravare sulle prospettive di crescita dell'eurozona.
  È necessario puntare sulla crescita, è doveroso farlo e il contributo che il Governo italiano ha dato in sede europea negli scorsi mesi va portato avanti con maggiore convinzione.
  Il rafforzamento del Piano Junker e il piano europeo per gli investimenti esterni hanno rappresentato l'inizio dell'inversione di tendenza. Ora occorre andare avanti.
  Le raccomandazioni del Consiglio sulla politica economica sottolineano la necessità di concentrarsi su crescita e creazione di posti di lavoro, su politiche di bilancio sane e sul completamento dell'unione bancaria e questi impegni vanno portati a termine.
  In molti casi purtroppo è prevalsa l'idea di ridurre l'Europa a moneta, mercato e finanza, ma in quest'ottica sono restate sullo sfondo, prive di una dimensione comune e lontane da una reale operatività, le questioni del welfare, quelle relative alle politiche migratorie, alla sicurezza, alla difesa comune.
  Ad oggi il sistema decisionale europeo è estremamente complesso, una complessità non priva di efficacia, ma si potrebbe fare molto di più e molto meglio.
  Può la sola moral suasion essere una metodologia decisionale ?
  Il fallimento della politica di accoglienza dei migranti ne è l'esempio principe: senza una rete di misure che costringa tutti gli Stati a compiere il loro dovere, ognuno si sentirà legittimato ad aderire al dettato complessivo solo se la cosa gli conviene.
  Abbiamo sanzioni per gli sforamenti di bilancio, ma nessuna sanzione si applica per chi si rifiuta di essere solidale e io non credo che la finanza possa venire prima della giustizia sociale.
  Per molti cittadini Bruxelles è quel mostro cattivo che ci punisce se spendiamo troppo e ci dice cosa dobbiamo fare e non fare, che ci ha sottratto le redini del nostro destino.
  I cittadini non sentono come casa propria l'Unione, né si sentono parte attiva del processo di integrazione europea: su questo dobbiamo lavorare.
  Nella dimensione mediatica certo la politica dell'immigrazione ha tenuto banco, giustamente, sia da un punto di vista umanitario sia perché è stato il banco di prova più duro della tenuta dell'Europa e, dopo l'accordo tra Turchia ed Unione europea e la conseguente chiusura della rotta balcanica, il Mediterraneo e quindi l'Italia hanno subito la maggiore pressione sui flussi migratori.
  L'Italia ha fatto molto non solo nel salvataggio e nell'accoglienza, ma siamo stati chiari con il migration compact, nel dire per esempio che, senza una reale cooperazione, tra i Paesi di origine, di transito e di destinazione poco si può fare su quel fronte.
  E c’è poi la questione della difesa e della sicurezza comune, il progetto Schengen della difesa, che va sostenuto e ulteriormente sviluppato.
  Tra pochi giorni in quest'Aula – è stato ricordato spesso – celebreremo il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma.
  Dovremo far sì che questo evento non si limiti ad un momento solo celebrativo, dobbiamo far sì che possa costituire un momento di riflessione profonda su come salvare il progetto europeo.
  Riformiamo l'Europa, facciamone una patria per tutti i suoi popoli, una patria che si curi dei suoi figli, che non chieda perennemente di stringere la cinghia, ma che si adoperi per il progresso economico, provando a dare a tutti pari opportunità e garantendo universalmente il diritto alla soddisfazione dei bisogni.
  E facciamo sì che l'Italia sia all'altezza della situazione, indicando la strada per ritrovare quell'identità europea necessaria a decidere quale ruolo l'Europa deve svolgere in un mondo sempre più complesso, che ci pone davanti sfide sempre più difficili.