Data: 
Lunedì, 13 Marzo, 2017
Nome: 
Paolo Beni

Signor Presidente, la mozione oggi all’ordine del giorno della collega Santerini (ma con l’occasione di questo intervento preannuncio anche una mozione del nostro gruppo, del Partito Democratico, sullo stesso tema) affronta una problematica a sé stante, dentro la grande questione dei flussi migratori che negli ultimi anni hanno investito l’Europa; soprattutto direi che ripropone all’attenzione di quest’Aula una tragedia di dimensioni enormi, che chiama in causa la responsabilità morale del nostro Paese, dell’Europa, dell’intera comunità internazionale, e di chiunque abbia a cuore il valore della dignità umana.

Nella vicenda drammatica delle decine di migliaia di esseri umani che affrontano la traversata del Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna, pur di fuggire alla miseria, alle guerre, alle violenze, c’è la tragedia di chi non ce la fa, dei morti annegati, dei tanti dispersi sui fondali del Mediterraneo. Sono migliaia ogni anno: quasi 5.000 l’anno scorso, già 522 alla settimana scorsa, dal 1° gennaio di quest’anno; un’ecatombe, insomma. Molti corpi non è stato possibile recuperare e giacciono in fondo al mare: quel Mare Nostrum che era stato ponte fra le grandi civiltà sorte sulle sue sponde, e che oggi è diventato il più grande cimitero del mondo.

Dai dati raccolti - veniva già ricordato - dalle organizzazioni non governative, anche incrociando diverse metodologie di indagine, si stima più o meno che siano state circa 30.000 negli ultimi vent’anni le persone annegate nel tentativo di raggiungere le nostre coste. Si tratta di stime, appunto, perché dati ufficiali non ce ne sono; spesso neppure le testimonianze dei sopravvissuti o dei soccorritori consentono di ricostruire con precisione l’accaduto, come sappiamo, e dopo ogni naufragio assistiamo impotenti alla disperazione dei familiari, dei parenti, che vagano anche per mesi, a volte, senza sapere a chi rivolgersi per avere notizie sui propri cari, che dovevano essere su quell’imbarcazione ma non si trovano più. A volte li rintracciano, spesso li rintracciano già morti e sepolti, magari in un comune diverso da quello dove è avvenuto lo sbarco, e non è più possibile l’identificazione: nella maggior parte dei casi restano ufficialmente dispersi. Si calcola che siano almeno il 60 per cento le vittime di questa tragedia che restano senza un nome.

Per questo già due anni fa, in occasione di un question time in quest’Aula, proponevo al Governo, al Ministro Alfano, di istituire una banca dati, in cui raccogliere appunto nomi, provenienze, età di quanti vengono segnalati dispersi; un archivio a cui potesse accedere chi deve denunciare la scomparsa di qualcuno o chi cerca informazioni, un database in cui convogliare tutte le informazioni disponibili sulle persone decedute o disperse nel Mediterraneo, anche grazie appunto alla collaborazione con organizzazioni non governative, che già da tempo operano nella raccolta di questi dati, allo scopo di favorire sia il ritrovamento dei dispersi che il riconoscimento dei cadaveri recuperati.

Ora, è stato già spiegato dalla collega Santerini molto bene: dare un’identità certa ai migranti morti o dispersi nel Mediterraneo non solo è un doveroso atto di umana pietà, ma attiene anche al dovere istituzionale di garantire ad ogni persona il proprio nome, che è un diritto soggettivo inalienabile sancito dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti umani; poi si tratta di garantire una condizione essenziale per la tutela dei parenti delle vittime, per esempio su questioni relative a ricongiungimenti, all’eredità.

Inoltre - e non è da sottovalutare questo aspetto - una simile banca dati può diventare uno strumento utilissimo a fornirci informazioni su quanto avviene nel Mediterraneo, a ricostruire i percorsi migratori, le rotte e le strategie adottate dai trafficanti, dagli scafisti; diviene un fattore essenziale della strategia di difesa e di sicurezza nazionale e internazionale, ad esempio impedendo che i documenti e le identità delle persone annegate possano essere utilizzati da altri, magari con finalità criminali o terroristiche.

L’allora Ministro Alfano mostrò di condividere queste ragioni, le ragioni umanitarie della nostra proposta, e confermò che il Governo avrebbe fatto tutto il possibile per facilitare la restituzione delle salme alle famiglie e garantire alle vittime, a tutte le vittime una sepoltura dignitosa. Il Governo avrebbe anche valutato con interesse, pur con le cautele necessarie nel trattare informazioni così delicate, l’istituzione della banca dati, coinvolgendo il Commissario straordinario per le persone scomparse, che già dal 2007 fu istituito e che ha competenza rispetto alla tenuta del registro nazionale dei cadaveri non identificati.

Va detto che, in effetti, da allora si sono fatti molti passi avanti: a cominciare dal protocollo di intesa sottoscritto dal commissario straordinario con l’Università di Milano e con il Dipartimento libertà civili del Ministero dell’interno; la sinergia fra amministrazione pubblica e centri di ricerca, come il Laboratorio di antropologia e odontologia forense Labanof dell’Università di Milano, ha consentito, per esempio, di mettere a punto procedure e metodologie all’avanguardia nell’identificazione delle vittime in mare. Si sono definite procedure per fornire supporto e risposte a quanti chiedono notizie dei familiari scomparsi, con avvisi che vengono diramati nei Paesi di partenza dei migranti, grazie alla collaborazione con la Croce rossa internazionale, l’Interpol, la Marina militare e la Guardia costiera.

La determinazione del nostro Governo ha consentito un risultato significativo anche sul piano simbolico, come il recupero dei resti del peschereccio inabissatosi il 18 aprile 2015 al largo della Libia, nel naufragio in cui morirono 800 migranti, forse la più grande tragedia avvenuta nel Mediterraneo; e proprio a Milano dovrebbe sorgere il polo scientifico museale destinato ad ospitare quel relitto.

Quindi, sono passi avanti, eccellenze che fanno onore al nostro Paese anche nella sperimentazione scientifica, ma che rischiano di essere vanificate dalle carenze organizzative. Questo è il problema: a fronte di 10.000 fascicoli aperti, centinaia di cadaveri ancora da identificare, decine di migliaia di segnalazioni di scomparsi su cui fare ricerche, la struttura del commissario straordinario può contare su una dotazione di personale palesemente insufficiente; e la stessa carica del commissario è, ci risulta, scaduta e in attesa di rinnovo.

Le carenze e la precarietà della struttura non facilitano la programmazione, di cui invece ci sarebbe bisogno per portare a compimento le ricerche intraprese, per dar vita ad una nuova banca dati efficiente, in grado di facilitare appunto la ricerca degli scomparsi e fornire alle amministrazioni competenti informazioni preziose.

Per questo chiediamo al Governo di valutare iniziative di riforma che garantiscano il potenziamento del commissario straordinario per le persone scomparse, tanto sul piano ordinamentale quanto su quello della dotazione finanziaria necessaria. Auspichiamo un più efficace coordinamento nel trasferimento delle informazioni fra le diverse competenze istituzionali coinvolte, onde evitare sovrapposizioni e garantire la centralizzazione dei dati relativi ai flussi migratori nel Mediterraneo, anche nell’ottica di un raccordo necessario fra il nostro Paese, gli altri Stati europei e i Paesi di origine.

Chiediamo al Governo di operare ogni sforzo, anche col concorso delle Nazioni Unite - dell’UNHCR, ad esempio - e con il sostegno del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea - sostegni che vanno ricercati - per intensificare la raccolta dei dati che ci consentano di identificare tutti i corpi ancora senza nome dei migranti morti nel Mediterraneo. Pensiamo che queste scelte siano utili e, come cercavo di spiegare, anche necessarie alla sicurezza del nostro Paese, ma soprattutto che sia un doveroso atto di civiltà e di rispetto nei confronti di migliaia di esseri umani che sono morti, in fondo, solo perché avevano l’unica colpa di inseguire la speranza di una vita migliore.