Data: 
Giovedì, 27 Aprile, 2017
Nome: 
Paolo Gentiloni

Signora Presidente, onorevoli colleghi, l'informativa riguarda il Consiglio europeo straordinario di sabato, che ha un unico punto all'ordine del giorno, che è Brexit. Dopo dieci mesi dal voto referendario nel Regno Unito, si avvia formalmente, con la riunione di sabato, che deve dare le linee guida e un mandato a una delegazione negoziale dell'Unione europea, il processo, previsto dall'articolo 50 dei Trattati di Lisbona, di separazione del Regno Unito dall'Unione europea.

I dieci mesi che sono trascorsi dalla data del referendum britannico non sono stati dieci mesi qualsiasi. Innanzitutto perché Brexit - la vittoria del leave nel referendum inglese - è stato, in un certo senso, un riflettore acceso su uno dei momenti di difficoltà e di crisi più significativi nella storia pluridecennale dell'Unione europea. Credo che tutti noi abbiamo nella memoria, ma abbiamo ben presente anche nella realtà, quanto ci sia stato e ci sia tuttora un collegamento tra la decisione di una maggioranza, sia pure molto ristretta degli elettori britannici, di lasciare l'Unione e i venti di crisi che l'Unione hanno attraversato.

Al tempo stesso, in questi dieci mesi, tuttavia, dati economici e risultati politici hanno alimentato la speranza: non solo la speranza di poter conservare il progetto dell'Unione, il progetto europeo, il progetto che, da oltre sessant'anni, vede impegnato il nostro Paese insieme ad altri, ma anche la speranza di poter lavorare per una Unione più forte, soprattutto per una Unione più in grado di affrontare i problemi che ha di fronte e che sono all'origine della sua difficoltà.

Non sarebbe, del resto, la prima volta nella storia dell'Unione europea che un momento di evidente, conclamata, grande difficoltà, di cui Brexit - ripeto - è stata, in un certo senso, anche il riflettore, si traduce in una capacità di reazione e in una capacità dell'Unione di uscire dal momento di difficoltà, cercando strade nuove. Non siamo ancora a questo, non credo che dobbiamo dipingere una realtà più positiva di quella che è, ma non c'è dubbio che di questo noi abbiamo avuto alcuni segnali.

Devo dire anche, con un certo orgoglio, un orgoglio non tanto del Governo, ma l'orgoglio, credo, del Paese, che siamo stati anche noi, qui a Roma, esattamente un mese fa, protagonisti come sistema Italia e come città di Roma, per il valore simbolico che ha avuto questo incontro, di uno di questi segnali di ripresa, di vitalità, di temperie positiva dell'Unione europea, che è stata la celebrazione dei sessant'anni dell'Unione, che ha avuto, credo, un certo interesse per un paio di ragioni, oltre al clima positivo in cui questa celebrazione è avvenuta.

La prima ragione è stata il fatto stesso che i 27 Stati membri dell'Unione europea abbiano sottoscritto una dichiarazione comune. Qualcuno potrebbe dire: ci mancherebbe altro che non si sottoscrivesse una dichiarazione comune in occasione di un anniversario così rilevante; ma noi sappiamo che, in realtà, l'esito non era affatto scontato e sappiamo che, ad esempio, dieci anni fa, nell'occasione dei cinquant'anni dei Trattati di Roma, nonostante uno sforzo durato per settimane, non si riuscì a firmare una dichiarazione comune: la dichiarazione del cinquantenario dei Trattati fu firmata soltanto dai rappresentanti delle istituzioni di Bruxelles e non dagli Stati membri.

Al di là di questo - ripeto e lo dico, avendoci in parte anche speso una certa quantità di lavoro -, al di là del fatto importante in sé che i 27 hanno sottoscritto questa dichiarazione impegnativa per i prossimi dieci anni dell'Unione, c'è anche il merito di questa dichiarazione, che, al di là dei i punti essenziali, che credo tutti ben conosciamo - del condiviso discorso europeo -, contiene tuttavia un elemento di novità, che al momento è semplicemente una novità potenziale, ma che tutti, credo, abbiano ampiamente colto e registrato: per la prima volta, si introduce la possibilità, perfino l'importanza e l'utilità, di avere, nell'ambito della costruzione europea, una prospettiva di livelli differenziati di integrazione.

Voi sapete che uno dei dogmi fondamentali dell'Unione europea è sempre stato quello di una unione che, nel complesso dei suoi Stati membri, ha come traguardo, come obiettivo, quello di una integrazione sempre maggiore, la ever closer union tra i diversi Paesi. Non si cancella naturalmente questa aspirazione, ma si introduce l'idea che, nell'ambito di questa cornice, ci possano - e noi riteniamo ci debbano - essere dei terreni sui quali avanzano livelli di integrazione differenziata, perché la negazione di questa possibilità finisce per essere soltanto la presa d'atto che il ritmo di movimento dell'Unione europea finisce per essere dettato dai Paesi che pretendono - legittimamente, se questa è la decisione dei loro Governi - di rallentare tutti i processi di integrazione. Ma è chiaro che, se un convoglio che ha 27 vagoni si muove necessariamente alla velocità dettata dal più lento di questi 27 o da quello che vuole procedere più lentamente, il risultato non è certo dei migliori.

Quindi, credo che si possa dire, di questi giorni, settimane, che ci separano dalle celebrazioni di Roma, dal tempo trascorso in questi mesi, dopo la decisione di Brexit, dalle settimane trascorse dopo la formale decisione del Governo di Londra di attivare l'articolo 50 del Trattato dell'Unione, alla fine io credo che si possa dire che coloro che temevano o speravano - perché c'erano entrambe le opinioni - che Brexit sarebbe stata una miccia per l'implosione dell'Unione europea, si sono sbagliati. Le cose non sono andate così e questo non significa affatto sottovalutare l'importanza di Brexit, significa registrare il fatto che dall'Austria all'Olanda - mi auguro, alla Francia, nei prossimi dieci giorni - sono venuti dei messaggi chiari, non che negano l'esistenza di problemi, di difficoltà, perfino di crisi nel progetto europeo, ma che registrano il fatto che le forze che legittimamente ritengono che da questi problemi e da queste difficoltà si debba uscire abbandonando l'Unione europea sono delle minoranze. E questo, a mio parere, è un segnale molto positivo e incoraggiante per il destino dell'Unione europea e di quanto noi italiani abbiamo investito e investiamo nel progetto dell'Unione.

La maggioranza dei cittadini europei, stando a quello che si vede da pronunciamenti più recenti, e io ne sono fortemente convinto, è una maggioranza che tuttora si schiera per una società aperta. La maggioranza dei cittadini europei ritiene che il patriottismo, che è un valore in cui - credo - tutti gli italiani si riconoscono, non debba essere confuso con una sorta di nazionalismo ostile nei confronti dei propri vicini. La maggioranza dei cittadini europei ritiene che, attraverso il dialogo, gli scambi commerciali, il confronto culturale e il dialogo interreligioso, ci sia la possibilità di costruire il progresso, il benessere, il futuro del nostro continente, e questa è una verità che è andata emergendo in questi mesi, che mi auguro continui ad emergere nei prossimi mesi e che ci conforta nell'impostazione che credo dobbiamo avere nei confronti dell'Unione europea.

Sabato, onorevoli colleghi, approveremo un documento con le linee guida per il negoziato con il Regno Unito, documento la cui condivisione, mettiamola così, si sta perfezionando in queste ore tra i 27. Oltre al documento con le linee guida, daremo inoltre un mandato a una delegazione, che, come sapete, è guidata da Michel Barnier, ex Ministro francese, un negoziato che, immagino, entrerà nel vivo nelle prossime settimane, dopo l'appuntamento dell'8 giugno, non credo prima dell'appuntamento dell'8 giugno, data che, come è noto, è stata scelta dal Primo Ministro britannico per delle elezioni rapide nelle quali Theresa May chiederà un mandato in parte finalizzato anche a questo stesso negoziato, per il quale sabato approveremo le linee guida e daremo mandato a una delegazione dell'Unione, e che quindi, immagino, dalla metà di giugno prenderà il via.

Noi ci muoviamo dentro questo negoziato con alcuni principi ispiratori: il primo, al quale io sono molto affezionato, è che noi siamo e restiamo amici e alleati del Regno Unito, non confondiamo le dinamiche che si sono aperte con Brexit e che certamente non saranno semplici da gestire nei prossimi mesi, perché tutti sanno che sarà un negoziato molto complicato, su tantissimi dossier, che apparentemente sono molto tecnici e specifici, ma che investono categorie produttive, comunità, interessi di enormi dimensioni.

Ma nonostante la complessità del negoziato, un punto a mio parere deve essere fuori discussione, e cioè il fatto che ci lega al Regno Unito una radicata e antica amicizia geopolitica di interessi comuni, di condivisione nella NATO e in altri contesti, che sarebbe assolutamente un errore trascurare, dimenticare e rinnegare di fronte a questa nuova dimensione. Lo voglio dire in modo ancora più chiaro: se qualcuno - e in parte c'è questa sensibilità in alcune componenti nel contesto dei 27 Paesi europei - avesse in mente che la posizione inglese debba essere in qualche modo punita, quasi con una vendetta esemplare che possa essere di insegnamento ad altri Paesi che coltivassero l'idea di uscire dall'Unione europea, quindi dando un messaggio molto, molto aggressivo nei confronti del Regno Unito in modo tale che non ci siano tentazioni da parte di altri Paesi, a mio parere compirebbe un grave errore, perché noi abbiamo interesse a un accordo con il Regno Unito, giusto, equo, e perché noi sappiamo bene che mettere in discussione, mettere in minoranza le spinte che ci sono in diversi Paesi europei a considerare l'uscita dall'Unione come una risposta ai problemi, non lo si fa perché si impartisce una dura lezione al Regno Unito, ma lo si fa nella dinamica interna ai diversi Paesi, nel confronto aperto e leale tra le posizioni, nella fiducia, per quanto ci riguarda, nel progetto storico dell'Unione e nella possibilità che questo progetto, oggi, venga rafforzato. Quindi, un'amicizia che non si rinnega e un intento vendicativo che l'Italia, se mai ci fosse, non condivide e considererebbe un errore.

Secondo punto. Noi siamo fermi - ed è una posizione direi condivisa dal 90 per cento dei Paesi europei - sull'idea che si debbano distinguere, nel negoziato con il Regno Unito, due fasi: una prima fase, nella quale si negoziano le modalità del recesso, secondo le regole previste dall'articolo 50, del Regno Unito dall'Unione; e una seconda fase, nella quale sì definisce il quadro nuovo, diverso da quello attuale, dei rapporti tra Regno Unito e Unione europea.

Nel frattempo, tra queste due fasi si possono anche definire degli accordi limitati e di durata ben definita su alcune singole questioni che difficilmente possono restare appese nel corso di due anni o anche più, perché sapete che l'articolo 50 prevede un termine di due anni per il negoziato sul recesso dall'Unione, ma non ci sono precedenti su quanto possa durare un negoziato sulla ridefinizione dei rapporti tra un Paese così importante come il Regno Unito e l'Unione europea, anzi ci sono dei precedenti per la definizione di rapporti con Paesi importanti come il Canada o aree specifiche come la Groenlandia, che hanno portato anni e anni di negoziati, nel corso degli anni precedenti a questo. Quindi, può darsi che siano necessari degli accordi limitati, di durata definita, proprio perché è difficile oggi fare una previsione sulla durata, che noi ci auguriamo rapida, non del recesso, perché lì i tempi sono chiari e stabiliti da trattati, ma sulla durata del nuovo quadro di rapporti tra Unione e Regno Unito.

Sarà il Consiglio europeo a decidere quando passare, se volete, dalla prima alla seconda fase, quindi dalla fase del recesso alla fase del quadro dei nuovi rapporti. Una cosa è certa, naturalmente: che questo quadro dei nuovi rapporti di cui si comincerà a discutere - sia pure non negoziandolo da subito, se ne sta, in realtà, discutendo già da nove mesi - non può essere caratterizzato da una sorta di mercato unico à la carte che verrebbe concesso al Regno Unito, perché è evidente che il mercato unico è una straordinaria risorsa per qualunque dei ventotto - e in futuro ventisette - Paesi membri dell'Unione, come dimensioni del mercato, come potenzialità economica per le imprese, per i cittadini che si muovono, ma non si può immaginare che qualcuno decida di questa enorme risorsa del mercato unico di prendere ciò che gli interessa e, cioè, la parte economico-finanziaria, e di chiudere su ciò che non gli interessa e, cioè, la libera circolazione delle persone, ad esempio. Quindi, la conclusione di questi nuovi rapporti sarà una conclusione che non potrà che ridefinire questi rapporti e non potrà essere, invece, una conclusione che tiene il mercato unico, togliendone alcuni pezzi sgraditi al Governo di Londra.

Infine, io credo che sia utile sottolineare, come io, personalmente, ho sempre fatto, che l'unità tra i 27 Paesi membri dell'Unione in questo negoziato è assolutamente cruciale: lo è per i 27, ovviamente, per ragioni negoziali, ma lo è anche per il Regno Unito, e mi sono permesso di dirlo più volte al Primo Ministro britannico. Perché immaginare che i 27 divisi, ciascuno ingaggiato in un negoziato che possa riguardare i propri più specifici interessi, può apparire come un vantaggio, ma, in ultima analisi, rischia di essere una pietra tombale sulla possibilità di raggiungere un accordo, perché l'accordo, una volta raggiunto, dovrà essere, poi, approvato dall'insieme dei 27 Paesi membri dell'Unione europea e, quindi, in un certo senso, mantenerne l'unità è fondamentale anche per i nostri amici britannici nel corso di questo negoziato.

Noi confidiamo che si arrivi ad un quadro di nuovi rapporti con il Regno Unito positivo, è nell'interesse del nostro sistema economico, delle nostre imprese, degli scambi che abbiamo con questo grande Paese, anche se bisogna dire che l'Italia non è tra i Paesi più - tra virgolette - colpiti, più a rischio: ci sono altri Paesi europei che hanno un livello di integrazione e di interscambio con il Regno Unito molto, molto più rilevante del nostro. Ma noi siamo interessati che la storia del quadro di relazioni tra l'Unione e questo Paese finisca nel migliore dei modi.

Così come siamo interessati in modo molto netto al fatto che tra le priorità di questo negoziato, anche nella sua fase immediata, ci sia il destino dei cittadini dei diversi Paesi dell'Unione europea che attualmente risiedono nel Regno Unito: si tratta di 3.200.000 cittadini europei, all'incirca un 15 per cento di questi sono italiani, che risiedono nel Regno Unito. Noi abbiamo il dovere e il diritto di pretendere per questi nostri concittadini diritti e tutele amministrative certe, immediatamente applicabili, non discriminatorie e basate su un principio di reciprocità con i cittadini britannici: sono 900 mila che vivono nei diversi Paesi dell'Unione. Ci sono alcuni Paesi e, soprattutto un Paese, la Spagna, in cui ci sono più cittadini britannici di quanti spagnoli ci siano nel Regno Unito. Normalmente è il contrario, ma, certamente, dobbiamo fondare questo negoziato su questo punto: su certezze e reciprocità.

Ce lo chiedono i nostri concittadini e credo che sia un nostro dovere porre - e lo faremo - questa come questione assolutamente prioritaria nella prima fase del negoziato.

Infine, il negoziato e, comunque, l'uscita del Regno Unito, oltre a imporre queste diverse discussioni apre per il nostro Paese anche alcune opportunità: opportunità sul piano economico, finanziario - avremo modo credo di discuterne nei prossimi mesi ampiamente - e anche opportunità di competere nella ridislocazione di alcune delle grandi agenzie europee che hanno sede oggi a Londra - sono due le più grandi: una di carattere finanziario e l'altra sui farmaci - e che sono destinate ad essere ridislocate. In particolare, voi sapete che Milano si candida e il Governo è pienamente impegnato a sostenere questa candidatura: io ho dato incarico al professor Moavero Milanesi, ex Ministro per gli affari europei, d'intesa con il sindaco Sala e con il presidente Maroni, di seguire per conto del Governo questo dossier. Penso che Milano abbia delle ottime chance per le sue caratteristiche di ospitare questa grande agenzia europea, però sappiamo anche che ci sono una ventina di Paesi candidati, quindi, non sarà una competizione semplice. Ce la possiamo giocare e credo sarebbe molto importante per il sistema Italia arrivare ad un buon risultato.

In conclusione, è chiaro, signora Presidente, onorevoli colleghi, che, in parallelo con questa discussione, con questo negoziato su “Brexit”, ci attende anche nelle prossime settimane e nei prossimi mesi un più generale confronto sul futuro dell'Unione. Un confronto nel quale - tanto più in un'Europa a 27, in cui i grandi Paesi non sono più quattro, ma diventano tre, per intenderci - l'Italia non solo può, ma deve svolgere un ruolo da protagonista. Un ruolo nel quale, al di là delle ovvie differenze nelle posizioni di ciascuno, è fondamentale per il Governo il confronto, la dialettica e, se possibile, quando è possibile, il supporto del Parlamento.

La discussione sarà sugli orizzonti dell'Unione europea nelle prossime settimane, anzitutto per quanto riguarda le sue politiche economiche, perché ci sono dati macroeconomici incoraggianti, anche se in modo differenziato da Paese a Paese, ma che, in generale, vedono, a livello macroeconomico, la crescita con dei lievi miglioramenti, i tassi di disoccupazione con delle lievi flessioni, i tassi di inflazione con una lieve crescita, un quadro macroeconomico tendenzialmente più incoraggiante.

Ma noi sappiamo perfettamente che la logica dei numeri macroeconomici non coincide necessariamente, anzi, talvolta, non coincide quasi per nulla, con il fatto che le dinamiche sociali, il superamento delle ferite provocate dalla crisi di otto-dieci anni fa siano effettivamente superate. Questo è il motivo per il quale oggi servono politiche di sostegno alla ripresa a livello europeo; serve proseguire nelle politiche di stimolo della Banca centrale europea; serve che prenda il verso giusto la discussione in corso sui criteri di aggiustamento strutturale e sul loro adeguamento alle necessità che abbiamo oggi.

Questa è una discussione che sarà importantissima nel prossimo mese: le matrici e i criteri attraverso i quali l'Unione europea discute dell'aggiustamento strutturale delle diverse economie. Si tiene conto, con questi criteri, della realtà dei livelli di crescita e, quindi, dell'importanza di non deprimere tali livelli di crescita, ma di incoraggiarli, oppure si fa una discussione basata soltanto su alcuni numeri, che sono stati decisi magari sette-dieci anni fa?

Questo è un bivio per l'Unione molto importante e, guardate, non è una richiesta dell'Italia. Certamente l'Italia è tra i Paesi interessati a tale discussione, ma essa riguarda un numero molto, molto consistente di Paesi europei e, se li mettiamo tutti insieme, forse addirittura la maggioranza dal punto di vista del PIL dei Paesi europei. Vedremo se riusciremo a costruire una posizione comune che porti ad avere posizioni più avanzate sugli aggiustamenti strutturali.

Il secondo punto è quello delle politiche migratorie. Ne abbiamo parlato tante volte in questa sede, in Parlamento, quindi mi limito a ribadire un punto che il Governo ha sempre sostenuto, cioè che noi non accettiamo l'idea, come ho detto più volte, di un'Europa a due rigidità, ossia un'Europa che sia molto rigida su alcuni criteri, quando si calcolano, ad esempio, le dinamiche di applicazione dei patti fiscali, e sia invece molto flessibile, quando si devono applicare le decisioni sulla ricollocazione dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Questa logica per noi non è accettabile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e Civici e Innovatori) e quindi siamo convinti che si debba procedere; e guardate che tutto quello che è stato fatto in questi due anni verso politiche migratorie comuni dell'Unione europea è stato fatto a trazione italiana: dal primo vertice che facemmo dopo l'affondamento della nave a largo delle coste libiche, nel maggio del 2015, alle ultime vicende di queste settimane sull'Accordo con la Libia e con il Niger, in questa politica, che spinge per una politica migratoria comune, l'Italia fa da traino all'insieme dell'Unione europea. Ci sono passi avanti, ma la lentezza di questi passi avanti va superata e l'idea di rigidità diverse a seconda del tema per noi non è accettabile.

Infine, ci sarà da discutere di questo principio che abbiamo introdotto nella Dichiarazione di Roma dei diversi livelli di integrazione. È una porta che è stata dischiusa: bisognerà, nei prossimi mesi, riempire tale potenzialità di contenuti e io sono convinto che il primo dossier su cui si faranno passi in avanti, anche perché è il contesto internazionale che ci spinge in questa direzione, sarà il dossier della difesa comune, che è nel nostro interesse dal punto di vista sia geopolitico sia dell'ottimizzazione delle risorse dedicate al settore della difesa.

Quindi, credo che dobbiamo caratterizzarci, in parallelo, ripeto, con i negoziati su Brexit, nei prossimi mesi, durante i quali tali vicende si intrecceranno ad appuntamenti elettorali di grande rilievo e ci sarà un dibattito sul futuro dell'Unione, dobbiamo caratterizzarci per coloro che si battono non solo per tutelare gli interessi italiani, ma per concorrere a definire la cornice del destino comune. Infatti, sono sempre stato convinto e lo sono più che mai che il modo migliore per difendere e tutelare gli interessi italiani sia quello di svolgere un ruolo da protagonisti, come Italia, nella definizione del destino comune ed è questo che il Governo farà, a cominciare dall'incontro di sabato, mi auguro con il sostegno del Parlamento.