C. 2352 e abb.
Grazie. Onorevole signora Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, tecnicamente un sistema elettorale consiste in un meccanismo per trasformare in seggi i voti che il corpo elettorale esprime. Abbiamo però tutti la consapevolezza che stiamo affrontando qualcosa di più importante di una semplice formula elettorale. È principalmente attraverso le elezioni che il popolo esercita la sovranità di cui è titolare e dunque, quindi, parliamo di sistemi elettorali quando approviamo una legge elettorale e siamo arrivati al cuore della democrazia, alla sua essenza. È bene ricordarlo, a noi stessi per primi, ogni volta. Anche i regimi totalitari hanno fatto e fanno riferimento alla sovranità popolare, ma il punto di discrimine - notano i costituzionalisti - è tra l'affermazione formale della sovranità e l'attribuzione effettiva, reale, di poteri sovrani.
Inquadrata la questione, si comprendono meglio, io credo, le tensioni e l'agitazione che prendono corpo quando si tocca il tema della riforma della legge elettorale. Non credo esista materia capace di dividere le forze politiche e accendere gli animi più della legge elettorale e ce lo hanno d'altronde insegnato la storia e l'esperienza di questo Paese, in molte occasioni.
Non voglio riaprire, dicendo questo, vecchie ferite. Al contrario, intendo sottolineare da subito, signora Presidente, uno degli aspetti più positivi del testo che oggi presentiamo alla Camera: l'ampio consenso che raccoglie in questo Parlamento. Dobbiamo essere consapevoli dell'importanza di questo risultato, all'inizio per niente scontato. Forze di maggioranza e forze di opposizione, le più numericamente rappresentative nel Paese, hanno saputo lavorare insieme, smussare posizioni di principio, trovare punti di convergenza, raggiungere un compromesso: è quello che si fa in Parlamento, quando si lavora correttamente.
Sì, un compromesso. Non dobbiamo avere timore di pronunciare questa parola. Ce lo rammentava, il giorno del suo giuramento, il Presidente Giorgio Napolitano. Il fatto che in Italia si sia diffusa - diceva il Presidente emerito - una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell'idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono, in termini appunto di mediazioni, intese e alleanze politiche. Non c'erano, arrivati a questo punto, per scelte politiche, altre alternative a questo metodo e fatemi dire che mi lascia basito l'atteggiamento di quanti, fuori da quest'Aula, hanno auspicato, e ancora auspicano una rottura a favore di una soluzione diversa, che non avrebbe i numeri per essere approvata nelle Aule del Parlamento. Forse ad animare costoro è il retropensiero di andare a votare con la pessima legge sopravvissuta alle due sentenze della Corte costituzionale, la quale, con sano realismo, ha riconsegnato lo scettro nelle mani del legislatore.
Se è vero, infatti, che i giudici della Consulta hanno restituito al Parlamento un sistema elettorale suscettibile di immediata applicazione, è altrettanto vero che si tratta di un sistema non omogeneo tra le due Camere, poco coerente nei suoi principi fondamentali, con più di una falla, che avrebbe comunque richiesto l'intervento del legislatore, tanto che, di fronte alle nostre iniziali difficoltà, c'era pure chi aveva ipotizzato di intervenire con un decreto-legge. Basti pensare al rischio che, con il cosiddetto Consultellum, come ritagliato dalla sentenza del 2017, decine di deputati sarebbero stati eletti per sorteggio; per non parlare del fatto che la soglia fissata al 3 per cento avrebbe aumentato la frammentazione della rappresentanza, condannandoci con certezza all'instabilità e vanificando di fatto l'attribuzione eventuale di quel premio di maggioranza nel caso di un raggiungimento del 40 per cento di voti validi da una lista. Sarebbero restati cento capilista bloccati e la possibilità della pluricandidatura fino a dieci collegi.
Mi dilungo su questi aspetti, senza entrare nel merito anche delle questioni che avrebbero riguardato il Senato, perché sono la fotografia della realtà attuale, dell'alternativa vera, non teorica, sulla base degli auspici che ognuno di noi può fare, dei desideri che ognuno di noi può coltivare, alla nuova legge elettorale di cui stiamo parlando e che noi vogliamo approvare.
Per carità, non esiste la legge perfetta. La perfezione non è di questo mondo, ma il testo che esaminiamo oggi è, rispetto alla realtà di quella fotografia, un passo avanti importante e non solo per il metodo, per il largo accordo, che per una volta si è raggiunto.
Provo a sintetizzare quelli che ritengo essere i vantaggi più importanti. Il primo vantaggio è che migliora e razionalizza i testi ritagliati dalla Corte costituzionale, che il professor Fusaro aveva denominato i “monconi”. Il secondo vantaggio è che assimila e rende omogenee le modalità di elezione delle due Camere, accogliendo così l'autorevole ed alto appello del nostro Presidente della Repubblica, al quale rivolgo un deferente saluto, Sergio Mattarella, ad armonizzare i sistemi elettorali di Camera e Senato. Un terzo vantaggio è che questa legge introduce un importante strumento anti frammentazione.
Mi riferisco allo sbarramento del 5 per cento, da non sottovalutare per gli effetti che può produrre nel senso di una correzione maggioritaria della legge, e con questo intendo un effetto che si potrà misurare, non solo nei numeri, al momento del conteggio dei voti, ma, anche, nel comportamento degli elettori. Spariscono, poi, per il lavoro che si è compiuto nella Commissione affari costituzionali i cosiddetti capilista bloccati o privilegiati e le pluricandidature. Sono, infine, previste specifiche disposizioni ai fini del rispetto del principio di genere, signora Presidente, in modo che nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento.
Ma l'aspetto più importante di questa riforma che mi piacerebbe venisse evidenziato nella giusta maniera è la restituzione agli elettori del diritto di scegliere i propri rappresentanti. Si è sanata quella ferita grave alla libertà del voto, perché non ci sono più nominati nel senso gergale che viene oggi diffuso. È ben riassunta quella ferita grave alla libertà del voto dalle parole dei giudici costituzionali nella sentenza ben nota: un sistema elettorale - dicono - con liste bloccate e lunghe di candidati, nel quale è in radice esclusa, per la totalità degli eletti, qualunque indicazione di consenso degli elettori; anche, perché, lasciatemelo dire, non può passare il principio per cui solo con le preferenze non ci sarebbero nominati. I collegi uninominali sono veri, dopo la modifica del testo in Commissione: ci si candida in un territorio, si fa campagna elettorale e chi vince nel collegio è, nella stragrandissima maggioranza dei casi prevedibili, eletto, ovviamente se la sua lista ha superato lo sbarramento nazionale del 5 per cento; e solo dopo si passa alle liste di partito, liste corte, con i nomi dei candidati indicati sulla scheda a disposizione degli elettori nella massima trasparenza. Insomma, gli elettori voteranno responsabilmente chi riterranno degno di essere eletto.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 35 del 2017, ha affermato che le liste corte con i nomi dei candidati bloccati non contrastano con nessuna norma costituzionale. E ha fatto molto piacere, a me e a molti di noi, che questo principio sia stato riaffermato, ieri, in un'intervista dal professor Valerio Onida, ex presidente della Corte costituzionale e fiero avversario della riforma costituzionale bocciata dal referendum; altro che preferenze, nel resto d'Europa si vota prevalentemente così, con i collegi uninominali o con le liste corte bloccate, oppure ci sono sistemi misti come la pluricitata, in questi giorni, Germania, con un sistema elettorale al quale sicuramente ci siamo ispirati, con i limiti che tutti conosciamo di un sistema costituzionale, quello tedesco, diverso dal nostro, in particolare, com'è noto, per quanto riguarda il numero fisso dei parlamentari da eleggere nel nostro Paese; come ormai sapete, invece, questo principio è variabile nella Costituzione tedesca. Infatti, in Germania viene modificato per rendere perfettamente proporzionale la distribuzione dei seggi, qualora un partito vinca nei collegi nominali più seggi di quanti gliene spetterebbero secondo il riparto costituzionale. Per rimediare a questo problema, a legislazione costituzionale vigente, non avevamo altra scelta che quella che abbiamo fatto, ovvero ridurre il numero di collegi per ridurre quel rischio di vincitori di collegio non eletti, ed è quello che abbiamo fatto.
Consentitemi, infine, un solo passaggio politico in cui voglio spogliarmi della veste di relatore. Io sono un sostenitore del sistema maggioritario e così lo è il mio partito, il Partito Democratico, ed è questo partito che ha proposto a questo Parlamento, per due volte, a distanza di poche settimane, due proposte elettorali basate sul principio maggioritario, una completamente maggioritaria, il Mattarellum, e una parzialmente, il secondo testo che abbiamo depositato in Commissione. E sono anche un fiero sostenitore della riforma costituzionale che è stata legittimamente bocciata dai nostri elettori e non posso certo essere entusiasta della svolta proporzionalista che stiamo per approvare; confesso, però, un discreto fastidio di fronte alle previsioni di chi oggi prefigura per l'Italia un futuro fatto di certa instabilità politica ed incertezza perché si tornerà inevitabilmente alle coalizioni di Governo costruite dopo le elezioni; il fastidio non nasce dalla legittimità di queste opinioni o previsioni, ma dal fatto che molti di costoro, non tutti, ci mancherebbe, ci criticavano o rispondevano con un'alzata di spalle quando queste medesime preoccupazioni le avevamo noi che abbiamo proposto quella riforma costituzionale e noi che abbiamo proposto quelle due ipotesi di legge elettorale. Oggi, ecco che si sta infatti verificando quello che avevamo immaginato potesse accadere in caso di sconfitta al referendum.
Devono far riflettere le parole dello storico Agostino Giovagnoli che, subito dopo il voto del 2013, immaginava lo svolgersi del copione di questa legislatura: vent'anni dopo il referendum del 1993 - scriveva Giovagnoli - gli italiani hanno preso le distanze dal bipolarismo. Queste elezioni hanno aperto una fase nuova, segnata da rapidi cambiamenti, dopo faticosi tentativi è stato formato un Governo di larghe intese, come il precedente, estraneo alla logica bipolare, guidato dal vice segretario del Partito Democratico - il cui segretario era Pierluigi Bersani - Enrico Letta, con l'inclusione, nella maggioranza, anche del PdL. Dobbiamo riflettere, ma non possiamo, nel farlo, fermarci; la politica ha il compito di indirizzare gli avvenimenti, di disegnare il futuro.
Il tentativo fatto dalla maggioranza di Governo è stato in questi ultimi anni quello di tenere in vita la domanda di riformismo che c'è nel Paese, abbiamo fatto degli errori, sicuramente, e abbiamo perso una grande occasione, a mio parere, ma la stagione delle riforme non si è chiusa il 4 dicembre, si è aperta una fase nuova, ma il dibattito su questa legge elettorale e lo spirito di condivisione degli obiettivi tra maggioranza e opposizione offrono qualche speranza per il futuro di riprendere quel percorso. Non so se noi abbiamo lavorato con quel velo di ignoranza sufficiente con cui dovrebbe operare il legislatore nello scrivere le leggi per evitare che agisca mosso dall'interesse della propria parte politica; certamente, date le condizioni politiche e i numeri del Parlamento, sono convinto che sia stato fatto un buon lavoro, il migliore nelle condizioni date, nell'interesse prima di tutto del Paese.
Entrando nel merito, Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, ricordo che il testo approvato dalla I Commissione definisce un sistema elettorale proporzionale, nel quale il territorio nazionale è articolato, per quanto riguarda la Camera, in 28 circoscrizioni e 225 collegi uninominali e, per quanto riguarda il Senato, nelle 20 regioni e in 112 collegi uninominali. I collegi allegati al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 e al decreto legislativo n. 533 del 1993 corrispondono, per la Camera, ai collegi definiti dalla legge Mattarella per il Senato e, per il Senato, all'accorpamento dei collegi della Camera, come rideterminati in base al testo.
Alla Camera, l'attribuzione dei seggi alle liste avviene a livello nazionale in ragione proporzionale, con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti; sono ammesse al riparto dei seggi le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 5 per cento dei voti validi o le liste rappresentative di minoranze linguistiche che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi nella circoscrizione. Per il Senato, l'assegnazione dei seggi avviene, invece, a livello regionale, anche in tal caso con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti; sono ammesse al riparto, analogamente come alla Camera, le liste che abbiano conseguito il 5 per cento nazionale o le liste che sul piano regionale abbiano raggiunto il 20 per cento.
I seggi spettanti a ciascuna lista in ogni circoscrizione sono, quindi, attribuiti nei collegi uninominali e alle liste circoscrizionali nei limiti dei seggi spettanti a ciascuna lista, in base a tale riparto sono proclamati eletti per ogni circoscrizione, dapprima, i candidati - ed è questa la più rilevante modifica intervenuta nella discussione di Commissione - che solo risultati primi nel collegio, così che il voto dei nostri elettori, nel collegio, sarà determinante per decidere chi verrà eletto al Parlamento, secondo l'ordine decrescente delle relative cifre individuali percentuali e successivamente, lo ripeto, successivamente, i candidati della lista circoscrizionale secondo l'ordine numerico e, infine, i restanti candidati dei collegi uninominali, i cosiddetti migliori perdenti. Sono dettate norme per favorire il rispetto dell'equilibrio di genere, come già detto, sia nelle candidature circoscrizionali che in quelle uninominali.
Una disciplina specifica è mantenuta per i seggi attribuiti alle circoscrizioni estere, Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige. Le 28 circoscrizioni della Camera coincidono con le regioni, tranne quelle con maggiore popolazione che sono divise in più circoscrizioni, come si vedrà nelle tabelle allegate. Ciascuna circoscrizione è ripartita in collegi uninominali; nelle circoscrizioni sono complessivamente costituiti, come detto, 225 collegi, a cui si aggiungono 8 collegi nella circoscrizione Trentino Alto Adige. Al Senato, il territorio è ripartito in 20 circoscrizioni, con territorio coincidente con quello delle regioni e ciascuna circoscrizione è ripartita, ovviamente, nei 112 collegi uninominali.
Il testo reca, altresì, una delega al Governo, da esercitare entro il tempo di 12 mesi, per la rideterminazione dei collegi uninominali secondo i criteri e i principi direttivi ivi indicati, previo parere parlamentare. Si prevede, inoltre, da parte dell'Esecutivo l'aggiornamento dalla composizione della commissione nominata per la rideterminazione dei collegi con cadenza triennale, la quale è chiamata, sulla base delle risultanze del censimento della popolazione, a formulare indicazioni per la revisione dei collegi medesimi, riferendo al Governo.
Per quanto riguarda la presentazione delle candidature, il nuovo articolo 18-bis, comma 1, primo periodo, del decreto presidenziale n. 361/1957 per la Camera, e analogo per il Senato, disciplinano la presentazione delle liste. La presentazione è unitaria in ogni circoscrizione per i candidati dei collegi uninominali e per i candidati delle liste circoscrizionali. Il testo prevede il numero di firme necessarie per la sottoscrizione di liste per ogni circoscrizione - e, ovviamente, è nel testo allegato e non lo ripeto - in analogia tra Camera e Senato. Il numero di sottoscrizioni richiesto per ciascuna circoscrizione non è stato modificato rispetto alla vigente previsione recata dalla legge n. 270 del 2005. In ogni circoscrizione alla Camera, ovviamente, ciascuna lista è composta da un elenco di candidati presentati secondo ordine numerico di presentazione. Il numero dei candidati non può essere superiore ad un terzo, con arrotondamento all'unità superiore, dei seggi assegnati; in nessun caso una lista può avere un numero di candidati inferiore a due e superiore a sei; in Molise la lista è composta da un candidato. Al Senato, in ogni regione, il metodo di costruzione delle liste è il medesimo; il numero dei candidati non può essere superiore ad un terzo, con arrotondamento all'unità superiore, dei seggi assegnati per ciascuna circoscrizione. Rispetto alla Camera, è consentito, nella sola regione Lombardia, data la sua alta densità demografica, che la lista possa essere composta da due a sette.
Ricordo, in proposito, che, nella sentenza n. 1 del 2014, la Corte, censurando le norme introdotte con la legge n. 270/2005, concernenti le modalità di espressione del voto per liste concorrenti di candidati, ha chiarito che la libertà di voto del cittadino risulta compromessa quando il cittadino è chiamato a determinare l'elezione di tutti i deputati e di tutti i senatori, votando un elenco spesso assai lungo che difficilmente conosce. Il vulnus, secondo la Corte, è determinato dalla circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti senza alcuna eccezione manca il sostegno dell'indicazione personale dei cittadini che afferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione.
Alcune disposizioni specifiche che ho già citato riguardano la parità di genere, sia per la Camera come anche per il Senato, così come integrate dalle modifiche che abbiamo approvato in Commissione.
Per quanto riguarda la disciplina delle cosiddette pluricandidature, il nuovo articolo 19 del DPR già citato, che trova applicazione anche al Senato, stabilisce che la candidatura della stessa persona in più di un collegio uninominale o in più di una lista circoscrizionale è nulla. Dunque, non ci saranno pluricandidature e il candidato in un collegio nominale può, al contempo, essere candidato in una lista circoscrizionale sia della medesima circoscrizione o di altra.
Per quanto riguarda l'espressione del voto, ogni elettore dispone di un unico voto da esprimere su una scheda recante, in un unico rettangolo, il contrassegno di ciascuna lista, con a fianco, a sinistra, il nome e cognome del candidato uninominale e, a destra, il nome e cognome dei candidati nella lista circoscrizionale; ovviamente, l'ordine delle liste è stabilito con sorteggio.
Sono state introdotte, nell'esame di Commissione, nuove disposizioni che attengono alla fase di spoglio delle schede e al relativo scrutinio.
Concludendo, per rimanere nei tempi, signora Presidente, io penso che il dibattito di quest'Aula sul testo che è stato presentato come risultante dei lavori della Commissione dimostrerà che molto è stato fatto, nelle condizioni date, per dare a questo Paese una legge elettorale che tenga al centro i diritti del cittadino elettore, che pur di fronte ad un sistema proporzionale permetta la possibilità di scegliere nei collegi uninominali i propri eletti, che permetta la più alta possibile partecipazione dei cittadini al sistema elettorale e al meccanismo di scelta, perché questo era l'intento che ci siamo dati rispondendo all'appello autorevole del Presidente della Repubblica, lavorando tra gruppi di maggioranza e di opposizione, perché questo Paese, quando sarà, possa andare al voto con una legge scelta dei propri rappresentanti.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola al relatore di minoranza, vorrei salutare il liceo scientifico Vittorio Veneto di Milano, che è qui nelle tribune. Benvenuti e grazie di partecipare ai nostri lavori (Applausi). Oggi siamo in sede di discussione generale della legge elettorale, quindi è un giorno importante.
Adesso ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza Ignazio la Russa, ma non lo vedo, dunque darei la parola al relatore di minoranza, deputato Tancredi Turco, il quale non c'è, quindi darei la parola al deputato Quaranta... ah il deputato Turco è entrato, chiedo scusa deputato Quaranta. Ha dunque facoltà di intervenire il relatore di minoranza, Tancredi Turco. Dovrebbe scendere al banco del Citato dei nove, venga giù, scenda, si metta al posto appropriato per il relatore di minoranza.
TANCREDI TURCO, Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Questo Parlamento si avvia a votare e ad approvare una legge elettorale frutto dell'inciucione, dell'inciucio, tra quattro grandi partiti, i partiti che, stando ai sondaggi e per quello che possono valere i sondaggi, sarebbero i partiti che superano la fatidica soglia di sbarramento del 5 per cento. Questa legge elettorale, per l'ennesima volta, darà modo di avere un Parlamento di nominati, di servi, di parlamentari nominati dai leader dei quattro partiti, dai vari capi bastone.
Viene erroneamente chiamato tedeschellum o, comunque, un sistema elettorale che si rifà a quello tedesco: nulla di più improprio e nulla di più erroneo. Questa legge elettorale non ha nulla a che fare col sistema tedesco, tant'è che sarebbe molto più appropriato nominarla porcellum 2 o porcellum bis, o porcellum 2.0, più giovanile, ma sicuramente non tedeschellum. Un noto giornalista, solitamente filo grillino, lo ha definito merdinellum: ecco, ha usato un diminutivo o un vezzeggiativo, io avrei usato un nome addirittura per ampliarlo. Siamo di fronte ad una legge elettorale che è una vera e propria porcata. Una vera potrà porcata, per usare un termine tanto caro ai colleghi del MoVimento 5 Stelle, che per quattro anni in questa legislatura hanno così definito qualsiasi provvedimento arrivasse dal Governo.
È una legge elettorale che, a parole del relatore per la maggioranza, a parole dei leader dei quattro partiti che la sostengono, dovrebbe garantire la governabilità e la rappresentanza. Così non è. Partiamo dalla governabilità: si sono fatti vari esperimenti, a seconda di quello che i sondaggi dicono sui vari partiti. Si è provato che, in qualsiasi caso, una maggioranza non la si raggiunge, non la raggiunge ovviamente nessun partito in solitudine, ma neanche provando le cosiddette alchimie di Palazzo. Si è provato a pensare a un Partito Democratico che si unisce a Forza Italia: sommando, così, il numero dei parlamentari, si dovrebbe arrivare ad una maggioranza, ma questa non è garantita, almeno stando ai sondaggi, non viene assolutamente garantita una maggioranza stabile.
Si è provato a pensare o ad immaginare un'altra alchimia: il MoVimento 5 Stelle unitamente alla Lega Nord ma anche qua stando ai sondaggi e stando ai numeri non viene assolutamente garantita una maggioranza. Quindi è un testo unificato di legge elettorale che non garantirà un Governo ed una maggioranza stabile e forse è proprio questo il punto di incontro dei quattro partiti cioè il fatto che non vinca nessuno. Forse la prospettiva più plausibile è l'arrivo di un commissariamento da parte dell'Europa: qualcuno ha pronosticato l'arrivo di Draghi. Non lo so: staremo a vedere. Per quanto riguarda il secondo punto, ossia la rappresentanza, è un testo che garantisce la rappresentanza? Assolutamente no. C'è una soglia di sbarramento al 5 per cento che sulla carta esclude molti partiti considerati minori. Ma se un partito che arriva per ipotesi al 4,5 per cento e quindi sfiora la fatidica soglia del 5 per cento come ce ne sono attualmente anche parecchi teoricamente quali Fratelli d'Italia, la sinistra cosiddetta radicale e il cosiddetto centro, non arrivasse a superare tale soglia di sbarramento e magari si fermasse a 4,5 o 4,2 o 4,6 per cento, significherebbe escludere sulla carta la rappresentanza a milioni e milioni di voti. Quindi la rappresentanza in questo caso non è minimamente garantita. Inoltre il testo unificato di legge elettorale presenta per l'ennesima volta problemi di incostituzionalità: ci risiamo per l'ennesima volta perché per la fretta di arrivare alla sua approvazione bisogna rifarsi ai collegi, al cosiddetto Mattarellum ovverosia ad un censimento del 1991, un censimento che è di circa oltre 25 anni fa. Il problema della incostituzionalità è già stato sollevato da parecchie persone. È un testo che non prevede il voto disgiunto, al contrario del sistema tedesco, ma prevede un'unica croce da barrare ed è pertanto un testo in base alla quale circa il 64 per cento dei parlamentari verrà eletto grazie ai cosiddetti listini bloccati. È poi un testo di legge elettorale che ovviamente non prevede il sistema delle preferenze. Io sono stato eletto in questo Parlamento per portare avanti una delle battaglie che mi sta più a cuore ovvero proprio quella delle preferenze. Ricordo un V-Day, il cosiddetto Vaffaday, del 2007 organizzato da Beppe Grillo che aveva proprio tra i punti fondamentali sui quali è nato il MoVimento 5 Stelle una proposta di legge di iniziativa popolare chiamata Parlamento pulito, che prevedeva “no” ai parlamentari condannati, prevedeva un limite massimo di due legislature e prevedeva l'elezione diretta, dicendo “no” ai parlamentari scelti dai segretari di partito: i candidati al Parlamento devono essere votati dai cittadini con la preferenza diretta. Non capisco il motivo di questo voltafaccia da parte del MoVimento 5 Stelle che in Commissione ha votato contro i vari emendamenti che intendevano introdurre il sistema delle preferenze. Non riesco proprio ad arrivarci. Non vedo l'ora di vedere il momento del voto finale perché mi girerò a guardare negli occhi i miei ex colleghi del MoVimento 5 Stelle per vedere se avranno il coraggio di votare il testo di legge elettorale e di andare contro gli 8 milioni di voti con cui sono stati eletti nel Parlamento proprio al grido di “Parlamento pulito”, al grido di “Vogliamo le preferenze” come affermava proprio una delle principali se non la principale battaglia del MoVimento 5 Stelle. L'altra, che mi piace ricordare, era la diminuzione dei costi della politica ma in quasi quattro anni e mezzo in Parlamento come prima forza politica dell'opposizione non sono neanche riusciti a fare calendarizzare una legge che prevedesse la diminuzione dei costi della politica, la riduzione delle indennità o la riduzione dei cosiddetti vitalizi.
Ci sono volute Le Iene, una trasmissione di Italia 1, per arrivare ad una calendarizzazione che, considerato che molto probabilmente si tornerà al voto a settembre o a ottobre, non verrà approvata. Quindi mi domando il senso di questa forza politica qua in Parlamento, di cosa è riuscita a fare. Ripeto e concludo, il motivo della fretta nessuno lo dice chiaramente ma il grande patto che sta dietro questo testo di legge elettorale è l'immediato ritorno al voto. Quindi mi permetto anch'io un augurio al Presidente del Consiglio, Gentiloni: stia sereno. Sarà divertente vedere quale sarà la scusa che riusciranno a trovare per arrivare ad una crisi di Governo.