Grazie, Presidente. Colleghi, purtroppo non ce la faccio a trattenere una battuta. Nell'intervento del collega Tofalo ho sentito per nove volte la parola “segreto”; ci mancava la Spectre e poi la vicenda libica sarebbe stata chiara e senza dubbio un film. Io penso, invece, che noi dobbiamo, come del resto alcune forze politiche hanno fatto in qualche misura criticando anche aspramente il Governo, cercare di valorizzare, essendone anche in parte orgogliosi, il lavoro che sulla Libia abbiamo fatto con coerenza in molti anni, avendo dei punti comuni sul tema della Libia e sul tema di come è la Libia, perché io credo che, al di là di tutto, la linea del nostro Paese rispetto a quel Paese senza dubbio sia la più coerente e sia anche quella che può portare da qualche parte.
Non si può andare in tilt perché si vede la foto del Presidente francese con Sarraj e Haftar e farne dipendere chissà che. Quella foto sta in un percorso che del resto, come ricordava bene l'onorevole Alli, ha avuto anche altri momenti a Dubai che, in realtà, hanno sempre dato un contributo ma non hanno risolto il problema. La Libia è un Paese particolare, è un Paese dove gli italiani hanno dato una toponomastica al territorio perché quel territorio, a differenza di altri, era un territorio di nomadi del deserto, nel quale la popolazione araba è sempre stata minoritaria e le due principali etnie, quella Tebu e quella Tuareg, erano, appunto, popolazioni del deserto che non avevano un sistema statuale, un sistema statuale che col colonialismo noi abbiamo in qualche maniera esportato e che poi è riaffiorato solo nella storia recente e dopo anni di tensione è stata ricondotta da Gheddafi ad uno Stato nazionale. Questa natura della Libia non è né astratta né teorica e condiziona non poco chiunque voglia raggiungere un obiettivo di stabilizzazione del Paese e di risoluzione dei problemi. Posso ascoltare tutto, ma chiunque si trovasse a governare questo Paese, essendo noi il Paese che ha più rapporti con la Libia, si scontrerà con questa evidenza e con la difficoltà di far condividere qualsiasi accordo a spaccati di potere molto diversi dagli altri Paesi arabi.
Oggi da diversi colleghi ho sentito citare il tema immigrazione, Spagna e Marocco. Ma non si può parlarne così leggermente, con superficialità. Il Marocco è uno degli Stati sovrani che in questi anni nell'antiterrorismo, nel controllo delle frontiere, nella stabilità e nelle politiche di contrasto alla radicalizzazione ha investito di più. È un interlocutore certo, stabile, forse il più certo, come del resto una certa forma di certezza hanno anche l'Algeria e, per certi versi, la Tunisia, che non era scontato e lì dovremmo rivendicare qualche merito anche del nostro Paese. La Libia è diversa ed è diversa principalmente per due fattori: uno è quello che ho detto, cioè il modo in cui è fatta; in secondo luogo, perché la Libia - e va detto a chiare tinte, perché da qui deriva il nostro posizionamento - è profondamente immersa nel confronto intrasunnita e questo confronto intrasunnita fra la parte salafita del Golfo e la parte legata alla fratellanza mussulmana e all'islamismo politico - come si può dire - è un confronto che noi non vediamo bene come dovremmo nella sua importanza. Trovare un accordo sulla Libia senza immettersi in questa forma di confronto è impossibile.
Per questo io ritengo che, al di là delle foto e delle strette di mano, il tentativo pervicace che l'Italia ha fatto - anche con i Governi di centrodestra perché bisogna riconoscerlo in quanto è un Paese forte anche quando valorizza il lavoro, pur nella distanza e nella differenza, che si fa nell'interesse del Paese - è quello di non aver mai scelto scorciatoie e ha sempre cercato di pacificare la Libia parlando con tutti fino all'ultima tribù, non risparmiandosi mai facendo banalità e ricorrendo a scorciatoie che non avrebbero portato da nessuna parte. Se c'è una cosa su cui bisogna dire con nettezza cosa stiamo facendo è che noi stiamo cercando, d'accordo con i libici, di sconfiggere il vero nemico della Libia che in questo momento è uno solo: la possibilità che l'economia illegale soppianti, in un Paese che ha risorse e possibilità di risollevarsi, l'economia legale, trasformando quel Paese, che è di fronte a noi, in un Paese che diventa un hub dell'insicurezza di tutto il Mediterraneo.
È qui che io voglio fare domande ad altri Paesi europei. La Germania, grossomodo, condivide la nostra politica, vedo altri Paesi - e su questo si deve aprire un dibattito, facendolo a mio avviso con la forza più grande del sentimento nazionale -, ci sono forze e ci sono Paesi che trovano difficoltà a uscire dal post colonialismo e da una visione che purtroppo oggi non è più praticabile.
Non si può chiudere gli occhi di fronte al fatto che in Siria, a andare in frantumi, sono stati i confini Sykes-Picot e che alla fine, se l'Europa, se noi, non giochiamo un ruolo positivo, non ci sarà nessuna possibilità di stabilizzare il mondo che è di fronte a noi e, quindi, di risolvere i problemi migratori. Dobbiamo ricordarci come si è conclusa la vague di immigrazione fra Ottocento e Novecento: non si è conclusa perché sono stati messi muri e fili spinati, si è conclusa perché l'Europa, che era l'epicentro di una crisi, in particolare anche il nostro Paese, si è risollevato da quella crisi.
Noi non possiamo dire con banalità, con troppa banalità: aiutiamoli di là. Il problema è come, è il fallimento di come l'abbiamo fatto e, su questo, io rivendico la coerenza italiana, perché mi ricordo un convegno promosso dall'allora PDS, che si chiamava “Mediterraneo, stella d'Europa”; fu un convegno che noi facemmo per la prospettiva di Barcellona, che nel 2011 doveva portare all'area di libero scambio nel Mediterraneo. Noi, oggi, abbiamo tutti detto in quest'Aula che il 2011 è stata la data del disfacimento della Libia, questa idiosincrasia ci mostra quanto e dove sta la nostra mancanza politica.
Oggi, l'Italia è il Paese che fa una politica più in relazione con gli attori vicini alla Libia; ce lo riconosce il Marocco, ce lo riconosce la Tunisia, ce lo riconosce l'Algeria. Siamo gli unici che pensano di uscire da questa nottata buia del Mediterraneo costruendo la pace e io credo che, di questo, al di là delle differenze, dovremmo andarne orgogliosi, e non consegnare questa funzione - chiunque governi - al fatto che viene condita e distrutta dalla politica locale.
Voglio dire una cosa al MoVimento 5 Stelle e chiudere. Vedete, se noi appicchiamo la furia iconoclasta, additando il sospetto anche sulle vicende di politica estera, noi distruggiamo l'essenza di un Paese. Ma vorrei ricordarvi che la furia iconoclasta, nella storia, ha sempre avuto un certo esito: le fiamme bruciano e producono cenere e spesso nella cenere ci finisce anche chi l'appicca. Noi vogliamo, insieme alle forze che lo faranno, tenere la politica estera e l'interesse nazionale fuori da questa agone, costruire un'Italia forte, che oggi non risolve niente, ma fa un passo avanti nella direzione giusta e, su questo, costruire politiche coerenti, perché l'Italia non ha niente da invidiare a nessuno e siamo convinti che la nostra linea sia quella giusta per l'Italia e per l'Europa.