Dichiarazione di voto congiunta
Data: 
Giovedì, 28 Settembre, 2017
Nome: 
Maino Marchi

 

A.C. 4638 e A.C. 4639

 

Grazie, Presidente. Vorrei innanzitutto fare una valutazione di metodo. Noi abbiamo fatto un esame tradizionale del Rendiconto, sostanzialmente in Commissione bilancio e in modo rapido, anche per farlo prima delle prossime importanti scadenze: la Nota di aggiornamento al DEF e la legge di bilancio; non è l'esame sull'insieme delle entrate e delle spese e sui risultati ottenuti in ogni comparto della pubblica amministrazione, coinvolgendo tutte le Commissioni, che abbiamo disegnato riformando la legge di contabilità.

Il bicameralismo, da questo punto di vista, certamente, non aiuta, ma il bicameralismo rimarrà ancora a lungo, così come l'abbiamo conosciuto fin qui. E allora, siccome, invece, è importante che il Parlamento lavori in modo diverso sul rendiconto, nella prossima legislatura credo che il Parlamento dovrà valutare come poterlo fare in un regime, appunto, di bicameralismo perfetto.

Entrando nel merito e per evitare di essere accusato di trionfalismo, comincerò da quattro problemi consistenti con cui dobbiamo misurarci: il livello di povertà, che tocca una parte consistente della popolazione in termini di rischio di povertà o di esclusione sociale e il crescente livello di popolazione in povertà assoluta. L'elevato livello di disoccupazione, che è la questione più rilevante sul piano sociale; il gap Nord-Sud, che è un'altra questione storica del nostro Paese; la questione della caduta degli investimenti negli anni della crisi. Su questi temi, siamo andati avanti o indietro nel 2016? Penso che su tutti abbiamo fatto passi avanti, passi avanti verso la costruzione di un moderno sistema di protezione contro il rischio di povertà assoluta, con aiuti economici e percorsi di reinserimento, che ha portato nel marzo di quest'anno all'approvazione della legge delega sul contrasto alla povertà, a cui si è arrivati anche per le maggiori dotazioni finanziarie per la lotta alla povertà decise con la legge di stabilità 2016.

Sul versante dell'occupazione, l'aumento dei posti di lavoro di poco meno di un milione negli ultimi anni, compreso il 2016, è un dato importante, non per dire che siamo arrivati, ma per porci l'obiettivo di ridurre ulteriormente la disoccupazione, non solo sotto il 10 per cento, ma non si potrà credo essere soddisfatti almeno finché non si saranno raggiunti i livelli pre-crisi. Noi puntiamo sul lavoro, per dare dignità e futuro alle persone. Per questo non pensiamo che la soluzione sia di dare sussidi, ma di aiutare a trovare lavoro e di aiutare le imprese a crearlo.

Gap Nord-Sud. Nel 2016, così come nel 2015, il Mezzogiorno è cresciuto più del resto del Paese. Vi è stato il consolidamento degli accordi dei piani per l'uso dei fondi europei, nel 2016 abbiamo ripristinato il credito di imposta per gli investimenti al Sud, che risultati sta già dando. Gli investimenti restano un grande problema, ma per quelli privati si sono individuati strumenti come il super-ammortamento, già dal 2016, e l'iper-ammortamento, dal 2017, che stanno dando risultati molto significativi. Per gli investimenti pubblici non è più un problema di risorse - quelle le abbiamo messe - ma di funzionamento della macchina pubblica, su cui occorre intervenire. I bandi di gara sono diminuiti dal 2015 al 2016, secondo il Cresme, in valore da 26 a 19,2 miliardi (meno 26,1 per cento) e in numero da 18.720 a 16.909 (meno 9,7 per cento), nonostante l'aumento di risorse, e problemi analoghi si sono riscontrati per gli enti locali. Quindi, occorre intervenire sui meccanismi burocratici e tecnici.

Un'altra grande difficoltà è la crescita. Dal 2014 siamo usciti dalla recessione e entrati in una fase di ripresa, pari alle previsioni e diverse volte superiore alle stesse. È una crescita bassa, lo sappiamo, ma d'altra parte, in questo inizio di secolo e di millennio, solo nel 2006 si superò il 2 per cento, con il Governo Prodi, Governo mandato a casa dalla sinistra del bicchiere sempre mezzo vuoto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), e anche chi promise il 6 per cento, dicendo che il 3 del 2000 era troppo basso, poi ci portò alla crescita zero. Colpa dell'11 settembre, si è detto, perché c'è sempre qualcuno o qualcosa a cui dare la colpa del non mantenimento di promesse mirabolanti. La bassa crescita viene dagli anni Novanta e non si recupera in un anno. Il fatto che cresciamo meno della media europea resta certamente un problema, a cui la maggioranza e il PD non si sottraggono, ma bisogna guardare anche alle tendenze. Il Vice Ministro Morando ha sottolineato più volte, in questi giorni, che la crescita italiana è stata nel 2015 inferiore al 50 per cento di quella media europea, nel 2016 inferiore del 50 per cento rispetto alla media europea, nel 2017 si tende ad una crescita inferiore del 25, cioè quel gap si riduce, anche grazie alle riforme che abbiamo fatto ed è un gap che ha una causa sostanziale: il settore edile delle costruzioni. Confermare e ampliare gli incentivi per l'eco-bonus e sisma-bonus, da una parte, far ripartire gli investimenti pubblici dello Stato e dei comuni, dall'altra, è la via per superare questa differenza.

Un altro dato da sottolineare, senza trionfalismi: in questa legislatura le previsioni sul PIL, deficit-PIL, saldo primario, spesa per interessi, si sono sempre realizzate, e qualche volta in meglio. Non è quasi mai successo in passato; adesso ci siamo abituati e sembra normale, ma normale non è. La correzione dell'Istat di questi giorni sul deficit - 2,5 invece di 2,4 - non cambia nella sostanza, che è quella di una progressiva riduzione del deficit, ancora più consistente nel 2017, che continuerà nel 2018, in un quadro di crescita più alta delle stime precedenti, con un debito pubblico che si stabilizza: è cresciuto di circa tre punti nella prima fase della legislatura, dal 2015 comincia a scendere.

Resta certamente il problema più serio, di certo la soluzione non è l'austerità, perché con l'austerità il rapporto debito/PIL è notevolmente cresciuto, causa la recessione, e non è nemmeno la spesa senza limiti. La via principale è la crescita, con più crescita si è avviato il calo del debito sul PIL, proprio negli ultimi anni, è una via stretta, si può pensare a vie più aggressive, per mettersi al riparo da fasi di aumento dei tassi di interesse e dello spread, aggressività che non può essere ristrutturazione del debito, cioè farlo pagare a chi ha investito in titoli di Stato, né riduzione draconiana della spesa pubblica. Può valutarsi, in una fase diversa del mercato - quella che si sta aprendo adesso -, la valorizzazione del patrimonio pubblico, che però, appunto, non sia svendita.

Altro elemento significativo di questi anni: la riduzione della pressione fiscale. Rimane sempre alta, c'è ancora molto da fare, però si è passati dal 43,3 per cento del 2015 al 42,9 del 2016, che è di fatto 42,3, perché gli 80 euro sono una riduzione fiscale di 10 miliardi sul lavoro dipendente e non una spesa, al di là delle classificazioni statistiche. Vi sono state misure strutturali, come quella degli 80 euro, appunto, come quella della riduzione dell'IRAP in relazione al lavoro dipendente stabile, come quelle sulla prima casa. Va anche considerato che nel dato della pressione fiscale rientra il maggior gettito derivante da misure anti evasione, come lo split payment, per cui la riduzione sui contribuenti che hanno sempre pagato è di fatto ancora maggiore. Ovviamente, la lotta all'evasione fiscale è rimasta lo strumento principale di maggiori entrate nel 2017 e presumibilmente lo sarà anche per il 2018.

Alcune valutazioni, poi, su due aspetti specifici. Il primo è relativo alle autonomie locali. È indubbio che dopo le decisioni sulla TASI-prima casa e altre sull'IMU, l'autonomia finanziaria si è ridotta, è aumentata la finanza derivata. Non è un problema risolvibile in questa legislatura, ma nella prossima certamente dovrà essere affrontato. Resta problematica la situazione delle province. Nel 2016 e nel 2017, e soprattutto in questo anno, abbiamo fatto, però, interventi che hanno tamponato la situazione; dovrà essere la principale destinazione di risorse sulle autonomie territoriali nel 2018, ultimo anno problematico, in quanto dal 2019 non vi saranno più gli effetti dei tagli del DL 66/14. In questi anni, però, abbiamo su superato il patto di stabilità interno e questo è un grande risultato. Non basta per rilanciare gli investimenti degli enti locali al livello che vorremmo, ma siamo sulla strada giusta.

Nella prossima legge di bilancio il tema degli investimenti e degli enti locali dovrà trovare un ulteriore impulso, così come mi auguro il superamento di vincoli ordinamentali che con il pareggio di bilancio non hanno più senso.

L'altra questione è quella della scuola. Se guardiamo all'analisi delle spese per le principali missioni, vediamo che a fronte di una spesa che si è ridotta del 3,1 per cento dal 2016 rispetto al 2015, quella sull'istruzione invece è aumentata.

E questo vale anche per l'istruzione universitaria; cioè noi abbiamo investito su questo settore, passando da 49 miliardi a 53 nel 2016. Per queste ragioni e per i dati complessivi del rendiconto 2016 e dell'assestamento 2017, il voto del gruppo parlamentare del Partito Democratico - questo vale anche come dichiarazione di voto per quanto riguarda l'assestamento - sarà favorevole.