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Presidente, tutto si consuma velocemente, per il modo in cui funziona in Italia il circuito fra informazione, comunicazione e decisione politica.
Questo decreto esercita già i suoi effetti a partire dallo scorso mese di maggio. La discussione intorno ad esso si è intrecciata con una dura campagna elettorale, condotta, non certo da parte nostra, con toni troppo accesi, troppo urlati.
Sembra quindi che oggi approviamo in via definitiva un decreto ormai consumato dal punto di vista della pubblica comunicazione. Niente sarebbe più sbagliato di questa impressione.
Questo decreto sull'IRPEF rappresenta un cambio di passo della politica economica italiana e di questo cambio di passo rappresenta solo l'inizio. D'ora in poi, l'obiettivo principale diventa ridurre le tasse sul lavoro e sull'impresa. Ridurre le tasse sul lavoro e sull'impresa: dobbiamo ripeterlo in modo ossessivo, anche per riportare un centro di gravità ad una discussione sulle politiche fiscali e tributarie che troppo spesso ha ondeggiato intorno a populistici messaggi contrari ad ogni tassa, a proposte di abbattere qualsiasi tipo di imposta.
L'assenza di questo centro di gravità ha portato la discussione politica del 2013 a spendere troppe risorse, troppe energie, sulla questione della tassazione dell'abitazione di residenza, producendo risultati che credo tutti riteniamo non soddisfacenti e certamente da rivedere. E invece le imposte non sono uguali fra loro, se le guardiamo dal punto di vista della crescita e dell'equità. Ridurre l'IRPEF, e soprattutto ridurla, come fa questo decreto-legge, sui redditi da lavoro dipendente bassi e medio-bassi, e ridurre le imposte sulle imprese ha effetti sulla competitività e sulla crescita. È una chiave di volta, una delle più importanti, per riportare il Paese su un sentiero di sviluppo più elevato e più stabile: 6 miliardi di euro in meno di IRPEF per i lavoratori dipendenti e assimilati con redditi fino a 26 mila euro e 2 miliardi in meno di IRAP per le imprese. Il tutto con attuazione immediata, a partire da maggio. E questo si somma ai 3,2 miliardi di euro di riduzioni fiscali già disposti dalla passata legge di stabilità, 1,7 miliardi di euro di detrazioni IRPEF e 1,5 miliardi di euro di riduzioni IRAP. E si somma a un meccanismo dell'ACE, l'Aiuto alla crescita economica, che detassa gli apporti di capitale nelle imprese e che ha generato, per le imprese italiane, una spinta fiscale di 2 miliardi di euro lungo il 2013.
Contemporaneamente, il Governo ha ridefinito il percorso di aggiustamento dei conti pubblici verso l'equilibrio di bilancio, ha posposto di un anno il raggiungimento del pareggio strutturale, cioè al netto del ciclo e ha così ricavato uno spazio di manovra di finanza pubblica di mezzo punto di PIL per il 2014. E il Governo ha aperto con l'Europa un'importante discussione su come modificare nella direzione della crescita l'impianto delle politiche europee. L'atteggiamento di parte delle opposizioni a questo decreto-legge, pur legittimo sul piano politico, è, però, debole e incoerente. Più coerente e motivata la posizione, che apprezziamo, di SEL, che voterà a favore. Ma cosa dire, invece, di Forza Italia ? Abbiamo sentito per mesi l'onorevole Brunetta tuonare contro quello che lui definiva lo scarso coraggio di Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni nelle politiche per la crescita e nei rapporti con l'Unione Europea. Adesso che il Governo Renzi ha impresso un'accelerazione alle politiche fiscali per la crescita, è davvero stupefacente ascoltare Forza Italia che invoca il rigore del bilancio e la verifica delle coperture. Signori, si tratta di una posizione non credibile(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Le coperture ci sono, non si preoccupino i colleghi di Forza Italia. Vengono per metà da incrementi di tassazione delle rendite finanziarie e per metà da stringenti, ma ineludibili obiettivi di risparmio sulla spesa dei Ministeri e di tutti gli altri enti pubblici. E che dire, poi, della posizione del MoVimento 5 Stelle e di quelle della Lega Nord, unite dal sentimento anti-europeo ? Dopo aver criticato la maggioranza europeista di questo Parlamento per avere portato l'Italia dentro le regole europee, non prendono atto che queste regole hanno margini di flessibilità e che questo dipende dalla capacità dell'Italia di fare le riforme e di tornare ad essere un interlocutore credibile e con peso politico nello scacchiere continentale. Dopo avere criticato in modo violentissimo la rivalutazione delle quote della Banca d'Italia, non prendono atto che in questo decreto-legge l'imposta su quelle plusvalenze viene aumentata dal 12 al 26 per cento. Ma affermano adesso che, forse, da quella rivalutazione non arriveranno tutti i soldi previsti, diventando anche loro ragionieri delle coperture finanziarie. Si lamentano, poi, che questo provvedimento abbia come beneficiari solo 10 milioni di persone e non tutti i contribuenti.
Ebbene, l'impegno ad ampliare la platea dei beneficiari è il nostro impegno, Presidente. Non si preoccupino i colleghi della Lega Nord e del MoVimento 5 Stelle: riusciremo a rendere permanenti questi sgravi fiscali sul lavoro nella legge di bilancio del 2015; riusciremo ad ampliare il numero dei beneficiari a vantaggio degli incapienti, del lavoro autonomo e dei pensionati. E lo faremo continuando a tenere sotto controllo la spesa pubblica, dando una svolta all'azione di contrasto dell'evasione fiscale, a partire dalla madre delle imposte evase in Italia, a partire dall'IVA. E lo faremo costruendo le condizioni per incassare un dividendo derivante dalla stabilità e dalla credibilità del Paese, un dividendo che si traduce in minori spese per interessi e in cambiamenti delle regole europee verso la crescita e verso gli investimenti pubblici.
Certo, nel decreto non mancano elementi di dettaglio che potranno essere migliorati da successivi interventi, e ringraziamo il Governo e il Viceministro Morando che ha accolto molti impegnativi ordini del giorno in questa direzione, soprattutto in tema di finanza locale.
Ma la strada tracciata da questo decreto-legge è quella che dovremo perseguire con coraggio nei prossimi mesi: giù la pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese, giù il rapporto tra spesa pubblica e PIL, avanti con le riforme strutturali che servono per fare uscire il Paese non solo dalla drammatica crisi degli ultimi cinque anni, ma anche dalla stagnazione di redditi e produttività che dura ormai da quindici anni. E quindi le riforme costituzionali; quelle della pubblica amministrazione; i nuovi strumenti normativi ed operativi per condurre senza quartiere la lotta alla corruzione; l'attuazione della riforma fiscale con al primo posto la semplificazione degli adempimenti e la lotta all'evasione. Non si può tacere e non possiamo non prendere atto che la strada tracciata da questo decreto-legge e dalle proposte politiche più generali su cui è impegnato il Governo Renzi e la maggioranza politica che lo sostiene, hanno ricevuto un chiaro e forte mandato democratico dalle elezioni del 25 maggio. Il Partito Democratico si sente investito in questa direzione da una responsabilità ancora più grande e intensa. Di fronte all'alternativa tra avventurismo anti-europeo e riformismo europeo, le italiane e gli italiani hanno fatto una scelta chiara e forte. Una scelta che ci onora, che dà ragione alla difficile battaglia riformista che non usa le urla e le paure, ma usa la ragionevolezza, l'analisi di merito, la pacatezza, i valori della solidarietà, della civile convivenza, della democrazia. Una scelta che impegna il Governo, la sua maggioranza e soprattutto il Partito Democratico a moltiplicare gli sforzi per fare uscire l'Italia dalla crisi e per costruire un Paese più moderno, più capace di crescere e di dare risposta al bisogno di lavoro, soprattutto dei giovani e per contribuire a modificare l'asse delle politiche europee, in una condizione che – non dobbiamo nasconderlo – ha visto in tanti Paesi dell'Unione prevalere la paura, la voglia di ripiegamento nazionalistico e di ritorno alle piccole patrie, dimenticando che è dal nazionalismo deteriore che sono nati i drammi del XX secolo, le guerre, la divisione dell'Europa durata fino al 1989.
Nel votare a favore della conversione in legge di questo decreto-legge, il Partito Democratico ribadisce e rinnova il suo impegno: per quanto nelle nostre possibilità, ce la metteremo tutta, con passione e con intelligenza, per corrispondere al mandato del 25 maggio, per portare l'Italia fuori dalle secche provocate dalle mancate riforme degli ultimi quindici anni, per contribuire a salvare l'Europa dai suoi stessi errori.