Data: 
Venerdì, 4 Luglio, 2014
Nome: 
Irene Manzi

A.C. 2426-A

Signor Presidente, a pochi mesi di distanza ci troviamo nuovamente ad occuparci in quest'Aula di un provvedimento del Governo relativo al tema della cultura. Penso che sia un segnale importante da ricordare. È un decreto che tra l'altro, in questo caso, allarga giustamente il suo campo d'azione anche all'ambito del turismo e non solo della cultura, un segnale importante che arriva dopo anni e anni di tagli penalizzanti e rappresenta sicuramente la testimonianza più evidente di un cambio di rotta riguardo ad un settore centrale per lo sviluppo del Paese. 
  Badate bene: non è solo un'affermazione retorica, quella secondo cui la cultura è l'ossigeno e la spinta fondamentale per l'Italia. È chiaro, lo è, ma è molto di più e l'intento di questi provvedimenti va molto più in là. Va nel senso di un cambio profondo e significativo di mentalità rispetto all'intero settore della cultura e del turismo, provando da un lato ad incrementare le risorse a disposizione (quasi 500 milioni suddivisi su più annualità) e, dall'altro, ad avviare una nuova prospettiva di gestione degli stessi, diretta ad affiancare alla gestione pubblica forme incentivanti di coinvolgimento dei privati, a sostenere importanti eccellenze del Paese (penso alle fondazioni lirico-sinfoniche, ai Grandi Progetti Pompei e Caserta), a valorizzare i nostri beni culturali, a favorire un più intenso impiego e coinvolgimento dei professionisti dei beni culturali.

Un cambio di prospettiva importante, quindi, che prende atto di un dato fondamentale: le imprese del sistema produttivo culturale italiano producono circa il 5,4 per cento della ricchezza del Paese, pari a circa 75 miliardi di euro, con un effetto moltiplicatore ulteriore, perché, come attestato di recente dai dati forniti dalla fondazione Symbola, ogni euro prodotto dalla cultura è in grado di attivare 1,67 euro negli altri settori, a cascata. Per semplificare, i quasi 80 miliardi di euro investiti sono capaci di generarne altri 134. 
  Sono considerazioni importanti da cui prendere avvio nell'esame di questo provvedimento, un provvedimento che riprende alcuni punti chiave del precedente decreto «valore cultura», introducendone anche di nuovi, la cui importanza è stata tra l'altro ampiamente riconosciuta dalle tante realtà associative ed istituzionali che si sono incontrate e che abbiamo incontrato in queste settimane, nel corso delle audizioni compiute dalle Commissioni congiunte cultura e attività produttive. 
  Ne approfitto per citarne alcune: «Il decreto-legge n. 83 del 2014, offrendo ampia apertura per una normativa agevolativa e di sostegno della cultura, si pone come un importante provvedimento legislativo, in grado di recepire proposte ed indicazioni per implementare l'attenzione verso lo spettacolo dal vivo e le sale cinematografiche» (sono le parole contenute nelle memorie presentate dall'AGIS); o ancora Confindustria: «Questo decreto rappresenta un primo passo in questa direzione, seguendo giustamente un disegno ampio ed ambizioso»; e ancora Federculture: «Un atto importante e concreto per ridare ossigeno al settore della cultura in grande affanno e cercare di dare risposte a problemi ormai sul tappeto da troppo tempo».

Sono segnali di fiducia importanti verso un provvedimento che meritano di essere segnalati, a conferma di un generale apprezzamento per un testo che, pur caratterizzato dalla necessità e dall'urgenza proprie di un decreto-legge, ha in sé più prospettive più ampie e generali. Ne è un esempio evidente l'articolo 6, che ripartendo dalle disposizioni in materia di tax credita favore dell'industria cinematografica ed audiovisiva, stabilizzato lo scorso anno nell'ambito del precedente «decreto cultura», dispone ora un innalzamento da 5 a 10 milioni di euro del limite massimo di credito di imposta riconosciuto alle imprese italiane di produzione esecutiva in relazione alle opere audiovisive le cui riprese siano eseguite nel territorio nazionale utilizzando manodopera italiana su commissione di produttori esteri. 
  L'introduzione del tax credit nel nostro ordinamento ha consentito già negli anni passati – parlo del periodo compreso tra il 2009 e il 2013 – produzioni cinematografiche estere per un investimento complessivo pari a 102 milioni di euro. Pensate agli effetti che la stabilizzazione di questa misura e l'ulteriore incremento delle risorse previste in questo decreto potranno produrre negli anni a venire in termini di economia dei territori, su cui si andrà a investire, e di impiego dei lavoratori specializzati, che sono presenti nel nostro Paese. 
  Ma ci sono altri due elementi che meritano attenzione all'interno dell'articolo 6, frutto proprio del lavoro fatto in Commissione ed ispirato, molto spesso, alle audizioni svolte. Innanzitutto, la salvaguardia dei 4,5 milioni di euro di tax credit già stanziati nel precedente decreto «valore cultura», previsti per le produzioni di artisti musicali emergenti e non utilizzati nel 2014. In base ad un emendamento presentato proprio dal Partito Democratico, questi fondi verranno recuperati con la stessa destinazione nell'anno 2015. A fianco a questo il provvedimento, e l'articolo 6 in particolar modo, prevede un importante riconoscimento di un credito d'imposta proprio per il restauro e l'adeguamento, strutturale e tecnologico, delle sale cinematografiche, da finanziarsi attraverso uno specifico Fondo per il restauro delle sale cinematografiche storiche.

Non voglio qui evocare le suggestioni di Nuovo Cinema Paradiso, ma ritengo sia importante intervenire per il sostegno di luoghi storici, come i nostri cinema, per la memoria e l'identità di tante comunità cittadine, spesso collocate all'interno dei nostri centri storici, il cui recupero può concretamente produrre, a cascata, dei significativi risultati in termini di valorizzazione ed animazione dei centri cittadini, oltre che di valorizzazione del circuito dei cinema più piccoli e ricchi di storia. Interventi che coniugano la politica di tutela e valorizzazione con misure capaci di produrre concretamente economia e sviluppo delle comunità, perché il nostro patrimonio culturale è strategico per il suo ineliminabile valore intrinseco, testimonianza del passato, ma, allo stesso tempo, proiezione verso il futuro. 
  Questo è il senso di fondo della previsione di un piano strategico per i grandi beni culturali contenuto nell'articolo 7 del decreto, avente una duplice finalità: di recupero culturale e di crescita della capacità attrattiva del Paese. Il piano – e mi piace evidenziare la natura programmatica e di lungo periodo di questa previsione – individua annualmente beni o siti di eccezionale interesse culturale e di rilevanza nazionale per i quali prevede interventi organici di tutela, riqualificazione, valorizzazione e promozione culturale. È una disposizione, tra l'altro, che si aggiunge alla destinazione del 3 per cento degli investimenti previsti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a favore della cultura, il che potrà sicuramente contribuire ad alleviare la carenza di risorse tanto dello Stato quanto degli enti locali per la tutela e la valorizzazione dell'arte e della cultura. 
  Finalmente il superamento della logica dell'intervento emergenziale, spesso determinato nel momento della necessità quando il bene è in pericolo, a favore, invece, di un piano strutturale e pluriennale di intervento sul patrimonio culturale. È una presa di coscienza significativa, tra l'altro capace di produrre ricadute economiche significative in termini di investimento a favore degli operatori specializzati che si troveranno a lavorare su quei beni inseriti dal piano. Una disposizione, quindi, che si proietta sul territorio nazionale, su tutto il territorio nazionale, valorizzando il ricco patrimonio culturale di tante realtà locali italiane di primario interesse nazionale. Non solo, quindi, le grandi città turistiche, con i loro insostituibili beni, ma tutto il patrimonio culturale diffuso, in sinergia tra Stato, regioni, enti locali, operatori culturali. 
  È la stessa logica, se vogliamo, alla base della previsione di risorse a favore dei progetti culturali promossi dagli enti locali nelle periferie urbane (3 milioni di euro per ciascuna delle annualità comprese tra il 2014 ed il 2016), come dall'ulteriore previsione, inserita anche questa in sede emendativa all'interno del lavoro delle Commissioni, del Programma «Italia 2019», mirante proprio a valorizzare il patrimonio progettuale delle città italiane candidate a capitale europea della cultura 2019 e poi non selezionate e alla contemporanea individuazione annualmente, previa procedura selettiva, di una capitale italiana della cultura, in una logica di complessiva valorizzazione di tutto il patrimonio materiale ed immateriale dei tanti luoghi del nostro Paese. 
  Ma il concetto di sviluppo legato alla cultura si accompagna ad un altro tema chiave, quello dell'occupazione, e, nell'intervenire rifinanziando, attraverso «Garanzia Giovani», il Fondo Mille giovani per la cultura, si introduce una disposizione ulteriore diretta a favorire l'impiego, attraverso contratti a tempo determinato, anche in deroga alle previsioni e ai limiti fissati in materia di assunzione, di professionisti dei beni culturali individuati proprio ai sensi della recente legge di modifica del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Professionisti che saranno assunti nei prossimi mesi e che potranno contribuire attivamente con il loro lavoro all'interno dei luoghi della cultura. 
  Sarebbero tanti gli ambiti ulteriori su cui intervenire, ma se ci limitassimo a perseguire solo la logica della perfezione resteremmo fermi ed invece è importante provare ad agire dando risposte concrete. A questo mira il decreto-legge che approda oggi in Aula. La cultura non è solo una questione di opportunità economiche che ci sono e che sono senza dubbio importanti. C’è un elemento in più. Diceva Chesterton che le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono, le fiabe insegnano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti. E la cultura è proprio questo, è quella bussola che può consentirci di rialzarci e di decidere in quale direzione andare. E non ci racconta solo quello che siamo stati, ci offre la chiave per leggere il presente e tracciare una futura linea di azione. E con questo decreto-legge, siamo convinti, stiamo provando a farlo.