Presidente, mi permetta un excursus storico. Torino, capitale del Regno di Sardegna, giugno 1857. Cavour è Primo Ministro dal 1852, si è appena terminata la guerra di Crimea, si sta consolidando l'alleanza politica del Piemonte con la Francia, che ci condurrà alla seconda guerra di indipendenza, all'annessione della Lombardia e dei ducati del centro Italia. A palazzo Carignano, nell'Aula del Parlamento subalpino, nei giorni 25, 26, 27 e 29 giugno sono in corso sedute per approvare o bocciare la legge che deve consentire l'inizio dei lavori per il traforo del Frejus. Cavour, che nello sviluppo ferroviario, nei collegamenti tramite ferrovia col resto d'Europa ci crede moltissimo, è fortemente preoccupato, il clima in Piemonte è pessimo: il fronte no-TAV esisteva già allora, ma con altri nomi.
Le pubblicazioni del dibattito di quegli anni raccontano che molti avevano mostrato aperta avversione al progetto trovando insufficienti i mezzi o esagerando gli ostacoli.
Se i dotti trepidavano per la ventilazione e per il lavoro di perforazione ad aria compressa, i profani, impressionati da vane chimere, parlavano di caverne, di laghi interni che avrebbero interrotto o reso impossibile il proseguimento dei lavori. Le critiche arrivavano non solo dalla gente comune, ma anche dai grandi scienziati: degli studiosi parigini avevano stigmatizzato l'atteggiamento di Sommeiller, Grandis e Grattoni, gli inventori, i progettisti di quell'opera, attraverso l'uso della forza dell'aria compressa per la prima volta per fare uno scavo, e avevano predetto che in quell'opera i tre ingegnosi ingegneri avrebbero perso cervello e denaro. C'è anche chi pronosticava orribili sventure: si diceva che chi scavava attraverso il tunnel nell'escavazione avrebbe raggiunto il fondo del lago di Moncenisio, che peraltro era lontano 25 chilometri rispetto al tunnel, che gli operai sarebbero stati sommersi, e le vallate della Dora e dell'Isère in Francia sarebbero state allagate dagli imbocchi delle gallerie per l'acqua che sarebbe uscita copiosamente dal lago. Parecchi esperti, anche qui scienziati - c'erano i “no VAX” dell'epoca sotto mentite spoglie - non escludevano di trovare all'interno del monte interi filoni di rocce incandescenti, che avrebbero impedito qualsiasi prosecuzione dell'opera. E ci fu anche chi pensò che nel sottosuolo si sarebbero trovati mostri, strani animali e draghi.
E anche all'epoca la politica rincorreva questi mostri. Papa Gregorio XVI era verso le strade ferrate, non perché temesse i mostri, ma per una ragione più pratica: le considerava mezzi utili ad accelerare le rivoluzioni e, quindi, mai permise che se ne costruissero nei domini pontifici. Gli altri Stati d'Italia erano sostanzialmente indifferenti al traforo, pensavano non toccasse loro, mentre l'Austria era assolutamente contraria. Infine, il più acuto di questi politici, Ferdinando II di Borbone, aveva escluso la realizzazione di gallerie sotterranee ferroviarie nel suo regno, nella convinzione che il buio favorisse le tentazioni erotiche dei passeggeri. Ecco perché nel regno borbonico il problema di un tunnel non si pose mai. Era comprensibile che in quel clima il povero Cavour temesse una sconfitta. La discussione durò quattro giorni. Cavour la chiuse, prese la parola dicendo: signori, l'impresa che noi vi proponiamo, non vale celarlo, è impresa gigantesca, la sua esecuzione dovrà però riuscire a gloria e a vantaggio del Paese. Concluse: noi abbiamo preferito la via della risoluzione e dell'arditezza, non possiamo rimanere a metà, è per noi una condizione vitale, un'alternativa impreteribile: o progredire o perire. E concluse ancora dicendo: io nutro ferma fiducia che voi coronerete la vostra opera con la più grande di tutte le imprese moderne, deliberando il perforamento del Moncenisio. Torino, giugno 1857. Il Parlamento subalpino approvò con 98 voti contro 30 la proposta di legge, autorizzò una spesa di 41.600.000 lire e il traforo del Frejus partì. Partì per essere realizzato e inaugurato quattordici anni dopo, nel 1871.
Ho citato queste parole per ricordare che un piccolo Stato di montagna, ai margini dell'Italia, privo di ricchezze naturali, in quegli anni scommetteva e avviava, grazie alla capacità realizzative dei propri ingegneri, il primo traforo delle Alpi, un'opera che i giornali dell'epoca dipingevano come opera avveniristica, al pari del taglio del Canale di Suez. Quel piccolo Stato e quella classe dirigente, di lì a breve, avrebbero saputo realizzare l'unità di questo Paese. E infatti oggi il Parlamento siede qui a Roma e non più nel Palazzo Carignano che ho citato.
Del tunnel di base tra Torino e Lione è già stato detto tutto. Mi sono, perciò, richiamato alla storia per sottolineare la differenza tra il 1857 e il momento presente: di là c'era una classe dirigente visionaria e creatrice, di qui c'è una politica piccola che corre dietro i “no”, che manca di visione, che ha paura del futuro, che si vuole chiudere nel cortile di casa pensando a una decrescita felice. Scusatemi la polemica, ma la decrescita è felice per i figli di papà, per quelli che vanno a fare il giro del mondo facendo i rivoluzionari a spese di altri che non hanno mai lavorato un minuto in vita loro, mentre per la povera gente che non trova lavoro la decrescita è tutt'altro che felice.
Ma veniamo al programma di Governo. Al punto 27 del programma di Governo, Lega e Cinquestelle scrivono: un primo importantissimo passo da compiere per rispondere ad un'esigenza di mobilità veloce, sicura e a basso impatto ambientale, è rappresentato dall'ammodernamento, nonché potenziamento delle linee ferroviarie preesistenti. La ferrovia dovrà essere in grado di rivestire nuovamente il ruolo di principale sistema di trasporto ad alta densità, perché attualmente rappresenta l'unica soluzione di mobilità sostenibile per le medie e lunghe percorrenze. Accordo di Governo, punto 27. Ci sarebbe da dire: e allora di che discutiamo? È tutto scritto qui.
Poi, nello stesso punto, poco più sotto, si legge: con riguardo alla linea ad alta velocità Torino-Lione ci impegniamo a ridiscutere integralmente il progetto nell'applicazione dell'accordo tra Italia e Francia. Queste due righe di per sé sono un capolavoro di doroteismo, cioè dicono tutto e il contrario di tutto. Sulla base di queste due righe, l'acuto Ministro Toninelli ha prontamente avviato - prontamente nel senso che ci son voluti sei mesi perché partisse - una Commissione per l'analisi benefici-costi dell'opera. Il Ministro Toninelli, rispondendo dai banchi del Parlamento al question time alla Camera dei deputati, il 28 novembre dell'anno scorso, 2018, ci ha comunicato che l'analisi costi-benefici era già completata. Il giorno successivo ho presentato un'istanza di accesso agli atti al capo di Gabinetto del Ministro, il professor Scaccia, per ottenere il documento. Non avendolo ottenuto, a due mesi di distanza abbiamo deciso, come gruppo, di procedere a diffide e successive messe in mora. Da quel momento in poi è stata tutta una commedia, con il Ministro Toninelli a lanciare il sasso e ritirare la mano, ad annunciare un'analisi benefici-costi che avrebbe di sicuro smontato l'opera e a secretarla.
Un tempo i politici venivano sbeffeggiati dai comici, chi non ricorda il grande Charlie Chaplin con l'indimenticabile film sul grande dittatore in cui sbeffeggiata Hitler e Mussolini? Ora qui siamo al caso inverso: i politici che imitano i comici, Toninelli che imita Charlie Chaplin. L'analisi costi-benefici tanto declamata è stata secretata dal Ministro che si dichiarava il Ministro della trasparenza e che è diventato il Ministro della reticenza.
Un'analisi costi-benefici che, per espressa ammissione del presidente della Commissione che l'ha redatta, si basa sul costo delle accise e che, verosimilmente, ci spiegherà che è più utile far viaggiare le merci su camion, perché i camion rendono allo Stato, perché acquistano la benzina e il diesel, e dal diesel lo Stato ricava i soldi delle accise, facendo un'affermazione che non solo è priva di buonsenso, ma che è contro gli indirizzi sull'analisi benefici-costi dell'Unione europea; non solo: una analisi benefici-costi affidata - ed è un unicum nella storia di questa Repubblica - di fatto a una società privata, perché quattro dei sei membri della Commissione incaricata dell'analisi benefici-costi di quest'opera e delle grandi opere infrastrutturali vitali per lo Stato italiano, sono legati a una società privata, la Trasporti e Territorio Srl, società a responsabilità limitata di cui il professor Marco Ponti è fondatore e Presidente e a cui tre membri della Commissione sono in qualche modo collegati, li cito: Paolo Beria, allievo del professor Ponti, a lui subentrato in Traspol, il laboratorio di politica dei trasporti del Politecnico di Milano; Riccardo Parolin, anch'egli socio fondatore della Trasporti e Territorio Srl; Alfredo Dufruca, già membro del consiglio di amministrazione della Trasporti e Territorio Srl. E poi ce n'è un altro, l'ingegner Francesco Ramella: lui non è socio, ma è fedelissimo del professor Ponti, collabora con lui e con Beria in Traspol. Curiosamente, nel 2016 vince una valutazione comparativa presso il Politecnico di Milano e presidente della commissione di valutazione è proprio il professor Beria. Ma questi sono i casi della vita! Abbiamo affidato l'analisi benefici-costi dell'infrastruttura più importante per lo sviluppo di Italia, e del Nord Italia in particolare, a sei esperti, di cui quattro più uno sono in stretto collegamento fra di loro e hanno già espresso nel corso degli anni, in tutti i modi, opinioni anti TAV.
Sono delle persone che hanno un pregiudizio nel senso letterale del termine, come abbiamo testimoniato con una pubblicazione che è stata divulgata online, per la quale non è arrivata smentita alcuna dagli interessati. Nel frattempo che succede? Nel frattempo, mentre questa pantomima tra Lega e 5 Stelle, gli uni contrari e gli altri favorevoli, continua per salvare il Governo, la Telt, la società internazionale incaricata di realizzare i lavori, viene fermata. Il presidente e il direttore generale di Telt scrivono ai due Governi, con la lettera che sono in grado di produrre perché l'ho acquisita a seguito di istanza di accesso ufficiale, il 3 ottobre 2018 le seguenti parole: il consiglio di amministrazione di Telt, nel corso della seduta di Parigi del 25 settembre, è stato informato di uno scambio di comunicazioni in corso tra i Ministeri dei due Paesi, Italia e Francia, con la richiesta di uno slittamento cronologico con riferimento alla pubblicazione dei bandi di gara.
Questa richiesta è motivata dalla situazione causata dal tragico evento di Genova - tra parentesi, che non c'entra nulla -, nonché per poter acquisire le risultanze di un'analisi costi-benefici, che dovrebbe essere disponibile tra qualche settimana. È stata richiesta a Telt un'analisi dell'impatto che si potrebbe determinare con il ritardo nella pubblicazione dei bandi rispetto all'utilizzazione dei fondi europei e all'ultimazione dei lavori. È questo - vi prego, attenzione - il punto cruciale: la società ha, quindi, avviato questo esame, partendo dal contratto di finanziamento con l'Unione europea, contratto che prevede di raggiungere la produzione economica di un miliardo e 915 milioni di euro alla data del 28 febbraio 2021 con il mantenimento dell'obiettivo di messa in esercizio dell'opera il 1° gennaio 2030.
La società scrive: risulta che, al di là di uno slittamento non significativo di qualche settimana - ricordo, scrivono il 3 ottobre - il décalage ha un impatto medio mensile di 75 milioni di euro, senza considerare il costo del sotto utilizzo delle risorse umane impegnate, interne ed esterne a Telt. Oltre all'aspetto finanziario, va considerato anche l'effetto sul programma dei lavori e sull'entrata in funzione della linea. Lo slittamento temporale delle attività, se si supera il limite di qualche settimana - ricordo, siamo al 3 ottobre - compromette la data obiettivo di completamento dell'opera, cioè il 1° gennaio 2030, essendo i contratti interessati dallo slittamento nel percorso critico ed è altresì da escludere la possibilità di recuperare tale ritardo attraverso ulteriori contrazioni imposte alle imprese per la preparazione delle offerte e la realizzazione dei lavori.
Questa lettera ci dice che per ogni mese di ritardo, e ne sono già passati tre, ci sono 75 milioni di lavori che verranno fatti oltre il tempo limite del finanziamento dell'Unione europea; quindi, noi abbiamo già superato il tempo limite per 225 milioni di euro. Superando il tempo limite, noi, verosimilmente, purtroppo, perderemo il 40 per cento dei finanziamenti. Questo ritardo di tre mesi è quindi costato, o costerà, al contribuente italiano 90 milioni di euro di denaro che l'Unione europea avrebbe messo come compartecipazione ai costi di quest'opera e che non metterà più, essendo addebitabile a noi il ritardo di quest'opera. E allora, quando si parla di costi della politica, e lo dico rivolgendomi al Presidente di questa Assemblea, è di questo che dovremmo parlare, perché l'indecisione, l'incapacità di mettersi d'accordo sta buttando dalla finestra, sta facendoci buttare dalla finestra, decine, se non centinaia, di milioni di euro, senza che i 5 Stelle, che continuano a lambiccarsi il cervello sui tagli dei costi della politica, facciano alcunché e con la Lega che sta, complice, a tenere il sacco a questo grande furto ai danni dell'erario. Furto per il quale noi esprimeremo e presenteremo denuncia per danno erariale.
Ricordo, infine, visti i dati assolutamente falsi diffusi dal Ministro della reticenza, l'acuto Toninelli, che l'interscambio economico con l'Ovest d'Europa, in particolare con la Francia e con la Spagna, è di 205 miliardi all'anno, ed è, a differenza dell'interscambio con il Nord Europa, un interscambio che ha un saldo attivo di 21 miliardi, cioè esportiamo più di quanto importiamo. La Francia è il secondo partner commerciale dell'Italia, le merci che ogni anno vengono trasportate via terra attraverso la frontiera italo-francese sono di 44 milioni di tonnellate. Il 93 per cento di queste merci viaggia su gomma, trasportata da tre milioni e mezzo di camion. L'inferno per chi vive alle frontiere di Ventimiglia, a Bardonecchia e ai confini del Monte Bianco. La ferrovia copre solo più il 7 per cento, e sapete perché? Perché una linea di montagna costa molto di più utilizzarla, i treni sono più corti e non ci passano quelli con le sagome moderne.
Allora, questo è il problema che ci fa dire che il collegamento di base fra Torino e Lione non può essere l'anello mancante della nuova rete dei trasporti europea che l'Europa ha fortemente voluto e finanziato. Ed ecco perché noi, con questa mozione, impegniamo il Governo, poiché la sovranità appartiene al Parlamento, che l'ha espressa con la legge n. 1 del 2017, ad adottare le iniziative di competenza per autorizzare Telt a pubblicare i bandi di gara, che sono pronti nel cassetto, per realizzare il tunnel di base sotto il Moncenisio