Grazie Presidente, oggi discutiamo in quest'Aula delle mozioni che fanno finalmente tornare all'ordine del giorno un tema che nella scorsa legislatura avevamo affrontato in modo organico forse per la prima volta, cioè il tema del digitale nella scuola, della “cittadinanza digitale”, di come far sì che tutto quello che esiste nella quotidianità, al di fuori degli ambienti di apprendimento, entri a far parte di quell'apprendimento e possa in qualche modo arricchire la vita degli studenti, degli insegnanti e di tutti coloro che vivono attorno al sistema scuola italiano.
Ci siamo detti più volte, da più parti - poi diciamo che c'è chi nei fatti è riuscito ad essere conseguente e chi invece, una volta trovatosi a scrivere la legge di bilancio ha un po' cambiato prospettiva - che la risposta ha tempi complessi, come quelli che stiamo vivendo, tempi nei quali - lo diceva prima la collega Aprea - trovare lavoro si fa più difficile, anche perché il lavoro cambia e le competenze richieste sono sempre più complesse, ci siamo detti che è importante investire in educazione, che l'unica strada attraverso la quale il nostro Paese può sopravvivere alla competizione globale con Paesi che sono demograficamente immensamente più sviluppati del nostro e che, in prospettiva, lo saranno ancora di più non è investire sulla quantità, ma sulla qualità, investire appunto sulle competenze, investire sull'educazione.
Con questo spirito, all'interno della legge n. 107 del 2015, aveva trovato spazio il Piano nazionale Scuola digitale; il sottosegretario Giuliano lo sa bene - allora aveva un altro incarico e seguì lo sviluppo di questo Piano da un altro punto di vista - e sa bene che questo Piano comprende 35 azioni, che si suddividono in tre azioni fondamentali. L'investimento, prima di tutto, in formazione: non avremo mai una scuola nella quale si fa il coding, si insegna la programmazione, si insegna il nuovo linguaggio del pensiero computazionale, se non aiutiamo gli insegnanti ad essere i primi attori di questo processo. Per questo, noi abbiamo voluto introdurre 8.000 animatori digitali, così che ce ne fossero in tutte le scuole italiane, in grado di fare in qualche modo da punti di riferimento della comunità scolastica e poi abbiamo voluto inserire nella formazione, in un anno e mezzo di realizzazione, 140 mila persone, di cui 85 mila insegnanti.
Questo è l'investimento più importante di quel Piano nazionale Scuola digitale, un Piano sul quale il Governo precedente ha investito un miliardo e mezzo di euro e che oggi avrebbe bisogno non dico di altrettanti fondi, ma quasi, per essere ulteriormente implementato. Perché? Perché non c'è solo la formazione degli insegnanti, ma c'è anche il tema enorme delle infrastrutture. Infrastrutture significa ambiente ed apprendimento, ma significa anche investimento in edilizia scolastica e in questo ci sono molti passi in avanti da fare, perché purtroppo le strutture delle nostre scuole, anche quando si ha la buona volontà dei dirigenti scolastici, degli insegnanti, della comunità educativa tutta, di aprirsi alle nuove modalità dell'apprendimento e dell'insegnamento, purtroppo sono strutture che non sempre consentono di aprirsi ai nuovi linguaggi dell'insegnamento e quindi abbiamo bisogno di un investimento molto corposo in edilizia, investimento che ad oggi purtroppo non è ancora stato sbloccato. Questo è un tema che non ci riguarda direttamente all'interno di questa mozione, ma sono troppi i comuni che attendono di vedersi sbloccati i fondi che si erano faticosamente conquistati attraverso i mutui BEI, attraverso dei procedimenti di finanziamento anche piuttosto complessi e che oggi non si vedono arrivare quei fondi.
Infine, i contenuti: formazione, infrastrutture, contenuti, questa era la terza direttrice del Piano nazionale Scuola digitale, quella sicuramente più complessa, quella sulla quale l'investimento è ancora tutto da fare, perché bisognerà cominciare a chiedersi quanti di questi contenuti devono essere autoprodotti dalle scuole, come si fa a mettere in rete quei contenuti che le scuole producono, come si fa ad arricchirsi vicendevolmente con quello che accade nelle scuole italiane. Molte scuole si stanno organizzando, lo stanno facendo anche grazie a quel maggior grado di autonomia che gli è stato dato attraverso la legge n. 107 del 2015, però in questo il Ministero si deve sicuramente assumere una responsabilità in più, anche perché, nonostante i passi in avanti, nonostante oggi si possa dire che il 77 per cento delle scuole italiane ha fatto iniziative di coding - di queste però alcune scuole hanno fatto magari un'ora di coding, non le sessanta che si considerano essere una quantità accettabile per poter parlare di apprendimento effettivo del linguaggio computazionale - nonostante l'80 per cento della scuola abbia degli ambienti digitali, nonostante le connessioni siano arrivate quasi ovunque - anche se ancora c'è un tema di gap e anche questo aspetto è importantissimo soprattutto nelle aree meno sviluppate del Paese - c'è però una resistenza di fondo, cioè l'idea che in fondo a scuola il digitale non debba entrare, che in fondo la scuola debba rimanere legata ad una modalità di apprendimento e di insegnamento che appartiene al secolo scorso e che purtroppo è completamente slegata invece dalla contemporaneità, dalla vita nella quale i nostri ragazzi si muovono e a maggior ragione si muoveranno nell'età adulta. Questo perché tutte le statistiche ci dicono che nei prossimi cinque anni il 60 per cento dei lavori cambierà radicalmente e questo cambiamento includerà alcune competenze che sono strettamente legate alla programmazione, al coding, ai nuovi linguaggi del pensiero computazionale.
L'Europa si è fatta carico di queste esigenze, introducendo un'iniziativa secondo me particolarmente lodevole, che ha coinvolto per il 45 per cento scuole italiane - quindi le scuole italiane hanno risposto – che è la settimana europea del coding: si terrà anche quest'anno ad Ottobre e speriamo che ancora di più le scuole italiane siano coinvolte e vogliono anzi proporre delle loro iniziative per far sì che questa settimana funzioni. L'Europa sta dicendo sempre di più che tutte le scuole d'Europa devono in qualche modo includere nei loro programmi più che l'ora di coding, perché il coding non è una disciplina, ma è un linguaggio trasversale, attraverso il quale si insegnano le singole discipline, tanto che - ci dicono gli esperti - non è neanche necessario avere le tecnologie, si può fare ad esempio con i mattoncini Lego il coding, il pensiero computazionale, però deve poter esserci in tutte le scuole italiane almeno un elemento col quale si insegna questo tipo di linguaggio, proprio perché il lavoro sta cambiando, perché il mondo esterno sta cambiando.
Allora, l'Europa ci sta invitando a fare questo e noi in questo potremmo essere più avanti degli altri perché appunto il coding non è l'informatica - e qui forse facciamo spesso anche noi confusione nel raccontarci il processo di sviluppo digitale della scuola come se si dovessero aumentare le ore di informatica -, ma è l'apprendimento di un nuovo linguaggio e quindi del pensiero computazionale. Il coding è legato al cosiddetto problem solving, cioè alla capacità di risoluzione dei problemi attraverso l'utilizzo della logica.
Sembra incredibile ma, mentre l'Italia scende nelle classifiche OCSE purtroppo per le competenze di base di matematica e di italiano, resta stabile, se non addirittura sale, per quello che riguarda il problem solving, cioè i nostri ragazzi, forse anche perché abituati a vivere in un Paese piuttosto complesso dal punto di vista delle strutture burocratiche, sembrano più portati dei loro coetanei del resto d'Europa all'apprendimento del problem solving. Quindi, se la scuola italiana facesse un investimento serio sul coding, portando le scuole di ogni ordine e grado ad avere quelle famose 60 ore, questo potrebbe significare per i nostri ragazzi avere una marcia in più rispetto ai loro coetanei del resto d'Europa e quindi poter competere su quella percentuale enorme di lavori che stanno cambiando e che cambieranno, avendo addirittura più possibilità degli altri, cosa che, rispetto a tutto quello che abbiamo intorno in questo momento, sarebbe assolutamente auspicabile, sorprendente e ci darebbe un vantaggio competitivo che fino a qui non abbiamo certamente avuto. Non solo questo era il Piano nazionale Scuola digitale e non solo questo è il coding, perché acquisire competenze che riguardano il pensiero computazionale significa anche poter sciogliere gli algoritmi che governano la contemporaneità - la mia collega parlava prima di robot, di intelligenza artificiale - significa quindi poter essere a 360 gradi cittadini digitali. Parleremo a breve nella nostra Commissione di educazione civica ed io spero che, nel discutere di educazione civica, si voglia discutere anche di educazione civica digitale, cioè si voglia cominciare a porsi il problema di quella che gli studiosi chiamano “algorithmic accountability”, cioè di come noi governiamo gli algoritmi che ci governano, di quanto noi ci chiediamo chi è responsabile per quegli algoritmi che decidono la lista con la quale le nostre ricerche appaiono sul web, che decidono molte delle cose che ci circondano, che probabilmente decideranno le liste d'attesa negli ospedali e molte altre cose in futuro, perché si va in quella direzione. A maggior ragione, c'è bisogno di cittadini digitali, che siano in grado di sciogliere quegli algoritmi, di comprenderli e soprattutto di capire chi è responsabile per quella automazione, chi è responsabile per quegli algoritmi; accountability significa questo: rendere conto.
Se noi ci adattiamo ad una democrazia tutta fondata sugli algoritmi con l'illusione che la tecnica possa essere esonerata dalla responsabilità e dalla rendicontazione, ci arrendiamo ad una società meno democratica, con cittadini che hanno meno possibilità di incidere sul proprio futuro, sul proprio presente, sulla democrazia del loro Paese.
Allora, è particolarmente importante rendersi conto che insegnare il pensiero computazionale è, in qualche modo, fare educazione civica nelle nostre scuole; per quanto strano possa sembrare è l'apprendimento di un linguaggio che fa parte dell'essere cittadini.
Quindi, a maggior ragione, l'impegno che noi chiediamo al Governo con la nostra mozione è proprio questo: investire economicamente, naturalmente, ma anche dal punto di vista culturale sul coding, rendendoci conto che non c'è nessun percorso di accesso alla cittadinanza oggi che non passi anche per il digitale.
Dico un'ultima cosa che ci riguarda: noi abbiamo a che fare con i Centennials, che sono nativi digitali. Abbiamo a lungo parlato, anche in quest'Aula, delle caratteristiche dei nativi digitali e spesso ci impressioniamo perché i bambini del nostro tempo sono particolarmente bravi nell'utilizzo degli strumenti che hanno a che fare con le nuove tecnologie. Ci impressioniamo quando un bambino piccolo è in grado di cercarsi da solo un video sul web e, quindi, ci facciamo l'idea che questi bambini abbiano innate delle competenze digitali, cioè che siano, di per sé, perché sono nati in questo mondo, capaci di orientarsi in quel mondo digitale. E non ci poniamo il problema, invece, del fatto che quella complessità in cui sono immersi interroga, molto di più di quanto noi pensiamo, il loro essere cittadini.
Quindi, non dobbiamo illuderci del fatto che, essendo nativi digitali, abbiano innate le competenze di cittadinanza che hanno a che fare col muoversi nel web, ma anzi dobbiamo sentirci doppiamente responsabilizzati verso questa generazione e dobbiamo, soprattutto, abbattere quel muro, che per noi ancora esiste, tra ciò che è reale e ciò che è virtuale. Infatti, per i ragazzi di questa generazione il reale è un'unica cosa che comprende anche il virtuale, che comprende tutto ciò che è digitale e, quindi, a maggior ragione, il loro linguaggio nel futuro sarà sempre di più il linguaggio computazionale. Sempre di più avranno a che fare, nella vita quotidiana, nelle azioni quotidiane, nelle piccole, grandi cose della vita, con il coding, con la programmazione e, più che con il saper programmare, con il sapere cosa sta dietro quella programmazione.
Se vuoi essere un cittadino consapevole devi sapere quali sono i meccanismi che ti governano e il posto che deve aiutarti a comprendere il mondo che ti circonda - da che mondo è mondo - è la scuola. Abbiamo una responsabilità storica importantissima: questa mozione sia il primo passo per un percorso condiviso all'interno di questo Parlamento in cui, quota parte, ciascuno si prende una responsabilità nei confronti dei cittadini di oggi e di domani, perché la cittadinanza sia reale, consapevole e responsabile. Questo è il passaggio storico che abbiamo di fronte: non sottovalutiamolo perché riprenderlo tra dieci anni potrebbe davvero essere troppo tardi.