A.C.1637-A
Grazie, Presidente. So benissimo che moltissime persone, uomini, donne, giovani e anziani, i poveri, quelli vecchi e quelli nuovi, aspettano sia la flessibilità in uscita dal lavoro attraverso la quota 100 sia un reddito di cittadinanza in grado di rispondere alla povertà che c'è ed è tanta. Aspettano questo decreto per due motivi: il primo, perché, dopo tanti anni di lavoro, spesso in posti faticosi, usuranti, disagiati, hanno bisogno di andare in pensione, di lasciare il lavoro; il secondo, perché la grave crisi economica e occupazionale ha creato maggiore povertà e disperazione sia fra le singole persone che nelle famiglie. Proprio per questo aspettano questi provvedimenti; però, vedete, se li aspettano esattamente come glieli avete promessi in campagna elettorale.
Tutti quelli che vi hanno votato, parlo del Governo, naturalmente, ci hanno creduto, hanno voluto crederci per la disperazione, la preoccupazione di non arrivare a fine mese anche quando lavori, perché con precarietà e bassi salari, anche se lavori, sei povero, perché, quando hai un disabile in famiglia, devi sopportare spese e sacrifici, perché la disabilità va rispettata ed aiutata con dignità e troppo poco si fa per i disabili. Noi proposte ne abbiamo fatte, lo sapete, perché, quando hai un disoccupato o due in famiglia che non trovano lavoro, perché a cinquant'anni non entri più nel mercato del lavoro, oppure perché sei giovane e ti offrono solo un lavoro dove esiste uno sfruttamento praticamente totale, senza rispetto per i tuoi diritti contrattuali, e gli esempi di giovani sfruttati sono veramente tanti; quando c'è tutto questo, sei portato a credere alle promesse e speranze, perché pensi e speri che tutto si avveri.
Se stai male credi a chi ti promette che starai meglio. Spero che almeno vi siate accorti che state deludendo le aspettative. Le fantasie stanno a zero: li state deludendo perché li avete illusi e le illusioni arrivano puntualmente alla fine. Non sono contenta della vostra caduta di credibilità su questi problemi, ma la vostra caduta non mi interessa, anzi, i capitomboli, dovreste saperlo, fanno male. Vi farete male, ma di questo non mi importa, è un problema di tutti, ma soprattutto vostro. Ciò che, invece, mi preoccupa, e mi preoccupa davvero, è che a farsi male saranno le persone, tante, che aspettano dal Governo il giusto aiuto che si meritano e che voi gli avete promesso.
Poveri, giovani, anziani, lavoratori, famiglie e imprese che non meritano di essere trattati così; al contrario, meritano aiuti concreti, non caramelle. E voi, come primo atto, in cambio di queste illusioni, avete smontato il REI e avete solamente dichiarato, con un'azione teatrale, di avere abolito la povertà. Praticamente avete raccontato che, siccome siete in grado di fare miracoli, la povertà non c'è più. Come fanno i prestigiatori, uno, due, tre et voilà, la povertà non c'è più. Un consiglio: non fate più queste sceneggiate perché danneggiate l'immagine del Parlamento e questo mi dispiace, visto che siamo seduti anche noi in Parlamento.
Capisco che, presi da un entusiasmo quasi infantile, vi siete fatti trascinare da un delirio di onnipotenza. Ve lo dico con affetto per il vostro bene, mi vien da dire: datevi una regolata! Lo dico soprattutto alle reclute: contenetevi, contenetevi! Pensate prima di fare e di parlare! Quando poi si eccede, succedono cose spiacevoli, non per voi, ma per chi ha bisogno di aiuto vero. Abbiamo incontrato nelle audizioni tutte le organizzazioni sociali, eravamo tutti insieme, le organizzazioni sindacali, il terzo settore, le professioni e le imprese, ci hanno chiesto non i miracoli, ma azioni mirate, immediate perché i problemi sono di ieri, non di domani. Hanno avanzato proposte e voi cosa avete fatto di quelle audizioni? Nulla, nulla di nulla, bel risultato di democrazia. Se il reddito di cittadinanza può avere un obiettivo importante allora va strutturato - ve lo abbiamo proposto con i nostri emendamenti -, va reso agibile, va adattato alle esigenze della povertà, alle esigenze di controllare che vada a buon fine, non può essere la tessera del pane di antica memoria. Ci vogliono controlli e dignità, aiuto reale ai poveri, a quelli veri. E aggiungo che grazie alla battaglia in Commissione lavoro e affari sociali avete dovuto ritirare - come vi è stato detto stamattina - l'inaccettabile proposta di aumentare i costi delle colf per le famiglie; avete dovuto fare marcia indietro. E noi su questo non stiamo zitti e lo diciamo; voi non lo ricordate più, ma stavate facendo un disastro, anzi dovete ringraziarci che vi abbiamo quasi impedito di tenere quella ignobile questione in piedi. E ancora la “quota 100” è certo un passo verso la reintroduzione di una flessibilità di accesso alla pensione, ma non sarà mai - ve lo abbiamo detto - in grado purtroppo di rispondere alle esigenze espresse dalle lavoratrici e dai lavoratori e soprattutto avrà una penalizzazione che non tutti potranno sopportare. So bene come lo spiegate, che non c'è la penalizzazione o la decurtazione perché andando prima in pensione i contributi sono inferiori e quindi i pensionati prenderanno una pensione più bassa. Ma cosa gli avete promesso? Che non c'è la penalizzazione? Che aiuto di flessibilità è, quando invece li penalizzate? La vostra “quota 100” inoltre è una opportunità solo per lavoratori con carriere continue e strutturate, ma per i lavoratori del centro-sud sarà impossibile perché trentotto anni di contribuzione non riescono ad averli, se non a 67, 68 anni, alcuni a 70. Non sarà accessibile per i lavori discontinui, per i settori caratterizzati da discontinuità: penso al settore edile, al settore agricolo e a tanti altri. Questi lavoratori e lavoratrici raramente raggiungono i 38 anni di contribuzione e al sud ce ne sono tanti - voi avete l'obbligo di conoscere la fotografia del mercato del lavoro almeno nei vostri collegi, altrimenti è un bel problema - ripeto: sono tanti e specialmente sono tante le donne in agricoltura e a queste donne non basta la piaga del caporalato, e neppure la “quota 100”. Attenzione! E poi ci sono anche i lavori usuranti. Capite le contraddizioni? Capite l'ingiustizia o non la capite? Temo che non la capite e questo è grave. E, se la capite, è ancora peggio perché non fate niente per sistemare queste donne.
Per le donne, se non si riconosce, sia per le lavoratrici dipendenti che autonome, il lavoro di cura, per loro la “quota 100” è una chimera, una presa in giro. Il lavoro pubblico - è stato detto stamattina dalle nostre due relatrici - lo trascinate, con finestre, oltre il limite della ragionevolezza.
C'è, poi, tutto il grandissimo tema dei lavoratori precoci, che grida vendetta e che voi ignorate, penalizzando tutto il Centro Nord e moltissimi lavoratori che, a 15 anni, erano già nelle fabbriche. Lo dico soprattutto ai colleghi della Lega: molti operai vi hanno votato e cosa gli raccontate ora che speravano in una modifica strutturale della “legge Fornero” e non lo avete fatto?
Vi abbiamo chiesto di dare la possibilità ai precoci di andare in pensione con 41 anni di contribuzione, a prescindere dall'età anagrafica, ma voi nulla, niente; così, chi ha 38 anni di contributi e 62 anni di età può andare in pensione, chi ha 40, 41 anni di contributi e 58, 59 o 60 anni di età deve continuare a lavorare. Ma non vi sembra assurdo? È un controsenso. Nelle grandi aziende, nelle piccole e medie aziende di tutto il Nord, Nord-Est e Nord-Ovest, i lavoratori e le lavoratrici hanno iniziato anche a 14 anni: sto pensando a tutte le fabbriche tessili e alle ragazze che, uscite dalla terza media, sono andate nei laboratori. Negli anni Settanta erano tantissimi i ragazzi e le ragazze apprendisti, poi diventati operai qualificati o specializzati e molti di loro sono stati per decenni alla catena di montaggio o con lavori ripetitivi perché così era l'organizzazione del lavoro. Ricordiamoci - lo dico alle reclute - del film-denuncia “La classe operaia va in paradiso”. Rivedetelo quel film, magari vi dice qualcosa, “ogni buco, un pezzo”, chi era alla catena di montaggio e, dopo trent'anni, trentacinque lì, era disperato. E non è mica demagogia. È storia, la storia del movimento lavorativo operaio del nostro Paese, di quegli operai che hanno fatto grande la nostra filiera industriale.
Perché questi lavoratori, se hanno più di 40 o 41 anni di lavoro, non possono andare in pensione? Perché? È una follia!
Auguri, quindi, le donne ringraziano, i precoci ringraziano, i discontinui e gli usurati pure. Agli anziani non viene applicata la rivalutazione, frutto di un'intesa fra le parti, prima del 3 marzo, per difendere il potere d'acquisto delle loro pensioni, e non estendete la quattordicesima. Eppure, spesso, le pensioni dei nonni, delle nonne e anche delle zie sono l'unico aiuto a figli e nipoti, privandosi di cure per se stessi e di assistenza vera per aiutarli. Ai giovani, invece di lavoro, gli offrite assistenza: avete fatto un capolavoro!
L'ultima ciliegina sulla torta - lo voglio ricordare anch'io - l'avete riservata ai lavoratori delle costruzioni, che hanno manifestato per il lavoro e per i loro diritti, il diritto di andare in pensione a un'età ragionevole per loro. Hanno manifestato venerdì, in piazza del Popolo, a Roma: erano 200 mila, venuti da tutta Italia. Forse, se qualcuno fosse venuto a quella manifestazione, avrebbe imparato qualcosa. Io c'ero: gli avete impedito di versare una parte di contributi all'INPS attraverso l'ente bilaterale, che non ha costi, contributi finalizzati al sostegno del pensionamento anticipato. Lo avete impedito, dichiarando inammissibili emendamenti che consentivano questo risultato e che molti di voi condividevano.
Ora rischiano di andare tutti a 67 anni, provate ad andare voi su un'impalcatura a 67 anni. Provate, provate perché i lavori in questo Paese non sono mica tutti uguali! Anche loro ringraziano e vi fanno i complimenti.
Concludo, veramente, ricordando le parole del Presidente Mattarella che, oggi, a Modena, ricordando l'assassinio da parte delle Brigate Rosse del professor Marco Biagi, avvenuto il 19 marzo 2002, ha sottolineato la grande importanza del ruolo della rappresentanza sociale e dei corpi intermedi, importanza che supera la, pur fondamentale, dimensione dell'ambito delle relazioni del lavoro perché riguarda anche la salute del tessuto democratico del nostro Paese. Cito le sue parole per dire al Governo che il rapporto con la rappresentanza sociale non si può esaurire con un'audizione che neppure viene rispettata, ma significa convocare il sindacato e le imprese e, soprattutto, incontri, e sentire e ascoltare ciò che propongono, ma bisogna tenerne conto. Se non se ne tiene assolutamente conto, per sentire davvero ciò che loro propongono, allora vuol dire che questa democrazia, ricordata dal Presidente Mattarella, per voi non conta. Complimenti!