La Camera,
premesso che:
secondo gli ultimi dati Istat, si stima che la popolazione in Italia ammonti al 1° gennaio 2019 a 60 milioni e 391 mila residenti: oltre 90 mila in meno sull'anno precedente (-1,5 per mille); che le nascite nel 2018 siano state 449 mila, ossia 9 mila in meno del precedente minimo registrato nel 2017 e 128 mila in meno rispetto a dieci anni prima. Sempre secondo tali dati, il numero medio di figli per donna è pari a 1,32, invariato rispetto all'anno precedente, anche se, nel lungo periodo, la fecondità misurata lungo le varie generazioni femminili, anziché per anni di calendario, è in continua diminuzione e non ha mai smesso di diminuire;
in particolare, nel 2018 la provincia autonoma di Bolzano si conferma l'area più prolifica del Paese con 1,76 figli per donna, nonché l'unica che rispetto al 2010, anno in cui la fecondità nazionale registrava un massimo relativo di 1,46, abbia ulteriormente incrementato; seguono poi la provincia di Trento (1,50), la Lombardia (1,38) e l'Emilia-Romagna (1,37), ovvero tutte regioni del Nord, all'opposto, le aree del Paese dove la fecondità è più contenuta sono tutte nel Mezzogiorno (1,29), in particolare in Basilicata (1,16), Molise (1,13) e Sardegna (1,06). Anche nel Centro, con 1,25 figli, la situazione è molto critica, in particolare, nel Lazio (1,23);
secondo gli ultimi dati Eurostat i tassi di natalità netti più alti del 2016 sono stati registrati in Irlanda (13,5 per 1.000 residenti), Svezia e Regno Unito (11,8 per cento) e Francia (11,7 per cento). Al contrario, i più bassi sono stati registrati negli Stati membri del Sud: Italia (7,8 per cento), Portogallo (8,4 per cento), Grecia (8,6 per cento), Spagna (8,7 per cento), Croazia (9,0 per cento) e Bulgaria (9,1 per cento); a livello dell'Unione europea, la natalità netta è stata di 10 bambini per 1.000 residenti;
numerose ragioni sottendono al calo delle nascite, tra cui anche sicuramente le carenze, a livello nazionale e territoriale, di efficaci politiche per la famiglia, per la previdenza, per il lavoro, per la casa, per il welfare;
una delle cause della bassa natalità italiana è costituita dagli ostacoli economici e culturali che la scelta di diventare madri comporta, a partire dalla discriminazione nell'accesso e nella prestazione di lavoro, che aumenta in maniera direttamente proporzionale al numero di figli. Discriminazione aggravata da un sistema di welfare debole che spesso lascia alle donne il lavoro di cura di bambini e anziani, senza che questo venga riconosciuto dal punto di vista previdenziale. Si consideri poi come l'innalzamento dell'età per pensione di vecchiaia faccia sovente mancare l'aiuto dei nonni. Secondo una ricerca di Manageritalia basata su dati Istat e Isfol, il 27 per cento delle donne lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Se prima della gravidanza lavorano 59 donne su 100, dopo il parto ne continuano a lavorare solo 43 e nel 90 per cento dei casi la motivazione prevalente dell'abbandono è legata alla necessità di potersi dedicare alla cura dei figli. Approfondendo le ragioni dell'addio, emerge che il 23 per cento delle donne che lasciano il lavoro denuncia fenomeni di mobbing;
la Costituzione ha inteso valorizzare la famiglia, evidenziando l'importanza del mutuo aiuto morale, materiale ed educativo tra coniugi, tra genitori e figli e tra parenti; la stabilità affettiva e genitoriale è pertanto un orientamento da promuovere, nel rispetto delle libere scelte di ciascuno. Le diverse posizioni relative alle scelte affettive e genitoriali si ritrovano comunque concordi nel ritenere che una seria politica a sostegno della natalità e della genitorialità non sia più rinviabile;
assumono un significato rilevante non solo le politiche per la conciliazione e la condivisione delle responsabilità familiari, ma anche quelle relative al contrasto della povertà relativa ed estrema, in particolare di quella infantile. Secondo l'ultimo rapporto di Save the children, in Italia un milione e trecentomila tra bambini e ragazzi, pari a uno su dieci, non raggiunge una condizione di vita accettabile e soprattutto non riesce ad emanciparsi dal disagio familiare;
oltre alla povertà materiale, si registrano talvolta anche povertà educative e condizioni di abbandono o grave trascuratezza dei minori. Le famiglie adottive e affidatarie e i servizi sociali per minori rappresentano una realtà straordinaria del nostro Paese, che occorre tuttavia valorizzare e sostenere meglio, per dare casa e affetti a tanti minori in stato di abbandono morale, materiale o comunque in una condizione di disagio;
la frequenza al nido è un fattore efficace di riduzione delle diseguaglianze sociali nei rendimenti scolastici. Anche per questo motivo l'Unione europea ha fissato come obiettivo per i Paesi europei il coinvolgimento del 33 per cento dei bambini di 0-3 anni negli asili nido. Si sa che molte regioni sono molto lontane da quell'obiettivo;
le famiglie monogenitoriali vivono talvolta una condizione di fatica, se non di disagio, determinata dall'esito di separazioni o divorzi, da condizioni economiche precarie in quanto il genitore risulta unico percettore di reddito, talvolta ottenuto anche con l'effetto di trascurare la funzione genitoriale. Urgono quindi misure dedicate, in grado di tenere conto di tali diverse situazioni;
una valida politica di sostegno alle famiglie non può prescindere da adeguate politiche abitative. Il difficile accesso alla casa e l'impossibilità di condurre la propria esistenza in condizioni abitative dignitose rappresenta uno tra i problemi più gravi, causa di sempre maggiore esclusione sociale e rappresenta un sicuro freno alla natalità;
nella precedente legislatura sono state approvate numerose misure per contrastare la denatalità e sostenere la genitorialità: il bonus bebé, un assegno annuo erogato per ogni nuova nascita o adozione; il bonus baby sitter, un contributo in sostituzione al congedo parentale, da impiegare nei servizi per l'infanzia; l'estensione dell'indennità di maternità alle lavoratrici iscritte alla gestione separata dell'Inps; lo stanziamento di risorse per sostenere la maternità delle atlete non professioniste; la cancellazione delle dimissioni in bianco; l'istituzione (bonus mamma) di un premio alla nascita o all'adozione di un minore; il bonus asilo nido per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati, nonché per l'introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione in favore dei bambini affetti da gravi patologie croniche; l'aumento dei giorni di congedo obbligatorio dei padri; lo stanziamento di nuove risorse per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia; gli incrementi per il fondo delle politiche sociali e per quello della famiglia; l'emanazione del decreto legislativo a sostegno della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
le ultime misure introdotte dall'attuale Governo non tengono conto delle prerogative delle famiglie, in particolar modo di quelle numerose, di quelle con bambini o di quelle al cui interno vi è una persona disabile. In particolare, il reddito di cittadinanza, quale misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale, prevede una scala di equivalenza che penalizza le famiglie numerose e quelle dove vi è una persona disabile. Si aggiunga poi che nessuna risorsa è stata aggiunta sul cosiddetto premio alla nascita; che l'incremento degli assegni per l'iscrizione e la frequenza all'asilo nido risulta tuttavia senza risorse aggiuntive e fino ad esaurimento delle dotazioni;
la disciplina vigente a favore della natalità e della genitorialità si presenta assai frammentata e la sua applicazione genera disparità difficilmente giustificabili. Si aggiunga poi la questione dell'esiguità delle risorse riconosciute attualmente a chi ne beneficia, sebbene potenziate durante la XVII legislatura. Gli importi sono, infatti, di gran lunga inferiori a quelli mediamente riconosciuti in Europa, per cui l'Italia è tra le nazioni che meno investe in politiche per la natalità;
in altri Paesi europei le politiche di sostegno per i figli a carico sono semplici, ma anche più consistenti. Nella gran parte dei Paesi dell'Unione europea gli assegni per i figli sono universali, non dipendono dalla condizione professionale e non si perdono in caso di disoccupazione. In Italia, invece, la situazione normativa è paradossale. Le norme sono stratificate, spesso non note agli aventi diritto e di non semplice applicazione. L'assegno al nucleo familiare è riservato ai dipendenti, ai pensionati e a poche altre categorie di atipici. Esso si conserva durante il trattamento di disoccupazione ma si perde alla sua scadenza. Per le famiglie povere è previsto un sussidio specifico, ma solo a partire dal terzo figlio. Chi fa la dichiarazione dei redditi può beneficiare delle detrazioni per familiari a carico purché abbia un reddito superiore alla soglia di incapienza; pertanto chi non la supera non ha alcun vantaggio fiscale. Paradossalmente, i nuclei familiari più poveri e fragili sono anche quelli meno aiutati nella copertura dei costi per il mantenimento dei figli;
proprio per tali ragioni, in questa legislatura il Partito democratico ha depositato una proposta di legge volta a superare la situazione descritta mediante la previsione dell'assegno unico per i figli a carico e della dote unica per i servizi a favore dei figli a carico. Si tratta di un ripensamento complessivo delle varie misure previste a legislazione vigente, volto a concentrare le risorse in un unico istituto onnicomprensivo, investendo nuove e rilevanti risorse pubbliche per sostenere le famiglie, la natalità e l'occupazione, a partire da quella femminile,
impegna il Governo:
1) ad assumere iniziative per riordinare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico, attraverso l'istituzione di un assegno unico e di una dote unica per i servizi, in linea con quanto previsto nella proposta di legge n. 687 del 2018;
2) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per ampliare la rete dei servizi socio-educativi per l'infanzia, in particolare per la fascia neonatale e prescolastica, garantendone l'uniformità su tutto il territorio nazionale, nonché per garantire l'accesso alle mense scolastiche a tutti i bambini e per rafforzare la lotta alla povertà educativa;
3) ad assumere iniziative per incrementare l'occupazione femminile, specialmente nelle aree economicamente depresse, prevedendo incentivi per le imprese che assumono a tempo indeterminato manodopera femminile, incentivi fiscali per aumentare l'occupabilità delle donne dopo la maternità e politiche di detassazione per sostenere il reddito delle donne al rientro al lavoro dopo il congedo di maternità;
4) ad assumere iniziative di competenza per rilanciare una politica della casa che permetta di assumere le responsabilità genitoriali, specie a favore delle famiglie numerose;
5) ad assumere iniziative per rivedere la scala di equivalenza del Reddito di cittadinanza, affinché si tenga maggior conto dei carichi familiari, specie in caso di figli con disabilità;
6) a favorire le politiche di conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro, al fine di contemperare le responsabilità professionali con quelle familiari, di educazione e di cura dei figli.
Seduta dell'8 aprile 2019
Seduta dell'11 aprile 2019