Grazie, Presidente. Colleghi, l'altro ieri, mentre qui si svolgeva la discussione sulle mozioni presentate per il riconoscimento del genocidio armeno, alcuni di noi, presenti oggi in quest'Aula, erano nel monastero di Khor Virap, alle pendici del monte Ararat. A un chilometro di distanza, visibili a occhio nudo, i fili spinati e l'esercito marcavano il confine che separa l'Armenia dalla Turchia, perché l'Ararat è in territorio turco. Eppure, colleghi, quella montagna altissima e innevata, che fa parte per molti di noi di un immaginario collettivo, di una mitologia, Presidente, che ci riporta all'Arca di Noè, a storie lontane di passaggio tra Oriente e Occidente, è parte integrante della memoria identitaria del popolo armeno, il primo ad adottare, nel 300 dopo Cristo, la religione cristiana, a dotarsi, nel Quattrocento, di un proprio alfabeto di matrice indoeuropea, impegnato a tradurre i filosofi greci e quelli cristiani, a raccoglierne il pensiero in straordinari codici miniati, presenti nelle biblioteche di tutto il mondo, custoditi soprattutto a Erevan, in Armenia, ma anche a San Lazzaro degli Armeni, nella laguna di Venezia.
È questa fortissima forza identitaria che colpisce ancora oggi chi si accosta al mondo armeno, disperso tra la Repubblica armena di oggi, piccola rispetto al passato, e la diaspora che vede gli Armeni sparsi in tutto il mondo. La cesura, nella loro storia tormentata, che li ha visti vittime, fin dal XIX secolo, di faide contrapposte – turche, azere, curde, russe – è rappresentata dal genocidio perpetrato dai Giovani Turchi nell'aprile del 1915, durante la prima guerra mondiale. Il nascente nazionalismo turco mal tollerava la presenza di una realtà etnica religiosamente, culturalmente, economicamente compatta e diversa. Il Ministro della marina, quello della guerra e quello degli interni, ideatori ed esecutori, secondo le testimonianze del processo celebrato a Istanbul nel 1919, alla fine della prima guerra mondiale, furono riconosciuti colpevoli, ma mai di quella sentenza si prese atto. Di qui il racconto storico che conoscete e che i colleghi oggi hanno riportato: lo sterminio, per fasi successive, a partire dal 24 aprile di quel 1915, prima degli intellettuali, poi degli uomini dai quattordici ai quarant'anni e, infine, dei vecchi, delle donne e dei bambini, costretti a marce della morte nel deserto anatolico, quando non bruciati nei vagoni dei treni, come a Smirne o annegati in mare, in cerca di una improbabile salvezza. Morirono un milione e mezzo di persone, la metà circa della popolazione armena, nell'indifferenza delle potenze internazionali, con l'unica eccezione di Giacomo Della Chiesa, Benedetto XV, il Pontefice che si spese, invano, in loro soccorso.
Cento anni e più, centoquattro per la precisione, sono passati da allora, Presidente. Altri genocidi si sono consumati in Paesi diversi e per mano di forze contrapposte, eppure, ancora oggi, agli Armeni è negato il riconoscimento di quanto è accaduto. Per la memoria di tutti quei morti, di quei bambini, le cui fotografie rimangono negli occhi e nel cuore di chi le ha guardate, sono convinta che questo Parlamento debba riconoscere il genocidio armeno, secondo la definizione che ne diede Lemkin nel 1944, come il primo dei genocidi del XX secolo.
Nella Commissione VII della scorsa legislatura ci siamo spesi con la rappresentanza turca, ospite nostra, perché una commissione storica fosse istituita e messa in condizione di lavorare, ma questa commissione potrà solo chiarirne le dinamiche, spiegarci perché non si intervenne, non ci sarà commissione mista turca-armena di storici che possa negare che quello fu un genocidio. Questo, naturalmente, ci spiega anche perché Hitler poté dire ai suoi generali, nel 1939, in procinto di invadere la Polonia, che nessuno si sarebbe ricordato, un giorno, delle efferatezze commesse, proprio come era accaduto con lo sterminio degli Armeni, vent'anni prima.
Questo Parlamento, Presidente, nel 2015 ha inviato e Yerevan due delegazioni di Camera e Senato in rappresentanza delle rispettive Commissioni esteri, per partecipare al ricordo organizzato per il centenario del genocidio. Completiamo oggi, Presidente, col nostro voto, colleghi, quanto già fatto addirittura nel 2000, e poi nel 2015, sostenendo l'impegno che il Parlamento nelle sue diverse componenti chiede oggi al Governo.
Questo, Presidente, è un atto di valutazione storica. In questi giorni ascoltiamo proteste e rimostranze da parte delle autorità turche: riconoscere la tragedia armena non significa da parte nostra fare un processo alla Turchia di oggi, per quanto commesso anteriormente alla stabilizzazione della moderna Repubblica turca, ma invitarla ad un processo di riflessione matura, che può essere foriera di nuovi, positivi equilibri. Noi pensiamo che la Turchia sia un grande Paese, e siamo convinti che per questo possa fare i conti serenamente con il suo passato. Per questo il Partito Democratico voterà a favore di questa mozione e del riconoscimento del genocidio armeno.