Grazie, Presidente. Qualcuno lo ha chiamato il DEF verità. Sarebbe meglio chiamarlo il DEF confusione, il DEF incertezza ma probabilmente bisognerebbe chiamarlo il DEF del fallimento della capacità di Governo. E non serve dire che il DEF non serve: rappresenta il quadro di riferimento della politica economica, della legge di bilancio; il quadro che garantisce efficacia e credibilità all'azione di Governo, che mette insieme crescita e sostenibilità, che permette di avere fiducia nel Paese. Il DEF invece ci conferma che il re - si fa per dire - è nudo: la crescita per il 2019 è prevista allo 0,1, che diventa 0,2 se si tiene conto degli impatti delle politiche peraltro da valutare. Il deficit va al 2,4 per cento. Il debito, grazie alla crescita attesa e malgrado una fantasiosa cifra di 18 miliardi di privatizzazioni, non scende. Queste poche cifre hanno fatto gridare molti commentatori a un DEF vuoto: in realtà il documento è pieno di varie cose che bisogna ascoltare. Sulla crescita, che è vicina allo zero, si dice che è colpa della Germania in forte frenata, ma il Governo ha penalizzato la crescita almeno in due occasioni. Una prima volta al momento del suo insediamento, quando grazie ad annunci sguaiati e contraddittori, ha fatto crollare la fiducia di famiglie e imprese e quindi la spesa per consumi e investimenti, con conseguenze anche sul lungo periodo. Questo effetto ancora non si è arrestato e per favore basta con l'ipocrisia di dare la colpa al precedente Governo di questo fatto chiaramente falso. Ma l'ha frenato una seconda volta con la legge di bilancio e con questo DEF che ammette che le misure messe in campo da quota 100 e dal reddito di cittadinanza hanno effetti molto modesti sulla crescita: tali effetti addirittura sono considerati negativi dall'OCSE per quota 100 soprattutto nel medio periodo. Il fatto è che, al di là dei dati congiunturali, il Paese è sull'orlo della stagnazione e il Governo è senza strumenti per affrontarla. È tutto da valutare il vero effetto del decreto sblocca cantieri e del decreto crescita: ma poi quando arriveranno questi decreti? Il Ministro Tria ci ha appena detto che sono quasi pronti: è una frase che sentiamo dirci da molto tempo. Senza crescita del PIL l'occupazione non cresce, la disoccupazione non si riduce, anzi rischia di aumentare e lo dice il DEF, invertendo così un trend di discesa in corso da diversi anni e, malgrado un corposo piano nazionale di riforme, manca una strategia che metta al centro con chiare priorità la ripresa della produttività con misure di natura strutturale. Cosa ci dice il DEF sulla finanza pubblica? Che sta andando fuori controllo. Il deficit viaggia su valori superiori al 2 per cento ma soprattutto è il saldo strutturale, al netto del ciclo, che è peggiore dello 0,1 invece di ridursi ed è il saldo strutturale che conta per la valutazione della Commissione europea che avrà luogo tra un paio di mesi.
Nel frattempo, la valutazione del rischio Italia da parte di mercati, agenzie di rating e istituzioni internazionali rimane negativa e il Paese rischia di entrare in un circolo vizioso: meno crescita, più debito, più rischio e meno risorse per la crescita. Ce lo dice la semplice aritmetica: l'Italia è l'unico fra i grandi Paesi dell'Eurozona e la gran parte dei Paesi avanzati dove il tasso d'interesse, cioè il costo del debito, è superiore al tasso di crescita nominale. Questo fatto, per semplice aritmetica, innesca un movimento esplosivo, cioè di continua crescita del debito. Per contrastare questa dinamica occorrerebbe far calare i tassi, cioè recuperare fiducia sui mercati, e crescere di più, cioè avere una strategia di crescita, ma ambedue queste condizioni non sembrano verificarsi e il DEF non ci dice nulla su come recuperarle. In questo caso serve, allora, accrescere il saldo primario di finanza pubblica, cioè ridurre le spese e aumentare le tasse.
Arriviamo, quindi, al nocciolo politico di questa semplice aritmetica: se si sommano gli annunci di autorevoli membri del Governo a quanto dice il DEF - che pure è un documento del Governo o mi sbaglio? - l'intenzione del Governo sarebbe di evitare un aumento dell'IVA, di introdurre una o più flat tax, di accrescere le risorse per gli investimenti pubblici e privati - e mi fermo qui - e tutto nel rispetto degli impegni internazionali. Ma queste richieste sommate - e anche qui l'aritmetica è semplice - sono tali da ridurre fortemente il surplus primario. Anche senza misure aggiuntive e senza nessuna flat tax l'Ufficio parlamentare di bilancio calcola che, per mantenere gli impegni sui saldi, occorrerebbe un ammontare di risorse che va da 23 miliardi nel 2020 a 43 miliardi nel 2022. La Banca d'Italia ci ricorda che, in mancanza di aumenti dell'IVA e senza misure alternative, il deficit salirebbe al 3,4 per cento nel 2020, al 3,3 nel 2021 e al 3 nel 2022. Rimane, ovviamente, del tutto misterioso dove il Governo intenda trovare risorse: attraverso spending review! Emerge, dunque, con chiarezza che la somma degli interventi promessi dal Governo e dai suoi diversi membri è incompatibile con il rispetto degli impegni e con il quadro apparentemente rassicurante del DEF. Altro che DEF di rassicurazione: questo è il DEF delle contraddizioni e, appunto, dell'incapacità di governo.
Che fare? Il Governo semplicemente non lo sa e, quindi, non fa. Ci si illude forse di seguire una linea di galleggiamento, magari sperando - ironia della sorte - che “quota 100” e reddito di cittadinanza funzionino solo a metà, così da avere un risparmio forzato di risorse e malgrado la retorica di queste misure tante volte sentita. Ma questa confusione aumenta l'incertezza. Non illudiamoci che il galleggiamento possa dare frutti positivi. L'incertezza ha un costo in termini di rischio, che aumenta con il livello dei tassi d'interesse. Questo costo è quantificato da Banca d'Italia quando ci dice che un aumento di 100 punti base sui rendimenti dei titoli farebbe ridurre, dopo tre anni, il PIL di 0,7 punti percentuali, una cifra ragguardevole in termini di miliardi. Ci sono, allora, veramente tutti gli ingredienti di un circolo vizioso.
Ancora una volta questo Governo, con i suoi annunci e la sua confusione prima ancora che con le sue misure, fa male al Paese. Il Paese si sta avvicinando alla prossima legge di bilancio in condizioni di fragilità crescente. La conflittualità permanente e la frequenza delle svolte a U del Governo aumentano l'incertezza e invitano famiglie e imprese a sospendere le decisioni di spesa e ciò non può che alimentare la sfiducia e l'ulteriore indebolimento del Paese. Ma non basta: l'Italia mostra un isolamento crescente sia economico sia politico che ci impedisce, tra l'altro, di partecipare attivamente al processo di riforma dell'Europa proprio quando si definiscono gli strumenti di gestione delle crisi che tanto sono importanti per il Paese e per l'Eurozona. Quindi, anche l'isolamento è un costo. Oggi la situazione è tale che, con il prolungarsi della congiuntura debole, la fragilità del Paese potrebbe essere messa ulteriormente alla prova nel caso possibile di uno shock esterno e potrebbe perciò trasformarsi da fragilità in instabilità crescente e di questa instabilità il Governo se ne assumerebbe tutta la responsabilità.
Signor Presidente, nell'annunciare il voto contrario del gruppo del Partito Democratico, ricordo che una strategia profondamente diversa e utile al Paese - questa sì - è possibile ma non certo con questo Governo.