Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 13 Maggio, 2019
Nome: 
Silvia Fregolent

A.C. 1789

Grazie, signor Presidente. Gentili colleghi, gentili rappresentanti del Governo, è abbastanza surreale che a discutere di Brexit sia questo Governo e questo decreto venga fatto da un Governo sovranista, un Governo che in Europa è alleato con Farage, come i 5 Stelle, e che, come ha ricordato bene l'onorevole Fornaro, brindò il giorno dopo il referendum, come fece Salvini, dicendo “ora tocca a noi fare una cosa simile”. Sia bene inteso, questo decreto, come ha illustrato il collega Ungaro, seppur migliorabile, è un decreto di buonsenso, ma a volte la storia è veramente buffa.

L'uscita dall'Unione europea da parte della Gran Bretagna senza accordo è una cosa ogni giorno più reale, ahimè: ha ricordato il collega di Forza Italia che cosa vorrebbe dire per il Veneto. Mi permetto, da torinese, di allargare questa sua analisi, dicendo cosa sarebbe per l'Italia un no deal, come viene detto in inglese, cioè un'uscita senza accordo della Gran Bretagna. Sì, perché - lo vorrei ricordare al collega leghista che, dopo il suo intervento anti UE, è andato via - parlare male dell'Europa, noi italiani, che abbiamo la maggiore economia di trasformazione esistente in Europa – è seconda la nostra manifattura dopo la Germania –, che siamo un Paese esportatore – ricordiamolo, esportatore –, che in questi anni ha visto crescere la sua economia grazie al fatto che non c'erano dazi, grazie al fatto che c'era un mercato comune che ci consentiva di esportare i nostri beni, vuol dire non fare gli interessi degli italiani.

Se gli italiani vengono per primi, allora per primo bisogna avere a cuore l'Unione europea (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Forza Italia-Berlusconi Presidente). Senza l'Unione Europea la nostra economia, che già cresce pochissimo per le misure, nefaste, che avete fatto voi, con questo Governo, sarebbe sottozero. La cosa incredibile è che, quando fu promosso quel referendum da parte di David Cameron per cercare di cavalcare l'onda euroscettica di Farage, nessuno aveva in mente che cosa sarebbe successo. Ricordiamo che poi David Cameron fece la campagna per rimanere in Europa, pur avendo indetto quel referendum, convinto che sarebbe accaduto come era successo nel 1975, cioè che gli inglesi avrebbero poi votato in gran parte di rimanere. Ma quello di cui forse non si è reso conto - e anche noi, forse, nel referendum che avevamo fatto per la riforma costituzionale non ce ne siamo resi conto - è che oggi i livelli di propaganda sono cambiati. Lo abbiamo visto in questi giorni, con la chiusura di alcuni siti che danno fake news in merito alla politica italiana. Una semplificazione di messaggi ha consentito agli inglesi di scegliere di andarsene probabilmente in maniera non completamente consapevole.

E il fatto che oggi non si riesca a trovare un accordo all'interno del Parlamento britannico, per uscire dall'Unione europea dimostra come dietro agli slogan, facili, poi c'è la politica, difficile, e questa rende l'uscita della Gran Bretagna un'uscita dannosa in primo luogo per la Gran Bretagna stessa. Analisi di mercato hanno dimostrato come la Gran Bretagna, dal 1973 al 2016, cioè l'anno in cui è avvenuta la scelta per la Brexit, sia stata il Paese che in Unione Europea ha accresciuto di più il suo PIL: 102 per cento contro il 98 della Germania e il 97 per cento della Francia. Eppure è stato il Paese dove sempre si è soffiato contro l'Europa, forse in ricordo di un impero che non esiste più, per fortuna, e di una potenza economica che è completamente cambiata. Lo dico alla collega Siragusa, dei 5 Stelle che ha detto come in fondo Londra ci voglia bene, ci continui a mandare messaggi, per gli italiani che rimangono lì, di voler rimanere. Certo, Londra; ma Londra non è la Gran Bretagna. Londra, insieme alla Scozia e insieme all'Irlanda, sono stati i posti dove il remain, cioè il rimanere nel Regno Unito, è stato votato per la maggioranza; purtroppo il resto dell'Inghilterra e il Galles, tra l'altro regione che aveva avuto più finanziamenti europei, hanno votato in gran parte per lasciare l'Unione Europea. E non è un caso che Londra sia così attenta ai cittadini; non è un caso, perché è la città e l'economia che sta patendo di più. Londra faceva della sua attrattività internazionale, il fatto che era un'economia globale, l'elemento di crescita.

Oggi la Banca d'Inghilterra, la Banca centrale in Inghilterra, ha detto che il PIL del Regno Unito ritornerà ai livelli della seconda guerra mondiale, cioè un livello di recessione di più dell'8 per cento; ancora peggio che negli anni della crisi del 2008. E, allora, si capisce come sia impopolare dire oggi agli inglesi e ai britannici in generale “guardate, abbiamo sbagliato, per voi sarà ancora più caro lasciare l'Europa di come invece era più favorevole rimanerci”. E uno dei punti più controversi, non soltanto in confini, ma c'è una questione enorme: sta esplodendo la questione irlandese, che sembrava essere stata superata nel 1998, con l'accordo firmato da Tony Blair. Oggi uno degli elementi importanti è rimettere i confini tra la Repubblica irlandese e l'Irlanda del Nord, cosa che, invece, era stata superata, e le tensioni, anche purtroppo violente, di queste settimane ci stanno a ricordare come, a volte, mettere una crocetta con facilità in un foglio determini delle conseguenze nefaste.

Oltre al tema di come la Gran Bretagna potrà utilizzare i servizi - continua a dire che vuole poter utilizzare i servizi dell'Unione Europea, peccato che non voglia contribuire -, il tema principale è come rimarranno i cittadini europei in Gran Bretagna e come i cittadini britannici potranno vivere in Europa. Ecco, il solo pensiero che cittadini che fino a ieri potevano convivere in maniera naturale oggi debbano chiedere un permesso di soggiorno è la testimonianza di come quel referendum sia la fine della civiltà europea, sia la fine della civiltà europea. Noi abbiamo tutto l'interesse che ci sia un accordo con la Gran Bretagna e faremo, spero, di tutto. Noi, come opposizione, incalzeremo il Governo, e spero che il Governo lo faccia per conto suo, ci creda e partecipi ai tavoli europei per cercare di trovare un accordo. La cosa che dovrebbe essere di monito a tutti è come messaggi semplici, che sicuramente i sovranisti riescono a dare molto di più che i partiti tradizionali, siano poi difficilmente traducibili in politiche sagge.

Io, se fossi l'onorevole Paternoster, della Lega, sarei un po' più cauto a dire le cose che ha detto qui in Aula; sarei un po' più cauto perché, in primo luogo, la UE è la nostra casa, è il nostro mercato, e l'Italia lo sa benissimo. Se noi non avessimo il mercato unico europeo, sarebbero guai per la nostra economia.

La tassazione europea non esiste e diciamoglielo al collega. Se ha pagato tasse in Europa mi chiedo anche a che titolo l'abbia fatto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). C'è la tassazione in Italia, quella sì, altissima, che noi, con i Governi del PD, avevamo cercato di abbassare, come avete testimoniato voi nella vostra dichiarazione tecnica sulla legge di stabilità e come sempre voi nella vostra dichiarazione tecnica sulla legge di stabilità avete invece dimostrato di aver alzato.

E se l'immigrazione non è in agenda o lo è stata in maniera poco efficace, diciamo al collega della Lega di ringraziare in primo luogo Orbán e i Paesi di Visegrád a cui loro fanno riferimento con fotografie e selfie. So, ovviamente, che non crederete a me, in quanto del Partito Democratico, ma chiedetelo al vostro Premier Conte che è stato di recente nell'ultimo Consiglio europeo a chiedere solidarietà per 40 migranti in una nave (oddio, anche lì la figura un po' da cioccolatai: per 40 emigranti! Ma io la solidarietà me la sarei aspettata per 400, ma lasciamo perdere). Ha fatto bene a chiedere solidarietà anche solo per 40 emigranti in segno simbolico. Ebbene, lo diciamo al collega leghista che l'Europa che lui vuole fare insieme ai suoi amici di Visegrád ha detto “no”. Ad alzare la mano sono stati spagnoli, portoghesi, francesi e tedeschi e non è una barzelletta ma è la realtà.

Ebbene, i sovranisti che dicono “padroni a casa nostra” possono avere messaggi più facili, più orecchiabili e che stanno in 140 battute. Dire perché oggi bisogna credere a un'Europa che, non lo nascondiamo, abbiamo cercato di cambiare anche noi in questi anni e che fa fatica a cambiare - forse deve capire che deve cambiare proprio per evitare Brexit e Governi, come questo che abbiamo in Italia, che hanno anche avuto modo di esistere grazie alla loro cecità in alcuni casi - ebbene però oggi ci troviamo a discutere di un decreto che ha delle conseguenze pratiche nei confronti di un Paese che vuole lasciare l'Europa, a dimostrazione della follia che ha determinato quella scelta e di come, se noi fossimo abbastanza realisti, capiremmo che l'Europa è fin troppo piccola per un mondo così globale, per la nostra economia, che deve essere globale, e di come oggi, che ci troviamo a difendere l'Europa che è fin troppo piccola per il mondo globale, c'è qualcuno, però, che ci vuole rendere ancora più piccoli, cioè farci ritornare a Stati nazionali.

Ricordiamo che non tanti anni fa l'Europa ha vinto il Nobel per la pace. Sembra un mondo lontano, sembrano passati decenni e secoli e, invece, sono passati soltanto pochi anni. Nel riconoscere che a differenza di quello che era successo a mio padre, che è mancato pochi mesi fa, che ha vissuto il fascismo e la guerra e che mi ha sempre insegnato il valore del rispetto del prossimo proprio perché ha vissuto da piccolo la prepotenza dei pochi, ebbene pensare che si possa ritornare a Stati nazionali che fino a ieri si sono combattuti non soltanto è una follia per il presente ma è una tragedia per i nostri figli.