Discussione generale
Data: 
Martedì, 25 Giugno, 2019
Nome: 
Andrea De Maria

Discussione della relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione del Consiglio dei Ministri in merito alla partecipazione dell'Italia a ulteriori missioni internazionali per l'anno 2019, adottata il 23 aprile 2019 (Doc. XXV, n. 2) e sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita al periodo 1° ottobre-31 dicembre 2018, anche al fine della relativa proroga per il periodo 1° gennaio-31 dicembre 2019, deliberata il 23 aprile 2019 (Doc. XXVI, n. 2) (Doc. XVI, n. 2)

Grazie, Presidente. L'impegno internazionale che l'Italia profonde ricorrendo alla leva delle missioni militari per gli interventi di natura civile negli scenari di crisi costituisce la necessaria risposta a persistenti minacce di carattere transnazionale e asimmetrico - il terrorismo, la radicalizzazione, l'insicurezza cibernetica, i traffici illeciti - e a fenomeni di instabilità potenzialmente pericolosi per la pace e la sicurezza della regione euromediterranea.

Tale impegno si fonda su un approccio onnicomprensivo alle crisi proprio dell'Unione europea e pienamente condiviso negli anni dall'Italia, che correla all'intervento di carattere militare iniziative civili tese alla protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, all'investimento nell'istruzione e nella cultura, alla protezione e all'attenzione ai diritti delle donne, dei giovani e delle minoranze. Così è impostato l'impianto della legge n. 145 del 2016, che rappresenta uno strumento normativo innovativo di riordino e di razionalizzazione che ha fin qui assicurato una forte interazione tra l'azione del Governo e quella del Parlamento finalizzata alle decisioni sulle missioni internazionali, realizzando un inedito grado di trasparenza e di profondità e permettendo di contemperare il doveroso carattere democratico della dinamica decisionale su una materia tanto delicata anche sul piano dell'impianto finanziario alla necessaria celerità del relativo processo decisionale, nel superiore interesse della tutela della pace nonché della vita e dell'integrità degli uomini e delle donne impegnati sul terreno nei numerosi teatri operativi.

Da questo punto di vista voglio sottolineare come la presenza dei nostri militari e dei nostri operatori civili è particolarmente apprezzata nelle aree di crisi, è caratterizzata da un altissimo livello di umanità, di professionalità e da una forte capacità di rapporto con le popolazioni di quei Paesi e credo che di questo tutti noi - e sicuramente lo fa il gruppo del Partito Democratico - dobbiamo ringraziare i nostri militari e i nostri operatori civili per come lavorano ed essere sempre al loro fianco anche perché si tratta spesso di presenze difficili e anche pericolose sul piano dell'incolumità personale.

La vocazione transatlantica ed europeista della nostra politica estera, ideale nel quale crediamo fortemente e profondamente, purtroppo è stata più volte messa in discussione dall'azione dell'attuale Governo con attacchi nei confronti e all'interno delle istituzioni europee, con il legame poco trasparente di un partito fondamentale della maggioranza, come la Lega, con la Russia di Putin e da episodi gravi e inumani come, ad esempio, la scellerata chiusura dei porti alle navi delle ONG e persino alle navi della nostra Marina militare. Temiamo che questa impostazione nelle politiche del Governo, con un conflitto permanente fra le forze della maggioranza e anche una certa insipienza nell'azione governativa, stiano mettendo in discussione la forza della nostra presenza internazionale, quella tradizione, appunto, di credibilità e di capacità di azione che caratterizza l'Italia e che dobbiamo prima di tutto ai nostri militari e ai nostri operatori civili. Speriamo da italiani che su questo il Governo cambi passo e torni a essere all'altezza, come lo erano i Governi precedenti, delle responsabilità dell'Italia, dei problemi del nostro Paese, dell'interesse del nostro Paese e anche, appunto, della professionalità e delle qualità dei nostri operatori che agiscono nei contesti internazionali.

Da questo punto di vista nella nostra iniziativa stiamo dedicando una particolare attenzione a quello che sta accadendo in Libia e su questo voglio concentrare una parte di questo mio intervento a nome del gruppo del Partito Democratico. Infatti, dobbiamo sapere che il crescere del conflitto in Libia rappresenta un pericolo molto serio per il nostro Paese. Sta esponendo le popolazioni civili di quel Paese a rischi molto gravi e molto seri e credo debba portarci a una riflessione su come rilanciare l'iniziativa politico-diplomatica del nostro Paese in Libia, perché purtroppo noi riteniamo di essere di fronte, da parte del Governo Conte, a una grave mancanza di iniziativa in quello scacchiere che espone il Paese a rischi molto seri.

Si tratta di un'assenza per noi di straordinaria gravità perché la stabilizzazione della Libia dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni italiane. Qualsiasi cosa succede in Libia espone inevitabilmente a rischi il nostro Paese, a rischi di instabilità e di sicurezza dal punto di vista energetico, della gestione dei flussi migratori, della prevenzione di minacce terroristiche, persino belliche. Questo vale a maggior ragione oggi, quando, da un contesto di instabilità in qualche modo controllata, quel Paese sta scivolando nella guerra civile.

Come sapete, dallo scorso aprile, tra le truppe del generale Haftar e le milizie che controllano Tripoli e Misurata sotto l'egida del Governo internazionalmente riconosciuto di Serraj, insediato in base alla risoluzione ONU n. 2259, è in corso una vera e propria guerra civile, un conflitto che ha provocato centinaia di vittime, che è lontano da una cessazione completa delle ostilità anche in questi giorni e su cui insistono anche mire delle potenze regionali in contesa fra loro, a sostegno delle due parti contrapposte.

Dopo la visita, che noi riteniamo sostanzialmente propagandistica, del Ministro Salvini nel campo per i rifugiati di Tripoli nel giugno 2018 e l'iniziativa della Conferenza di Palermo sulla Libia promossa dal Premier Conte, dal Governo, i cui risultati sono stati nei fatti evanescenti, il Governo italiano non è più riuscito a impostare nessun tipo di iniziativa neanche nel momento in cui in Libia è scoppiata una vera e propria guerra civile. Il Governo si è limitato a dichiarazioni a ruota degli altri attori internazionali, ha messo in campo qualche incontro di facciata, ma manca un'iniziativa efficace del Governo italiano in quel contesto. Il Governo, poi, non è stato solo assente: si è nei fatti anche adoperato per dimenticare la Libia, per isolarla, smantellando quelle forme di cooperazione e sostegno alle autorità libiche che avevano evitato tanti morti in mare e avevano permesso all'Italia di essere un attore chiave nel difficile cammino di transizione e consolidamento della Libia, che è lontano dall'essere completato, che, però, per il nostro Paese è davvero ineludibile e necessario.

Il Governo, al grido di “mai con l'Europa”, ha coscientemente boicottato l'operazione navale europea Sophia, che sorvegliava i confini italiani con risorse europee. Nel tempo l'operazione aveva salvato 45 mila migranti in difficoltà, fermato 151 sospetti scafisti e neutralizzato 551 imbarcazioni. Ora l'operazione di fatto non esiste più, i Paesi dell'Unione europea si limitano a un pattugliamento aereo di quanto accade nel Mediterraneo e l'Italia ha dovuto stanziare 25 milioni di euro in più rispetto all'anno precedente per coprire con assetti italiani quello che l'operazione Sophia faceva con quelli europei. La criminalizzazione dell'operato delle ONG ha fatto il resto: le ONG si sono parte ritirate, oggi la traversata e la rotta del Mediterraneo centrale è diventata molto più pericolosa, nonostante siano diminuite le partenze. Rispetto alle ONG voglio anche sottolineare un altro tema, che invece riguarda le ONG che erano presenti in Libia, con alcune delle quali ho anche contatti personalmente, che si stanno anch'esse, nei fatti, disimpegnando dal contesto libico, anche di fronte al crescere dei rischi dovuti all'evoluzione della situazione dei combattimenti e dei conflitti in quel Paese.

L'attuale Governo ha poi di fatto arretrato il raggio d'azione del dispositivo militare previsto da Mare sicuro, affidando alle autorità libiche anche funzioni di controllo, monitoraggio e coordinamento; funzioni che la guardia costiera e le forze di sicurezza libiche non possono garantire secondo gli standard del dispositivo italiano sia in termini di capacità operative sia in termini di garanzia della tutela dei diritti umani. E, quindi, noi siamo convinti che serva una svolta nell'azione del Governo rispetto alla Libia perché è nell'interesse del nostro Paese realizzare una politica di stabilità in Libia e essere presenti in Libia con la giusta autorevolezza nel favorire una soluzione diplomatica dei conflitti in atto e la ricostruzione di un contesto il più forte possibile di stabilità delle istituzioni di quel Paese.

Il Governo italiano non ha dato seguito e non ha più richiesto alle autorità libiche il rispetto di quanto contenuto nel memorandum tra l'Italia e la Libia del 2 febbraio 2017, negli accordi fra Gentiloni e Serraj recepiti e sostenuti dall'Unione europea, che - voglio ricordare - prevedono un sistema articolato di interventi come l'adeguamento dei centri di accoglienza con la fornitura di medicinali e attrezzature mediche ai centri stessi e l'assistenza ai migranti, la formazione del personale libico all'interno dei centri di accoglienza, il sostegno alle organizzazioni internazionali che hanno ripreso e provano a continuare a operare in Libia, in particolare per ciò che riguarda i rimpatri volontari assistiti, il controllo dei confini a sud della Libia, il sostegno - ne accennavo prima - alle ONG italiane per interventi in Libia, che il Governo precedente stava finanziando con il Fondo Africa che era stato istituito ancora precedentemente dal Governo Renzi, la programmazione regolare di corridoi umanitari fra Libia e Italia, programmi di sviluppo in campo sanitario, educativo e delle energie rinnovabili nelle regioni più colpite dai processi migratori, con progetti presentati dalle municipalità libiche e finanziati dall'Unione europea.

Il Governo italiano ha cancellato, di fatto, questi impegni e si è limitato a consegnare le motovedette ai libici e a mantenere un'attività di formazione della guardia costiera libica. E, quindi, noi chiediamo al Governo che quanto previsto negli accordi firmati, che ho ricordato, con la Libia sia realizzato e sia messo in opera. La gestione della condizione dei migranti e dei flussi migratori non si risolve con gli slogan sulla chiusura dei porti italiani, ancora meno con il blocco di ogni percorso di integrazione, ma con un insieme di politiche che avevamo messo in campo. L'Italia oggi è impegnata in Libia in quattro missioni, due multilaterali, quella dell'ONU e quella dell'Unione europea, e poi nell'ambito di due, invece, iniziative di rapporti bilaterali - questo è l'impegno più oneroso in termini di uomini, 400, e di risorse - che riguardano la missione bilaterale di assistenza e di supporto in Libia, che riguarda soprattutto la gestione dell'Ospedale di Misurata, e poi l'impegno italiano a sostegno della guardia costiera libica, con 25 uomini impegnati nell'addestramento e manutenzione delle motovedette donate.

La presenza di un conflitto così vicino alle nostre coste e di una situazione umanitaria drammatica che coinvolge migliaia di persone recluse nei centri in Libia sollecita le nostre coscienze e il nostro impegno. Abbiamo sostenuto le missioni dell'ONU, dell'Unione europea, quelle bilaterali, perché pensiamo che l'Italia debba essere parte attiva nel promuovere diritti umani, stabilità e pace in Libia. Oggi riconfermiamo l'importanza della presenza italiana nel Mediterraneo centrale e chiediamo modifiche nella gestione della missione militare perché il conflitto in corso cambia naturalmente il dispositivo e le condizioni di azione dei nostri militari ed espone l'Italia a nuovi rischi. Ad esempio, abbiamo chiesto di rimettere a punto il supporto che i nostri militari danno all'azione delle motovedette che abbiamo donato alla Libia. Soprattutto, riteniamo che la strategia del disinteresse e del disimpegno del Governo rispetto alla Libia sia sbagliata e che occorra tornare a essere protagonisti pienamente in quello scacchiere.

In materia, poi, di aiuto allo sviluppo, si segnala la nostra contrarietà alle riduzioni di spesa rispetto all'anno precedente di alcune delle azioni in materia di cooperazione e all'utilizzo improprio delle iniziative di cooperazione e stabilizzazione previsto dalla deliberazione sulle missioni per finanziare interventi di cooperazione fuori dalle disposizioni previste dalla legge n. 125 del 2014 in Paesi stranieri finora non coinvolti in missioni internazionali a cui partecipa l'Italia, e, ancora una volta, il rammarico - ne ho parlato anche prima - per il non rifinanziamento del cosiddetto Fondo Africa, con l'obiettivo di promuovere il controllo del territorio e il contrasto ai traffici illeciti, a partire da quello degli esseri umani.

L'attuale Governo non ha provveduto neanche fino ad ora a incrementare le risorse per l'aiuto pubblico allo sviluppo, nonostante nei cinque anni della scorsa legislatura almeno una delle componenti dell'attuale compagine governativa abbia sempre sostenuto la necessità dell'impegno dell'Italia a favore della pace anche e soprattutto attraverso la cooperazione allo sviluppo. Nella risoluzione che presenteremo quando voteremo in Aula troverete anche indicazioni specifiche che riguardano in particolare le missioni NATO in Afghanistan e le azioni di finanziamento e coordinamento delle missioni in ambito europeo.

In questo intervento voglio limitarmi a sottolineare altre due cose, che sono queste: la prima riguarda il fatto che la deliberazione del Consiglio dei ministri è stata trasmessa al Parlamento con un notevole ritardo rispetto ai tempi previsti nella legge quadro sulle missioni internazionali, privando i nostri militari impegnati nei teatri operativi dell'indispensabile copertura politica e finanziaria e facendo anche in qualche modo venire meno il ruolo del Parlamento, che deve autorizzare l'avvio di nuove missioni o la prosecuzione di quelle in corso e non semplicemente ratificare decisioni che hanno esaurito i propri effetti. Ricordo che in questa deliberazione il Parlamento si trova, ad esempio, ad autorizzare la proroga fino al 31 marzo 2019, quindi una data ampiamente superata, di una delle missioni, la missione “Hebron”, a più di due mesi appunto dalla conclusione della stessa missione.

Aggiungo infine che in area mediorientale gli sviluppi recenti della tensione tra Libano e Israele confermano il valore strategico della missione UNIFIL. Siamo anche orgogliosi che ancora una volta questa missione sia a guida italiana, ma destano grandi preoccupazioni le dichiarazioni rese qualche tempo fa dal Vicepresidente del Consiglio dei ministri Salvini rispetto all'azione in quell'area, che hanno avuto ripercussioni politiche significative per i nostri militari. Più in generale, segnalo che bisogna essere prudenti nelle esternazioni di componenti dell'Esecutivo su questioni di politica estera, di difesa e di sicurezza, perché quando si parla di luoghi in cui sono impegnati i nostri militari e i nostri operatori civili li si espone a rischi e disagi, e bisogna appunto essere, invece, prima di tutto al loro fianco per il lavoro preziosissimo che mettono in campo. Riassumendo, come gruppo del Partito Democratico, noi siamo a sostegno dei nostri militari, dei nostri operatori civili, orgogliosi del loro lavoro, riteniamo che serva un nuovo protagonismo internazionale dell'Italia e del nostro Governo - che oggi non c'è - prima di tutto nel settore delicatissimo della Libia. Crediamo che tutte le forze parlamentari debbano essere accanto ai nostri operatori, ma proprio per questo ci sentiamo, in questa discussione e nel lavoro che metteremo in campo, di esercitare tutte le azioni politiche possibili perché appunto ci sia finalmente di nuovo un salto di qualità nella politica estera dell'Italia all'altezza della storia del nostro Paese e anche del lavoro che i Governi precedenti avevano svolto.