Presidente, “Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone”, scriveva Italo Calvino nelle sue Città invisibili. Il deserto che abita, che scava dalle fondamenta, che scardina e contrasta le nostre città, il nostro mondo, il nostro cosmo, che le nega e divora come un male, le definisce letteralmente, le confina ed opprime, è un deserto che cresce inesorabile, giorno dopo giorno. Un deserto contro il quale non ci sono molte vie di scampo, molte soluzioni praticabili, molte opportunità di salvezza.
Quando ho firmato questa proposta di legge sulla lettura, grazie allo sforzo e all'impegno di Flavia Piccoli Nardelli innanzitutto, che vorrei ancora una volta ringraziare qui in Aula per la pazienza e la determinazione con la quale ha lavorato, costruendo questo testo; quando ho firmato questa proposta di legge, dicevo, ho pensato che in qualche modo anche con un piccolo gesto ci si possa opporre a questo deserto che cresce, al depauperamento che ci rende più soli, più esposti, più fragili. Ho pensato ai numeri dell'ALI, l'Associazione dei librai di Confcommercio evocati dalla relatrice Carbonaro, che conta in più di 2000 le imprese tra librerie e cartolibrerie che hanno chiuso i battenti nel nostro Paese tra il 2011 e il 2016, in soli cinque anni: praticamente più di una al giorno. Pensateci: ogni giorno che Dio manda in terra una libreria non alzerà più la sua saracinesca.
Ecco, il deserto comincia anche da qui: dai numeri. Solo a Roma, ricordava un mese fa Claudio Morici su Internazionale, in 10 anni hanno chiuso 223 “punti vendita trattanti libri”. Una strage, prosegue Morici; e snocciola un rosario di librerie romane che non ci sono più, una Spoon River che ci lascia inconsolabili: Croce, Fanucci, Remainders a Piazza San Silvestro, Invito alla lettura, Amore e Psiche, Fandango Incontro, Flexi, Zalib, la Mel Giannino Stoppani, E ancora: stando ai dati ISTAT, sono oltre 13 milioni gli italiani che non hanno una libreria sotto casa o nel comune di residenza, come ricordava il collega Casciello. Il deserto è anche la distanza, la misura, lo scarto che ci separa dalla possibilità di sottrarci ad esso.
Nella scorsa legislatura non ero in Parlamento, ma lavoravo per il Governo, con grande personale onore; e ricordo tra le iniziative che più hanno definito nella mia memoria quegli anni a Palazzo Chigi proprio quelle che andavano nella direzione sintetizzata dal Presidente Matteo Renzi di “un euro in cultura, un euro in sicurezza”; e cioè di come la costruzione di legami duraturi, di valori forti, di rammendo tra la vitalità delle città e le difficoltà delle periferie, di cucitura paziente di senso e di legami, passasse proprio da un investimento massiccio e strategico sulle opportunità di crescita culturale, individuale e collettiva. Penso ad esempio al bonus diciottenni, nel segno del Governo Renzi prima e Gentiloni poi; alle leben chancen date a centinaia di migliaia di ragazzi in tutti questi anni di accedere ad un consumo culturale che potesse accendere una curiosità, una passione, indicare una strada per uscire dal deserto, per urbanizzarlo, civilizzarlo, renderlo umano.
Quando ero ragazzo, Presidente (mi perdonerà questa nota personale), gran parte della mia formazione di lettore, sì certo, a casa, a scuola, ma è avvenuta in una piccola libreria, una libreria di occasione dove passavo gran parte della mia giornata, confesso. Francesco e Rita oggi hanno aperto una grande libreria a Londra, ma all'epoca per me il ragazzo entrare da Ponti - così si chiamava - era come andare a casa: sempre libri da scoprire, dorsi da compulsare, indici da scorrere, volumi da mettere a catalogo. Poi gli avventori: Pierpaolo, Fabio, Acchittone, Santovetti, il timido professor Paolo, l'inclito Manica, Nagorni, logorroico come nessun altro, Maurizio a sbuffare scontroso. Si parlava, si leggeva, talvolta si comprava, si rideva moltissimo, si montavano leggende, si stava; Rita ci sopportava, non sempre. Ricordo una volta, Francesco doveva partire l'estate, e mi chiese di tenere aperta la libreria per qualche giorno in sua assenza, a me: credo di non essere mai stato più emozionato e riconoscente in vita mia, valeva un'investitura.
Ho vissuto quei giorni in una specie di trance nervosa, fingendo con i clienti di sapere il fatto mio, mentre invece…
In quegli anni ho imparato cosa significa combattere il deserto, ho imparato che libro e amico sono la stessa identica parola, ho imparato che lo sguardo è il gesto che pratichiamo di più e che leggere ha a che fare con il desiderio. Ho capito che si ricomincia sempre da capo e che questo è il gusto e non la fatica, ho realizzato che leggere non è un modo per vedere la realtà ma è l'unico modo che abbiamo a disposizione per vedere la realtà: leggiamo toccando, ascoltando, gustando, leggiamo cantando, leggiamo scrivendo. Ho compreso che leggere significa buttare giù muri e non abbandonarsi alla paura, che a leggere si diventa più alti e più belli (io speravo anche più magri, ma quello dipende).
Sa cosa ho imparato anche, Presidente? Che a leggere, attività solitaria per definizione, si è meno soli anche quando non sembra, anche quando per i libri che vendi, per gli incontri che tieni in libreria, per la cultura e i valori che difendi provano a farti sentire più solo, come è successo di recente al Nora Book and Coffee di Torino - vetrine rotte - o alla Libreria delle donne, sempre a Torino e Bologna, con intimidazioni e minacce fasciste, o alla Pecora Elettrica a Centocelle, a Roma, data alle fiamme. E proprio queste aggressioni, però, proprio queste intimidazioni rivelano che non siamo affatto soli, che quel paziente, estenuante e infinito lavoro di cucitura, di rammendo, di circuito, di tessuto e di testo funziona, vive e fa vivere meglio.
Lo scriveva di recente il The New Yorker citando i benefici personali del leggere, dell'atto della lettura. “Romanzi e poesie sono medicine - parole di Jeanette Winterson - e ciò che curano è la rottura che la realtà opera sull'immaginazione”. Colmare questo iato tra realtà e immaginazione, già: ma come si fa? Ecco, io questa la so: io l'ho visto fare con i miei occhi a Tor Bella Monaca, dove Alessandra, proprio dopo aver rimuginare su quell'euro in sicurezza, su quell'euro in cultura, ha deciso, un anno fa, di aprire una libreria proprio lì, la prima libreria, forse l'unica, di Tor Bella Monaca, uno spazio grande, allegro e sfrontato rispetto ai “tutti non ce la farai mai” e ai “ma chi te l'ha fatto fare”, per rimettere insieme i pezzi, come dice lei sorridendo, tenendo botta. Ecco, io l'ho visto fare. Come? Facendolo.
Ora, meglio di me i miei colleghi del Partito Democratico e di tutti i gruppi parlamentari hanno illustrato e difeso questo provvedimento. Ci sarà spazio per discuterlo ancora e lo dico anche interloquendo con i rilievi mossi dall'onorevole Fusacchia, per migliorarlo ulteriormente, per farne una bella opportunità anche di condivisione tra forze politiche sempre così divise. Io, però, mi sono ritagliato questo spazio non per entrare e uscire dalle pieghe della legge che comincia qui il suo iter, dall'impianto per promuovere la lettura, al lavoro nelle scuole, dagli incentivi alla card, dal digitale alle biblioteche, alle scuole e alle librerie di qualità. No! Mi sono preso, con il suo permesso e con il vostro permesso, colleghi, questi pochi minuti per provare a spiegare perché ho firmato questa proposta di legge. Semplicemente per questo: per oppormi al deserto, fosse anche solo con una piantina da interrare e annaffiare, per non rassegnarci, per essere meno soli, “per tenere botta e provare a rimettere insieme i pezzi”, come dice Alessandra di Tor Bella, e spero davvero che saremo all'altezza di questo coraggio e di quest'attesa.