Grazie, Presidente. I Governi di centrosinistra a guida del Partito Democratico della scorsa legislatura hanno avuto un grande merito culturale, e non solo: quello di aver restituito centralità politica nell'agenda di Governo alla cosiddetta questione periferie. Dopo anni sono stati i primi Governi ad avere contezza politica di ciò che stava accadendo nelle periferie, del coagularsi di condizioni di malessere sociale di enorme impatto per la convivenza civile. È noto, infatti, come le città contemporanee stiano vivendo un'epoca di grandi contraddizioni in termini di crescita demografica, sicurezza, distribuzione delle ricchezze, disuguaglianze sociali, utilizzo dei suoli, mutamenti climatici e approvvigionamento energetico; di come i fenomeni di neo conurbamento e la loro accelerazione abbiano rafforzato il peso delle grandi città e delle aree metropolitane nel mondo e anche in Italia. La povertà e l'esclusione non sono più da tempo fenomeni urbani e metropolitani propri delle città meno avanzate o dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, ma segnano profondamente anche le città e le metropoli dei Paesi più avanzati, specie dopo il 2008, configurando un forte assottigliamento dei ceti medi urbani tradizionali e delle condizioni medie di prosperità e di benessere.
Emerge, quindi, il profilo di una nuova questione urbana. Una ricerca dell'Istituto Cresme del 2016 documenta ancor meglio, con dati aggiornati, la crescita delle grandi metropoli delle economie emergenti, ma anche quella delle città della vecchia Europa, e come esse stiano cercando di progettare la loro rivoluzione, attrezzandosi per crescere e competere, offrendo nuove opportunità di lavoro e di sviluppo e una nuova qualità della vita. Una dimensione che riguarda non solo profili strettamente urbanistici, ma soprattutto demografici, culturali e ambientali; sì, anche di politica ambientale. In Italia tale contesto di novità globale si innesta su problemi mai del tutto risolti e superati: persistono larghi squilibri territoriali tra diverse aree del Paese, tra diverse aree urbane del Nord, del Centro e del Sud; ognuna ha le sue specificità, ma, al tempo stesso, tratti comuni, con periferie che assediano ormai i centri storici e non centri storici che si ampliano.
Purtroppo, abbiamo constatato come le leve tradizionali a garanzia di un equo sviluppo urbano tra le componenti pubbliche, cioè servizi, spazi pubblici, attrezzature collettive, urbanizzazioni primarie, infrastrutture, edilizia sociale, e quelle private, residenze private, attrezzature per servizi privati o per la produzione manifatturiera, risultino ferme agli anni Sessanta e Settanta. Il fenomeno dell'espansione non controllata e non pianificata delle cosiddette aree periferiche ha generato e genererà enormi costi finanziari, sociali ed ambientali. Se si parla di condoni, è ovvio che non si aiuta a pianificare; se si è indulgenti con una certa cultura, difficilmente si risolveranno i problemi che attanagliano le nostre città. Oggi è il quadro sociologico a complicare ulteriormente le cose: la questione periferica, perché di questo dobbiamo parlare, non riguarda più solo le aree esterne delle città, ma interessa anche zone centrali o semicentrali, investite dalle modificazioni del mercato immobiliare, dai flussi insediativi di immigrati, dall'invecchiamento del patrimonio edilizio diffuso.
Il senatore a vita Renzo Piano ci parla della necessità di rammendo o di ricucitura. Noi siamo purtroppo ancora impreparati a questa sfida, scontiamo ritardi storici, una certa vischiosità normativa, anche una mancanza di visione sinergica tra nazionale e locale e una oggettiva incapacità di molte regioni, soprattutto quelle con più problemi, ad avvalersi delle risorse messe a disposizione dall'Unione Europea per programmi e progetti innovativi di rigenerazione urbana. Con la legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, commi 974, 975, 976, 977, 978, noi abbiamo varato un programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia, che ha segnato una significativa inversione di tendenza nelle politiche pubbliche nazionali a sostegno delle aree urbane.
Abbiamo investito complessivamente poco meno di 4 miliardi di euro, di cui oltre il 50 per cento a carico dello Stato, un meccanismo partecipativo dal basso, nessuna imposizione centralista: patti per le città. Poi è arrivato il 4 marzo 2018, le elezioni sono state vinte dalle forze che danno vita all'attuale Governo e abbiamo assistito a un particolare paradosso che non va derubricato, ma contiene elementi di riflessione politica molto rilevanti. Cosa è successo? Ebbene abbiamo assistito al fatto che le forze politiche più suffragate nel Paese e in particolare nelle periferie, cioè Lega e Cinque Stelle, come uno dei primi atti al Governo, nel cosiddetto milleproroghe, abbiano bloccato quelle risorse e le abbiano differite nel tempo. Il primo atto del Governo periferico, cioè, è stato di colpire le periferie. Poi si è giunti, dopo una fortissima mobilitazione dei comuni e della nostra opposizione in Parlamento, ad una sorta di toppa ma che ha lasciato il segno in negativo, cioè è venuta meno la certezza che le periferie fossero una priorità per questo Governo. Da un lato è comprensibile: se i problemi delle periferie fossero affrontati verrebbero meno importanti sacche di consenso e, quindi, si preferisce lasciare inalterati i problemi, magari a soffiare sul fuoco alla ricerca e all'evocazione costante del nemico. Altrimenti si faticherebbe a trovare una risposta razionale a quanto è accaduto e comunque coerentemente la maggioranza ha deciso di bocciare anche la riproposizione in questa legislatura della Commissione d'inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie, Commissione che aveva concluso i propri lavori nella scorsa legislatura con un rapporto conclusivo votato sostanzialmente all'unanimità e che aveva condotto a un'ampia indagine territoriale e all'indicazione di alcune linee unitarie di intervento. Ma questo Governo, così attento a parole alla sicurezza, non ha permesso che tale lavoro venisse affrontato in seno al Parlamento. Se, come sosteneva Agatha Christie, un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova, dobbiamo dire che l'assenza totale di attenzione verso le periferie di questo Governo non ha eguali. Il reddito di cittadinanza non è una risposta, anzi stanno emergendo criticità che accentueranno tensioni sociali. Vedere solo il profilo di misure repressive senza investire negli spazi culturali, in una dimensione di normalizzazione di queste aree grandissime e popolatissime, spesso di popolazione giovane, è un grande limite di questa maggioranza di Governo: li avete sedotti e poi li avete abbandonati. Noi, invece, crediamo che il futuro del Paese dipenda anche e forse in modo rilevante dalle periferie e le misure devono essere indirizzate sapendo che non vi è una periferia ma tante periferie ognuna diversa e ognuna che necessita di una risposta in qualche modo personalizzata. Noi con la nostra mozione vogliamo impegnare il Governo ad adottare iniziative per rafforzare gli strumenti governativi e parlamentari per promuovere e gestire una nuova stagione delle politiche urbane, anche istituendo un dipartimento ad hoc di coordinamento; ad adottare iniziative per una riforma delle competenze territoriali delle grandi aree metropolitane puntando alle istituzioni di città metropolitane elette dai cittadini con particolare riferimento alle città metropolitane con popolazione superiore ai 500 mila abitanti. Noi vogliamo rilanciare le politiche avviate nel 2015 con un programma decennale con certezza di risorse.
Noi vogliamo impegnare il Governo a promuovere una nuova stagione di politiche di edilizia residenziale pubblica con sostegno diretto degli enti pubblici e con accordi con soggetti finanziari per realizzare programmi di housing che siano soprattutto finalizzati al recupero e alla riconversione del patrimonio dismesso, alla riqualificazione dei quartieri di edilizia pubblica esistenti e degradati, allo sviluppo delle residenze per studenti e per giovani coppie e al potenziamento dell'offerta per anziani attraverso residenze sanitarie assistite pubbliche o convenzionate.
Noi vogliamo impegnare il Governo a promuovere patti per la sicurezza che mettano insieme azione di repressione e controllo da parte delle forze di sicurezza con azioni di recupero sociale della marginalità e il coinvolgimento delle forze vive e dell'associazionismo e del protagonismo civico che è presente e straordinario nelle periferie; ad assumere le iniziative di competenza per una riforma dell'ordinamento delle polizie locali che favorisca un loro maggior coordinamento con i corpi nazionali. Noi vogliamo impegnare il Governo a investire in infrastrutture di rilevanza sociale come scuole, impianti sportivi, centri civici, strutture per bambini e anziani e a valorizzare in un'ottica di vera sussidiarietà le risorse civiche dell'associazionismo e del volontariato in campo ambientale, culturale, sociale e sportivo e di manutenzione dello spazio pubblico e dei beni comuni. Noi vogliamo impegnare il Governo a partire dalle periferie anche per nuove politiche ambientali perché la rigenerazione urbana e gli investimenti nel settore devono essere considerati - lo sono - politiche per l'ambiente: non consumare altro territorio, evitare ulteriori cementificazioni, investire sulle aree urbane anche nel verde è una politica per l'ambiente.
Papa Francesco - voglio concludere questo mio intervento citandolo - ha recentemente affermato: “Non ingrossate le fila di quanti corrono a raccontare quella parte di realtà che è già illuminata dai riflettori del mondo. Partite dalle periferie consapevoli che non sono la fine ma l'inizio delle città”. Ecco, con questa mozione, noi vorremmo far sì che le periferie diventassero l'inizio di questa nostra comunità.