La Camera,
premesso che:
il 3 agosto del 2014 le forze dell'autoproclamatosi «stato islamico» penetravano nel territorio del Sinjar, nel nord dell'Iraq, a pochi chilometri dal confine siriano, prevalente territorio del popolo yazida-minoranza religiosa invisa al Califfato e il cui gruppo principale vive in Iraq. In quell'attacco, sono stati massacrati, rapiti, schiavizzati e fucilati o decapitati in tutto 10.400 uomini donne e bambini;
quello che è stato fatto agli yazidi è stato ufficialmente riconosciuto come genocidio dal rapporto della Commissione internazionale indipendente d'inchiesta sulla Siria, istituita dal Consiglio dei diritti umani dell'Onu nell'agosto 2011 e considerata la più alta commissione d'inchiesta sulle violazioni dei diritti umani nel conflitto siriano. Il suo report – basato su 45 testimonianze fra operatori medici e umanitari, attivisti, giornalisti e sopravvissuti, leader religiosi, contrabbandieri, raccolte e verificate dalla Commissione stessa e intitolato «“They came to Destroy”: ISIS Crimes Against the Yazidis» afferma l'applicabilità dell'articolo 2 della convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948, di cui anche Siria e Iraq sono parte. La condotta delle forze dello «stato islamico» presenta infatti una precisa ratio di sterminio degli yazidi in quanto gruppo etnico;
gli atti compiuti da Daesh nei confronti degli yazidi, quali esecuzioni sommarie, gravi lesioni all'integrità fisica e morale, imposizioni di condizioni di vita aberranti, schiavizzazione e stupri delle donne e ragazze yazide, separazione forzata delle famiglie, e in particolare, dei bambini, rientrano – purtroppo – a pieno titolo negli atti previsti per il genocidio;
nonostante la caduta delle roccaforti Daesh di Raqqa e Mosul, secondo un recente rapporto dell'organizzazione non governativa Human rights watch, «i crimini dello Stato islamico contro la minoranza yazida proseguono e restano ampiamente impuniti». Lo Stato iracheno non è ancora riuscito a liberare tutte le persone ridotte in schiavitù. E, dunque, la sconfitta militare di Daesh non cancella tuttora la minaccia per il popolo yazida;
nel settembre 2017, è stata approvata una risoluzione dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (risoluzione 2379), volta ad istituire un team investigativo di esperti, guidato da un inviato speciale, con il mandato di raccogliere e preservare materiale probatorio relativo a possibili crimini di guerra e contro l'umanità commessi da Daesh in Iraq;
secondo un rapporto delle Nazioni Unite, più di 200 fosse comuni contenenti i resti di migliaia di vittime sono state scoperte in aree già controllate da Daesh in Iraq. È stata documentata l'esistenza di 202 siti di sepolture di massa nei governatorati di Ninive, Kirkuk, Salah al-Din e Anbar nelle parti settentrionali e occidentali del Paese e, secondo le stime, all'interno vi sarebbero i resti di almeno 12 mila vittime. Essi rappresentano una conferma ulteriore della brutalità, delle violenze, delle uccisioni di quanti rifiutavano o criticavano l'ideologia jihadista e la folle violenza omicida dei miliziani;
le prove raccolte dal team dell'Onu sono e saranno fondamentali per garantire indagini credibili, azioni penali e condanne in conformità con gli standard internazionali di processo, nonché una risposta alla ricerca di verità e giustizia delle famiglie che attendono di sapere la fine dei loro cari; ma ad oggi, come la stessa premio Nobel Nadia Murad ha affermato nel corso di un'indagine conoscitiva svoltasi in questo Parlamento, è ancora incerto l'utilizzo che verrà fatto di questo materiale probatorio raccolto;
secondo Human rights watch, i processi in corso da parte della giustizia irachena per crimini commessi contro gli yazidi sono destinati a un nulla di fatto, gli imputati sono principalmente accusati di «appartenenza, supporto o assistenza allo Stato islamico». Il rischio, denuncia la Ong, è che le prove del genocidio possano «perdersi, nel tempo nelle fosse comuni che le autorità locali tardano a portare alla luce». L'Iraq è stato criticato per il trattamento sommario riservato in passato ai sospetti membri e fiancheggiatori di Daesh, dopo la liberazione di Mosul e delle altre aree nord-irachene dall'occupazione jihadista. Molte persone sono state giustiziate in base a delazioni e vaghe accuse di aver sostenuto l'autoproclamato Califfato islamico;
a tal proposito, è fondamentale l'istituzione di un apposito tribunale internazionale contro i crimini di Daesh contro le minoranze religiose in Iraq, che abbia un mandato chiaro e circoscritto. Anche se, questo non deve far dimenticare che, oltre a Daesh, nella regione, ci sono altri che si sono macchiati di crimini contro l'umanità. A partire dal regime di Assad, per poi continuare con quei regimi nella regione che hanno utilizzato milizie fondamentaliste per una guerra per procura che è costata 400 mila morti. Iraq e Siria non saranno in pace, finché anche quei crimini non saranno investigati e processati;
parimenti, non si devono dimenticare la sofferenza e la persecuzione nei confronti di altre religioni minori nel Paese e, in particolare, quella verso i cristiani;
secondo la quattordicesima edizione del rapporto sulla libertà religiosa di aiuto alla Chiesa che soffre, nel mondo un cristiano ogni 7 vive in un Paese di persecuzione. Il numero complessivo dei cristiani perseguitati è di 300 milioni. Nel periodo preso in esame dal rapporto, dal giugno 2016 al giugno 2018, si riscontra un aumento delle violazioni della libertà religiosa in molti Stati. In totale sono stati identificati 38 Paesi in cui si registrano «gravi o estreme violazioni» e tra questi spicca proprio l'Iraq;
il 61 per cento della popolazione mondiale vive in Paesi in cui non vi è rispetto per la libertà religiosa, nel 9 per cento delle nazioni nel mondo vi è discriminazione, e nell'11 degli Stati vi è persecuzione;
l'Iraq non ha ratificato il trattato istitutivo della Corte penale internazionale dell'Aja (Cpi), lo statuto di Roma;
l'Italia può, anzi deve, farsi promotrice di una iniziativa internazionale per istituire un tribunale speciale per perseguire i crimini di Daesh contro le minoranze religiose, a maggior ragione perché il Trattato è stato firmato a Roma, il che costituisce anche un mandato «morale» italiano, e, soprattutto, perché esso rappresenterebbe un vero tassello nel complicato mosaico per portare pace e stabilità tra Siria e Iraq e per contribuire a salvare la natura plurale del Medio Oriente. Inoltre, l'Italia, partner dell'Iraq, ha contribuito alla coalizione globale contro Daesh addestrando oltre 30 mila unità militari e di polizia irachene;
il Consiglio europeo ha recentemente ribadito il fermo sostegno dell'Unione europea all'unità, alla sovranità e all'integrità territoriale dell'Iraq, nonché l'importanza della titolarità irachena dei processi politici e di riforma interni del Paese. Ed ha sottolineato il costante impegno dell'Unione europea a favore della salvaguardia del carattere multietnico e multireligioso della società irachena;
le elezioni federali tenutesi nel maggio 2018 riaffermano l'impegno dell'Iraq verso la democrazia. Ma, ora è cruciale che tutti i giocatori e le istituzioni politiche in Iraq lavorino insieme per affrontare i bisogni urgenti del Paese, soprattutto in relazione alla fornitura di sicurezza, di servizi e posti di lavoro sostenibili per tutti gli iracheni in tutto il Paese;
il Ministro degli esteri iracheno ha invitato i membri della coalizione internazionale a combattere l'organizzazione terroristica dello Stato islamico ed a intensificare gli sforzi nella lotta contro il terrorismo in Siria ed a sostenere le autorità irachene nella lotta al terrorismo sul suo territorio, «contro le cellule latenti di Daesh in tutto il paese e a contribuire a ripristinare la stabilità nei territori liberati ». E ha chiesto anche, «ai paesi della coalizione di fornire supporto logistico e tecnico per sostenere gli sforzi dell'Iraq sul terreno, in modo che lo Stato Islamico sia ritenuto responsabile delle sue azioni, compresi crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio»;
l'Iraq ed il popolo iracheno hanno pagato un costo altissimo per la furia cieca dello Stato islamico. Ed è dovere della comunità internazionale assicurare che i responsabili delle atrocità rispondano dei loro orribili crimini, non solo sul terreno militare, ma anche sul piano dell'ideologia e della narrazione,
impegna il Governo:
1) a promuovere in tutti i consessi internazionali, ed in particolare presso la prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite e presso il Consiglio per i diritti umani e l'ufficio dell'Alto Commissario per i diritti umani dell'Onu e infine nelle sedi europee, la necessità che i competenti organi delle Nazioni Unite, sulla base dell'attività del team investigativo, deferiscano il risultato delle indagini alla Corte penale internazionale o che si costituisca un tribunale ad hoc che abbia giurisdizione sul caso;
2) a supportare azioni immediate per combattere il sistematico sterminio di massa delle minoranze religiose perpetrato dal cosiddetto Stato islamico in Iraq e in Siria;
3) a promuovere, l'esigenza che gli Stati coinvolti – Iraq e Siria – implementino le norme su genocidio e crimini contro l'umanità.
Seduta del 29 luglio 2019
Intervento in discussione generale di Filippo Sensi
Seduta del 31 luglio 2019
Dichiarazione di voto di Lia Quartapelle