Data: 
Lunedì, 22 Luglio, 2019
Nome: 
Filippo Sensi

A.C. 1913-A

Grazie, Presidente. Signori del Governo, onorevoli deputati, il provvedimento che ci accingiamo a discutere in quest'Aula, il cosiddetto “Sicurezza-bis”, è uno dei più odiosi e dei più squallidi che questo Governo abbia pensato e questa maggioranza, se così si può ancora chiamare, sostenuto. La dico piatta e subito e non semplicemente perché faccio parte dell'opposizione a questo Esecutivo ma perché, per poterne far parte in quest'Aula, sono innanzitutto un cittadino come molti preoccupato per il mio e per il nostro Paese.

Per fortuna, mi verrebbe di dire, legiferate poco, pochissimo direi. Il Parlamento è chiamato in larga parte a processare le proposte legislative che vengono dal Governo e, dal momento che ne arrivano poche - pochissime! - da settimane e ormai da mesi, siamo costretti a lavorare pochissimo dalla vostra inerzia, dalla vostra incapacità, dalla vostra paralisi. In questo certamente un cambiamento c'è stato eccome rispetto ai precedenti Governi: scarsi, scarsissimi provvedimenti, molta fuffa per i social, Parlamento svuotato del proprio ruolo, dei propri ranghi (basta guardare i banchi della maggioranza; è sconfortante), delle proprie competenze - e ce ne sono - e della propria dignità.

Se erano questi l'obiettivo e il bersaglio della vostra azione politica, la mortificazione e spoliazione del processo democratico cioè, ci state riuscendo alla grande. State prendendo la democrazia per asfissia, per inedia (“la sete col prosciutto” si dice dalle mie parti).

Poi ogni tanto decide il capo di turno, quello che preferisce accuratamente evitare il Parlamento perché gli chiederebbe degli affari con la Russia del suo entourage - non sia mai! - o quell'altro, quello che lo voleva aprire come la famigerata scatoletta di tonno e, invece, è finito abbarbicato alla poltrona, anzi alle poltrone, e non come una cozza ma come un sauté di cozze.

Dicevo che ogni tanto poi il Governo spreme un provvedimento come questo e ti chiedi: “Ma cosa siamo diventati? Siamo veramente così?”. Non mi viene da dire “siete”, anche se dovrei. La responsabilità, beninteso la colpa, è vostra, tutta vostra, però mi riguarda e riguarderà presto tutti gli italiani e sarà legge e varrà in ogni centimetro, in ogni anfratto e su ogni frontiera di questo nostro Paese, che si è fatto bieco e torvo e curvo sotto tutto questo rancore, sotto tutto questo odio.

Cosa prevede il “decreto sicurezza-bis” come non bastasse già il decreto sicurezza bis in idem, quello sul quale i grillini hanno cominciato a chiedersi: “Ma noi siamo davvero questa roba qui?”. Spoiler: sì. Dobbiamo mandare giù questa sbobba per giustificare il saluto all'onorevole all'ingresso di Montecitorio, il rimborso spese per il convegno, l'aria condizionata a Palazzo Valdina, la centrifuga in buvette.

Quando esattamente siete diventati quello che siete? Volete sapere - e non lo devo dire a voi - cosa prevede la norma che discutiamo oggi, onorevoli deputati? Uno: rendere più difficile, se non impossibile, alle ONG di operare nel Mediterraneo; due: comprimere il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero, come previsto dall'articolo 21 della nostra Costituzione.

La dico ancora più facile, all'osso? Due parole, e le diceva prima di me Carla Cantone: fare paura - tutto qui -, costruire la paura, ingegnerizzazione la rete, una paura artificiale, manufatta, preventiva. Si passa dal reato al “preato” addirittura sulle manifestazioni, da Stato di polizia. Paura e odio che si tengono insieme come da programma, come da piano. Fatevi un giro sui social e ognuno capirà a cosa mi riferisco. Indicazione sistematica del nemico, individuazione del capro espiatorio e non sempre coincidono, gogna pubblica (anzi social), ripetere.

Permettetemi, tuttavia, di non soffermarmi sui singoli punti di questo provvedimento, poiché lo hanno già fatto, con migliore lena e competenza, i deputati che mi hanno preceduto, i colleghi del Partito Democratico che hanno dato battaglia in Commissione su questo decreto inutile e dannoso. Di solito si dice che una misura avversata possa essere o inutile o dannosa. Io ritengo, invece, che il “decreto sicurezza-bis” sia entrambe le cose: è inutile perché è patente il suo intento propagandistico, un rinforzino del primo, un omnibus nel quale far percolare il trovarobato richiesto da qualche ufficio ma confezionato come fosse un ulteriore giro di vite, un accigliato caveat, un secondo round, l'ultima botta di aspirapolvere il giorno dopo la pacchia, una “Scelba”, pardon una scelta cinica perfettamente in linea con l'attitudine maschia e il cattivismo, tossina inoculata nella famigerata pancia del Paese, interpretata dal capo e interpolata dalla sua macchinetta social e un giorno verrà che si mostrerà per quello che è, una disciplinata e foraggiata squadra di disinformazione e character assassination, né più né meno.

Inutile, si è detto, ma anche dannoso, al di là dei trattati che viola, delle norme che stravolge, degli articoli della Costituzione che sospende e che ignora e basti pensare alla necessità e all'urgenza di questo provvedimento. Ma quale necessità in un Paese nel quale gli sbarchi, nel carosello del Governo, sono ridotti a pochi disperati e quale urgenza per un attacco frontale alle ONG nel Paese dell'economia che stagna, del lavoro che non c'è, della sanità allo stremo, delle promesse ingiallite e tradite. Al di là dello squilibrio normativo che provoca, dicevo, è la misura che rivela con più evidenza l'unico progetto, se posso, programmatico e culturale di questo Governo: l'incanaglimento.

E mi ritrovo totalmente nelle parole usate questa mattina dall'onorevole Bazoli, quando sottolineava nella sproporzione e nella dismisura la cifra di questo provvedimento. È un provvedimento che, proprio perché sul tema delicato della sicurezza, avrebbe dovuto cercare, invece, la misura, l'equilibrio, il bilanciamento. Invece, la sproporzione e la minaccia, il ringhio, il ceffo, l'intimidazione, l'avvertimento, la mascella serrata, il digrignare, il bruxismo, la Pasta del Capitano: è questo.

L'Italia della Lega e dei 5 Stelle somiglia a un uomo asserragliato in casa, letteralmente tappato dentro, armato fino ai denti e che non si accorge che la minaccia più urgente all'incolumità propria e altrui è lui stesso. La sua paura è proiettata sull'altro, stordito da un rancore sordo, un Paese in ostaggio di se stesso, dei propri fantasmi e dei propri incubi: muri e recinti, armi in casa, immigrati via, vivi e lascia morire, fatti i fatti tuoi. Un Paese etimologicamente disintegrato, senza integrazione.

Per anni - che dico? Per decenni! - siamo stati un Paese con un capitale simbolico straordinario. Il nostro soft power era fatto di bellezza e leggerezza - non parlo di me -, di qualità della vita e apertura, disponibilità e versatilità. Da un anno a questa parte ci aggiriamo per l'Europa come uno spettro in termini di autorevolezza, spariti, chi ci ha visti, svaporati, noi che fummo tra i fondatori dell'Unione, come si dice con sussiego, come un rissoso ubriaco che attacca briga ai passanti, maledicendo non il gomito ma la guera, come si dice a Roma con una “ere”.

Colleghi, ci sono momenti in cui quest'Aula è come se fosse la nostra coscienza. Siamo chiamati a qualcosa di più di approvare un provvedimento, fare due chiacchiere in Transatlantico o un post su Facebook.

Ci sono momenti nei quali siamo chiamati a dire da quale parte stiamo: no, non dico spingere il bottone rosso o quello verde, dico proprio noi, ognuno di noi: da che parte stiamo? Da che parte stiamo rispetto ad una politica che predica violenza e odio nei confronti dell'altro? Da che parte stiamo rispetto a un discorso pubblico che emargina e aggredisce, rende il prossimo non più tale: se sei donna… e, a proposito, il Partito Democratico in queste ore darà battaglia in Aula e in piazza su quella vergogna che si chiama “disegno di legge Pillon” (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). O se appartieni alla comunità LGBT, se sei migrante o se sei un giornalista, se la pensi diversamente da chi adesso è al potere, e magari osi manifestare la tua idea. Da che parte restiamo rispetto a cosa vogliamo essere come Paese, come Italia? Se una assolata Visegrád o la fatica quotidiana del sogno europeo. Da che parte stiamo rispetto a chi vogliamo essere come cittadini, con doveri, certo, e diritti che abitano profondi nella nostra storia, nella nostra cultura, nella nostra identità plurale, mescolata, lo ricordava l'onorevole Anzaldi, mediterranea? Da che parte stiamo rispetto a una linea semplice, chiara, dritta: quella dell'umanità?

Ecco, questo è uno di quei momenti; non sono tanti nell'arco di una legislatura. Si può approvare una misura sul codice della strada con attenzione ed essere dei parlamentari scrupolosi; ma non si può restare indifferenti, non si può non essere chiamati in causa come persone, prima che come cittadini o legislatori, quando si deve decidere su chi siamo, su chi vogliamo essere. Quest'oggi, Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, dobbiamo scegliere: se stare dalla parte della paura o da quella dell'umanità, dalla parte dei muri o dalla parte del mare, dei porti e dei ponti, dalla parte del sospetto o da quella del rispetto, dalla parte dei Carpazi o da quella del Mediterraneo, dalla parte della cella o dalla parte della piazza, da quella del presente o da quella del futuro; di questo, non di altro, si parla oggi. “Una volta” - e cito – “che si è stesa una coperta di sabbia e di cenere su migliaia di corpi anonimi si coltiva l'oblio”, scrive Tahar Ben Jelloun.

Ricordo ancora quando Matteo Renzi, a Palazzo Chigi, mi disse che saremmo andati a ripescare il relitto di quel barcone nel cui naufragio persero la vita tra le 700 e le 900 persone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), per ridare nome e memoria - che vita l'avevano persa - volto, come avrebbe poi detto Cristina Cattaneo, in quel libro doloroso come una ferita aperta nell'anima del nostro Paese. Furono meno di trenta i sopravvissuti di quel naufragio. E quel Governo lo fece: già, lo fece. Ed io sono grato ogni giorno di quella scelta, anche oggi che il barcone sta a Venezia, che non ha finito di viaggiare e di inquietare come un perturbante: chissà dove lo porterà il suo viaggio, chissà dove ci porterà il suo viaggio.

 

Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, questo decreto odioso e squallido è uno spartiacque: di qua o di là. Non ci sono zone grigie, aree di conforto, neutralità o indifferenza, terzietà. Non possiamo, non dobbiamo coltivare l'oblio verso il quale ci spinge questo provvedimento inutile e dannoso. Spero che sia questo il monito, l'appello che ci possa accompagnare, che possa accompagnare ognuno di noi nel nostro lavoro in Parlamento e nella nostra coscienza.