Signor Presidente, parleremo anche per un po’ del provvedimento perché, a un certo punto, e lo dico simpaticamente, dopo l'intervento del collega Matteo Bragantini ho pensato che fossimo passati al punto relativo al depistaggio, nel senso che ha parlato di tutto tranne che della discussione. È vero che è una dichiarazione di voto e di un voto di fiducia, ma è un voto di fiducia legato ad un provvedimento. E io credo che il Parlamento oggi è chiamato ad esprimere un voto di grande rilevanza legato alla dimensione pubblica che l'amministrazione ha sul sistema Italia. È solo questione di tempo, Presidente. E ritengo che sia un tassello di fondamentale importanza in quel percorso di riforma e cambiamento che sta impegnando il Governo e anche il Parlamento. Voglio dire che ci sta, l'opposizione fa il suo mestiere, gli 80 euro sono un'operazione demagogica, come quando si fanno le slide sui provvedimenti; e quando arrivano i provvedimenti, si richiamano gli 80 euro che sono pochi. Voglio solo ricordare, e anche qui simpaticamente, alla collega Dieni che la citazione di Kafka è corretta: «I ceppi dell'umanità tormentata sono fatti di carta bollata». La citazione continua e dice che «il lusso dei ricchi è pagato con la miseria». E noi non vorremmo che questo accadesse (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)ed è per questo che non ci fermeremo su operazioni di restituzione, di equità e giustizia.
Presidente, mi faccia fare solo una premessa all'intervento. Questo è un provvedimento che, prima che dettagliare qualche singola iniziativa, ha una valenza politica e culturale. Torna spesso, anche nella nostra discussione, il termine «efficienza», ma io credo che noi stiamo facendo qualcosa di più che ridare efficienza ad un sistema o cambiare qualche norma. È un'ambizione che spero siamo in grado di interpretare. Ma noi stiamo cercando di restituire dignità e tensione virtuosa al sistema pubblico del nostro Paese. Io sono convinto che l'amministrazione pubblica di un Paese riflette il suo stato di modernità e, dal mio punto di vista, anche il suo tasso di civiltà. Qualcuno in questi anni ha messo in un cono d'ombra l'idea dell'impiego pubblico, del servizio pubblico, descrivendolo come una presenza da sopportare, a volte un prezzo da pagare, fino a considerarlo un ineluttabile tributo all'improduttività. E quando un Paese considera così i suoi insegnanti, i suoi infermieri, le sue forze dell'ordine, i suoi funzionari pubblici, beh, dimostra di non credere più in chi opera nella dimensione più delicata e importante delle nostre comunità: il sapere, la cura, la sicurezza.
È questa l'ambizione che vorremmo interpretare. E la dimensione pubblica – termine che può sembrare astratto – è prima di tutto quella dello Stato, quella nella quale esercitare e dare forma a quelle disposizioni con cui poi si intende ordinare l'intero Paese. Provo a spiegarmi meglio, perché non si può chiedere al Paese se non si è in grado di dare un esempio chiaro su molte questioni. Non si può chiedere giustizia, se non si riesce a riportare nella pubblica amministrazione un senso di giustizia. Non si può invocare il merito se non si riporta il merito nella pubblica amministrazione. Non si può invocare un Paese in grado di ridare opportunità di lavoro e ricambio se non si porta nella pubblica amministrazione opportunità di lavoro e ricambio. Non si può invocare il taglio dei privilegi se non si comincia anche dalla dimensione pubblica di un Paese. E non si può chiedere legalità se non è innanzitutto nello Stato che inizia il contrasto alla corruzione. E vedete, colleghi, ricostruire condizioni di fiducia e di giustizia può sembrare scontato, ma non lo è. A volte anche tra di noi si dice: in fondo basta il buonsenso per arrivare a fare questa cosa. Non è così. Non è così soprattutto in un Paese in cui tutti si sentono vittime di una condizione di disuguaglianza e nessuno si iscrive nell'elenco di chi beneficia della disuguaglianza. Tutti denunciano, sottolineano, si sentono parte di un sistema che è soffocato e nessuno beneficia di questa condizione.
Credo che qui ci sia una assunzione di responsabilità anche nostra, perché se, ad esempio, si racconta solo della irrinunciabilità di alcune posizioni, non si racconta, di converso, che quella irrinunciabilità, quel blocco impedisce ad un giovane di avere un'opportunità. Se si racconta solo del sacrosanto diritto – sottolineo, sacrosanto diritto – dei lavoratori di essere rappresentati e tutelati, non si racconta che questo non può avvenire con dimensioni, costi e modalità del passato. Se si racconta della necessità delle imprese – abbiamo discusso di camere di commercio – di avere servizi non si racconta della non minore necessità di ridurre i costi e i tempi per avere servizi. È questo, secondo me, il salto di qualità al quale siamo chiamati. Senza troppa enfasi, una vera e propria operazione verità della quale questo Paese ha bisogno.
E fatemi parlare un minuto di questo provvedimento, giusto perché, tutto sommato, è una fiducia legata ad un provvedimento che si fonda su quattro direttrici. Sarò brevissimo. Le ha descritte il relatore Fiano durante tutti i lavori che hanno accompagnato il provvedimento: efficienza della pubblica amministrazione e sostegno dell'occupazione; semplificazione; trasparenza e correttezza dei lavori pubblici; snellimento del processo amministrativo e attuazione del processo civile telematico.
Sul primo punto: basta ricordare, andrò per titoli, l'abrogazione del cosiddetto trattenimento in servizio. Questo toglie il blocco all'ingresso di tanti giovani nella pubblica amministrazione. C’è un dato oggettivo, almeno tra di noi riconosciamocelo. E, sempre su questo punto, chi è in prossimità di questi banchi ha dovuto occuparsi anche solo indirettamente dei cosiddetti «quota 96». Fatemi ricordare la soluzione definitiva al problema di «quota 96», quegli insegnanti rimasti prigionieri di un errore della riforma Fornero – ripeto: di un errore della riforma Fornero – che non solo riconosce un sacrosanto diritto alla pensione, ma anche apre immediatamente a migliaia di assunzioni nella scuola. Anche questo riconosciamocelo. Non invitiamo il Parlamento a ribellarsi. Invitiamo il Parlamento a fare fino in fondo il suo mestiere: cosa che abbiamo fatto. Rivendichiamo l'esercizio, fino in fondo, della potestà legislativa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). È avvenuto, e questa ne è la controprova.
Su semplificazione e trasparenza, anche qui sarò velocissimo. Ma desidero sottolineare – nel farlo, al di là dell'intervento della collega Gelmini, voglio ringraziare l'intero Parlamento per la comune sensibilità dimostrata sul tema della trasparenza, soprattutto relativa al riordino degli enti di controllo – il potenziamento delle funzioni dell'Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone. È fondamentale perché ad essa vengono attribuiti poteri non solo più incisivi in materia di contrasto, ma anche più puntuali in materia di prevenzione della corruzione.
Io credo che anche questo sia un elemento virtuoso di questo provvedimento, senza innescare processi di beatificazione. Come attesi e importanti sono i provvedimenti sul processo civile telematico e il contrasto all'abuso del processo. Con tanti colleghi, a microfoni spenti, ci si racconta un po’ di esperienze di amministratori sul territorio: non si può continuare a parlare nel nostro Paese di scarsa competitività in Italia, se una delle prime forme di competizione tra imprese, ma, purtroppo, anche a volte tra cittadini, è l'utilizzo improprio della via giudiziaria. Diciamoci la verità: in Italia per contrastare una buona idea, la via più utilizzata non è produrne una migliore, ma impugnare l'iniziativa del concorrente. Questa è una cosa che non possiamo accettare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). E da questo punto di vista, l'abuso al processo è un elemento da limitare in maniera puntuale.
Non mi dilungo sui tanti ambiti di intervento, lo farà innanzitutto il collega Giorgis durante i lavori di domani. Io non sono uno che fa ringraziamenti di forma e, quindi, il ringraziamento al lavoro del Parlamento, della Commissione, del relatore, del Ministro e del sottosegretario sono di sostanza, perché credo che, con tutti i limiti, si sia fatto un lavoro che ha una valenza importante per il Paese. Le ore, i giorni, le notti di lavoro attestano due elementi. Brevissimamente, il primo: si possono, è possibile produrre atti che riformano lo Stato concretamente, con responsabilità, seguendo un pensiero e realizzando un progetto; lo stiamo facendo sulla pubblica amministrazione, lo stiamo facendo sul lavoro, lo faremo sulla giustizia.
Lo dico pensando a chi – perché questa è una critica che, anche qui, legittimamente ritorna –, giustamente coinvolto dal dibattito dell'attualità, immagina un Parlamento esclusivamente impegnato nella riforma di se stesso. Sappiamo che ci sono le riforme, ma sappiamo anche che ci sono risposte che guardano a economia, lavoro e famiglia. Un esempio su tutti, in questo decreto: da molto tempo si denunciava l'assenza nel nostro dibattito di temi come università, ricerca, giovani, lavoro. Ebbene, in questo decreto si affronta in maniera risolutiva l'abilitazione scientifica nazionale: non è un dettaglio, per tutti quei giovani ricercatori che intendono accedere all'università come ambito del loro lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Anche questa è la dimostrazione che non solo di legge elettorale, di riforme dibatte il Parlamento e interviene il Parlamento. Nel lavoro in cui è intriso questo articolato c’è la tensione e lo sguardo rivolto all'Italia, alle sue comunità, alla sua richiesta di futuro e di speranza. Concludo. Siccome apprezzo sempre i richiami dei colleghi ai suggerimenti per le letture estive – quindi, mi prendo Kafka e lo approfondisco –, ne voglio suggerire una, che riguarda la coscienza di Zeno Cosini, che era convinto che gli altri fossero sani e che l'unico ammalato era lui, ma finiva che i sani rimanevano immobili a conservare il loro stato di buona salute e l'unico a intraprendere azioni di cambiamento era il malato che tentava di guarire. Ecco, forse siamo in una società, in un Paese in difficoltà, ma non ci rassegniamo a cambiarlo.