Data: 
Mercoledì, 15 Gennaio, 2020
Nome: 
Piero Fassino

Grazie, signor Presidente. Signor Ministro, noi abbiamo apprezzato la sua informazione, così come abbiamo apprezzato l'impegno profuso da lei e dal Presidente Conte per interrompere la spirale bellica che in questi mesi ha martoriato sempre di più la Libia. E se oggi il conflitto vede come protagonisti contrapposti il Primo Ministro Sarraj e il generale Haftar, la realtà è che - lei lo ha ricordato - nei dieci anni che sono seguiti alla caduta di Gheddafi la Libia è divenuta terreno di mille conflitti, in un proliferare di milizie armate, in un continuo mescolarsi di alleanze, rotture, colpi di scena che hanno devastato il Paese, causando la fuga di oltre un milione di libici, grandi flussi di profughi e migranti, il blocco delle attività economiche e la drastica riduzione dell'estrazione e dell'esportazione del petrolio, che è l'unica risorsa di quel Paese. Da una crisi così complessa si esce soltanto se si abbandona l'illusione di una soluzione militare. Siamo d'accordo e abbiamo apprezzato che il Governo italiano lo abbia ribadito in ogni sede, ancorché difficile è una soluzione politica negoziata e condivisa tra le parti, che va perseguita. È dunque bene che si sia giunti a una tregua, che va consolidata scongiurando il rischio di una sua violazione. Bene che sia stata convocata a Berlino per domenica prossima la conferenza di pace, a cui è necessario garantire che tutti gli attori libici e internazionali siano presenti. Necessario è l'embargo sugli armamenti, così come la riattivazione della missione Sophia. E nella stessa direzione va considerata fin da ora l'eventualità di una dislocazione sul terreno di una forza internazionale di pace sotto l'egida ONU, come si fece nei Balcani e in Libano, se tale presenza si è manifestata necessaria per favorire l'accordo e salvaguardarlo. Dare soluzione politica alla crisi libica è tanto più necessario perché quella crisi si iscrive, come sappiamo tutti, in uno scenario di instabilità e di conflitti che scuote, dal Golfo Persico allo stretto di Gibilterra, quella grande fascia del Mediterraneo e del Nord Africa: Afghanistan, Yemen, Siria, Somalia e Libia devastate da sanguinose guerre civili; altri Paesi, come il Libano, l'Algeria, il Sudan, in un precario equilibrio tra autocrazie che da decenni tengono il potere e movimenti che chiedono riforme. Ancora, è riesploso il conflitto Iraq-Stati Uniti, lo scontro sciiti-sunniti, che sta destabilizzando sempre di più l'Iraq; la Turchia, che per affermarsi entra pesantemente nello scenario siriano e libico; Arabia Saudita, Qatar ed Egitto che su fronti contrapposti sono parte della crisi libica, che appunto sempre di più viene letta come una guerra per procura. Per non parlare delle relazioni israelo-palestinesi, che sono bloccate ormai da tempo. Così come forse varrebbe la pena di ricordare, di sottolineare, che le 90 vittime dello spaventoso attentato di Mogadiscio così come il reinsediamento dell'ISIS nell'Africa subsahariana indicano che l'incendio si sta propagando a sud. È in questi scenari che è chiamata ad agire l'Unione europea, che non può pensare di stare lontana, perché ciascuna di quelle crisi ci coinvolge e ci entra in casa. Ma per incidere l'Europa deve superare l'illusione di ogni capitale di poter agire da sola. La crisi libica e siriana sono la testimonianza dell'irrilevanza a cui si condanna un'Europa che non sia capace di parlare con una sola voce, offrendo così ad altri attori, a Washington, a Mosca, o magari a Pechino, ad Ankara o a Riad, lo spazio per ritenersi liberi da qualsiasi concertazione multilaterale, come oggi avviene con aumento del disordine mondiale. Allora così come si sta operando per una soluzione politica della crisi libica, io credo che altrettanto si debba fare per accelerare la conclusione dei colloqui di Ginevra e dare una soluzione politica alla crisi siriana, stabilizzare l'Iraq, oggi scosso dallo scontro tra sunniti e sciiti; riprendere il dialogo con l'Iran perché si applichi l'accordo sul nucleare e non lo si metta in discussione; riaprire, in un quadro certamente difficilissimo, canali di comunicazione che consentano di riprendere un dialogo tra israeliani e palestinesi. E una strategia per l'Africa, che passerà nell'arco dei prossimi ottant'anni dall'attuale miliardo e 300 milioni di persone a 4 miliardi di abitanti, ed è chiaro che questa cifra dice che il futuro del pianeta si giocherà in buona parte nei destini di questo continente, ce lo dicono l'attenzione che grandi player come la Cina, ma anche il Brasile, l'India, l'Arabia Saudita e la Russia stanno dedicando all'Africa. Insomma, serve un'Unione europea consapevole, consapevole che Europa, Mediterraneo e Africa sono sempre più un unico macro-continente verticale, investito da problemi comuni, da interessi comuni e che chiedono soluzioni comuni. E l'Italia può e deve svolgere un ruolo all'altezza dei suoi interessi strategici, ritrovando un ruolo - lo vorrei dire al collega Picchi - che è stato pregiudicato negli ultimi anni dall'isolamento internazionale a cui il Governo precedente e la Lega in particolare ha condotto il nostro Paese, perché l'ossessione dell'esibizione di muscoli sui migranti ha condotto l'Italia a un isolamento internazionale che non ci ha consentito di svolgere nel Mediterraneo e in questi quadranti di crisi alcun ruolo; e oggi noi siamo chiamati - per questo apprezziamo l'azione di Governo - a recuperare un ruolo strategico fondamentale che l'Italia deve avere in quest'area. La crisi libica richiama la nostra responsabilità: come è ben evidente ne stiamo discutendo. I nostri militari, a cui va la gratitudine del nostro Paese, svolgono un ruolo prezioso oggi nelle missioni di pace in Afghanistan, in Iraq, in Libano, a Gibuti, in Somalia, in Niger, e a Misurata, in Libia, con le nostre imprese, a partire dall'ENI (siamo il terzo investitore europeo del continente africano), e abbiamo posizioni strategiche nel Grande e Vicino Oriente, a partire dall'Iran. Insomma, c'è un grande spazio per l'Italia e per l'Europa, ed è quindi nostra responsabilità incoraggiare, come il Governo ha fatto in queste settimane per la crisi libica, l'Unione Europea ad un salto di qualità, sollecitando ogni capitale europea a considerare la politica estera e di sicurezza comune non un impaccio, non un ostacolo alla tutela degli interessi nazionali dei singoli Paesi, ma lo strumento più efficace per far pesare l'Europa e ogni sua nazione in un mondo che potrà essere più sicuro e più giusto con un'Europa che sia più assertiva e più unita. Ed è responsabilità dell'Italia, per il ruolo che ha sempre avuto nell'Unione europea e per gli interessi che nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente ha, giocare da protagonista una politica che restituisca all'Unione europea voce e forza in questo scacchiere.