A.C. 2447-A
Grazie, Presidente. Noi avremmo comunque votato la conversione del decreto n. 19 perché già nel suo testo originario aveva tre scelte qualificanti. La prima è di inserire in norma primaria la durata dello stato di emergenza cosicché qualsiasi possibile ulteriore rinnovo dello stato di emergenza deve passare attraverso il vaglio del Parlamento. Peraltro - lo dico tra parentesi - forse qualcuno ha letto male le bozze che circolano del decreto perché in esse qualcuno ha scambiato la proroga di alcuni fondi di emergenza con la proroga dell'emergenza generale. Se volete andare sulle bozze e vedere se c'è o meno la proroga (e non c'è per il momento) dovete vedere se è novellato l'articolo del decreto n. 19, perché altrimenti non è la proroga dell'emergenza di cui si parla. Pertanto anche alcuni allarmi di chi ha letto questo scritto sui giornali sono immotivati perché quel rinvio non c'è: basta capire che andava novellato il decreto n. 19. La seconda è che sono stati messi dei contenuti tassativi ai DPCM e sono stati formalizzati i criteri di adeguatezza e di proporzionalità rispetto alle minacce e la terza perché è stato regolato il rapporto sempre delicato e difficile tra regioni ed enti locali.
Poi ha anche consentito questo DPCM, che quindi ha fatto quest'ordine importante nel sistema delle fonti, superando alcune criticità che c'erano per gli atti dei giorni precedenti, ha anche consentito il DPCM del 25 aprile, che ha allargato di nuovo le maglie. Contro questa impostazione ci sono levate frange minoritarie di costituzionalismo ansiogeno che, a partire da problemi reali, si inventano uscite dallo Stato costituzionale e crisi dello Stato di diritto. Periodicamente ci viene detto che in Italia non c'è la democrazia e magari si applaude a Orban e non si votano i documenti del Parlamento, quando si fa vedere che in altri Stati ci sono questi pericoli. A questo costituzionalismo ansiogeno molti di voi hanno ascritto, suo malgrado, anche la Presidente della Corte costituzionale, la quale ha fatto la consueta relazione annuale sull'attività della Corte costituzionale dedicando le ultime righe all'importanza della solidarietà tra tutti per superare l'emergenza e a utilizzare bene il criterio di leale cooperazione per il futuro, che è la trascrizione istituzionale del dovere di solidarietà.
È un appello rivolto a tutte le istituzioni a procedere così nell'emergenza, non è un atto di accusa al Governo, non si può annettere così indebitamente. Se poi volete la migliore confutazione del costituzionalismo ansiogeno, consiglio tutti di andare su Questione Giustizia: Marco Bignami, assistente di studio della Corte costituzionale, spiega puntualmente perché, pur essendoci delle specifiche criticità, questo costituzionalismo ansiogeno di teorie astratte, comprensive, apocalittiche, non ha nessun fondamento, specialmente dopo il decreto n. 19. Quindi questo è. Ora, detto questo ragionamento sul decreto n. 19 in sé, noi lo votiamo ancora più convintamente dopo le due battaglie parlamentari che abbiamo fatto. La prima è sulla ripresa per tutti - per tutti - della libertà di culto a partire da lunedì 18.
In seguito al nostro emendamento parlamentare e prima che esso venisse votato si è determinata una dinamica veloce da parte del Governo, che ha realizzato immediatamente l'intesa con la Conferenza episcopale, ma il Governo ha tenuto conto della sostanza di quell'emendamento, che riguardava tutti, e ha convocato un tavolo e domani mattina verrà firmato un protocollo con tutte le più importanti confessioni religiose, per ripartire tutti quanti il giorno 18. Il Governo lo ha fatto non solo per tutte le confessioni che hanno già un'intesa, ma anche per varie confessioni religiose che non hanno ancora l'intesa, a partire dalle comunità islamiche, dai baha'i e dai sik. Questa è la libertà religiosa nel suo insieme, non l'uso dell'argomento della libertà di culto contro altre religioni a fini di odio, a fini di divisione sociale. La seconda battaglia è stata quella sulla parlamentarizzazione dei DPCM, che era fatta per avere l'effetto diretto di avere il Governo a riferire puntualmente su qualsiasi scelta che si faccia, con una procedura modellata sulla legge n. 234 del 2012, non sulla legge n. 243, sulla quale mi è stato risposto dal collega Giorgetti, che ne va fiero perché è una bella legge. Lo spieghi al suo collega Borghi, che ha presentato in questi giorni una proposta di legge per abrogarla (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico); quindi si chiariscano tra di loro, ma comunque la legge n. 243 non c'entra, è la legge n. 234, che ben conosciamo.
Certo, non è esattamente ricalcata, è presa per analogia da quella, perché un conto è evidentemente vincolare un Presidente del Consiglio per vertici europei, che sono resi noti prima, e un altro conto è vincolare il Governo per emergenze istantanee, che non possono essere convocate come i Consigli europei, ma a quella si ispira, e aveva l'effetto indiretto di voler spingere il Governo verso i decreti-legge. E quindi noi apprezziamo la dichiarazione di ieri sera del Presidente del Consiglio che, ove possibile, a partire da quello per il giorno 18, si faranno decreti e non DPCM. Quindi, quando questo costituzionalismo ansiogeno, che è stato recepito acriticamente da parte delle forze di opposizione, banalizzava l'emendamento che noi abbiamo approvato, faceva del massimalismo inutile.
Bernstein replicava ai massimalisti: il movimento è tutto e il fine è nulla. I massimalisti sottovalutano il movimento. Anche verso lo Statuto dei lavoratori - di cui ricorre l'anniversario in questi giorni - alcuni dicevano che erano garanzie minime, che avevano l'effetto negativo di togliere la capacità rivoluzionaria ad alcune classi sociali, ma aveva ragione Bernstein anche in quel caso. Il movimento è tutto e il fine è niente, e questo è quello che abbiamo affermato sulla parlamentarizzazione, che sta appunto avvenendo. Contra factum non valet argumentum.