Grazie, Presidente. Prima di entrare nei tre punti del mio intervento, mi premeva segnalare due questioni per inquadrare il contesto.
Molti Paesi vicino a noi stanno parlando di un lockdown nazionale nuovo, in Italia no. Non è merito solo del Governo: c'è uno sforzo corale del Governo, delle regioni, delle amministrazioni locali e il senso di responsabilità dei singoli cittadini, che ci stupisce quasi, per la sua grande capacità di tenere il passo con la gravità della situazione. Però, in Italia, non si parla di secondo lockdown: questo è un dato importantissimo.
Il secondo aspetto: abbiamo saputo che il Governo pensa, per prudenza, a una proroga dello stato di emergenza. Questa proroga, come è previsto dalle nostre leggi, dalle modifiche che abbiamo inserito con gli emendamenti parlamentari, passerà da qui, passerà dal Parlamento, non sfuggirà al controllo del Parlamento. In questo Parlamento, in questi mesi, il Presidente del Consiglio e, ancor più, il Ministro Speranza sono degli abbonati quasi settimanali, quindi non lavorano a Palazzo Chigi o nelle sedi del Governo in maniera distaccata dal controllo parlamentare. Poi, certo, spetta al Parlamento stare dietro, inseguire, presentare emendamenti, valutare, evitare qualsiasi tentazione di gestione isolazionistica, però il nostro sforzo di parlamentarizzazione fin qui ha funzionato.
Veniamo a tre punti. A me sembra che, in primo luogo, la mozione ecceda in un eccesso di enfasi sui verbali pubblicati. Cosa c'è in questi verbali che sono stati pubblicati? Non c'è nulla di più di quanto, già all'epoca, si poteva ricavare da una lettura dei giornali: le incertezze sulla “zona rossa” nella bergamasca, la decisione di imporre un lockdown generale, più che per un'immediata necessità terapeutica, per impedire che l'epidemia arrivasse al sud, dove il sistema sanitario era ritenuto più fragile. Si è visto che, all'annuncio della “zona rossa” nella sola Lombardia, c'era stato l'assalto ai treni e si temeva, quindi, che “zone rosse” limitate non funzionassero. C'è stata, quindi, una giusta trasparenza, ma questa giusta trasparenza non ha portato alla scoperta di grandi segreti, non c'erano, almeno in questo caso, grandi arcana imperii da scoprire.
Secondo punto. Sul citato studio della Fondazione Kessler, che era un modello matematico come ce ne sono tanti altri, e sulla proposta di rendere noti tutti i verbali subito non si può inseguire il mito semplicistico di una trasparenza immediata, assoluta che dovrebbe, di per sé, rassicurare i cittadini. È bene ricordare che anche questo, come altri miti, può risolversi nel suo contrario, in un mito negativo, perché può, al contrario, disorientare e creare problemi immediati. È il Governo che prende le decisioni, il Governo, che è responsabile verso il Parlamento, finché ha la fiducia, e che non può non avere un margine di discrezionalità nei tempi di divulgazione . Non c'è necessità di conoscere subito tutti i passaggi interni e, del resto, con una prudenza di quarantacinque giorni di intervallo, il Governo lo sta facendo, mi pare come nessuno degli altri Paesi. La trasparenza immediata e totale, in presa diretta, è nemica della responsabilità. L'uso ragionevole dei tempi nella divulgazione delle informazioni, in questo come in altri casi - normalmente, per tutti i documenti dei Governi si segue un periodo di décalage tra il momento delle decisioni e il momento in cui vengono rese note le basi delle decisioni -, consente di conciliare trasparenza e responsabilità. Il Governo ha, del resto, comunque, garantito nel percorso tutta la trasparenza possibile, come è dimostrato, in ultimo, dalle comunicazioni del Ministro Speranza il 2 settembre scorso.
Terzo e ultimo punto. Pro futuro si potranno cercare i modi per assicurare un maggior controllo da parte del Parlamento che possano essere tanti. Si può sempre fare meglio, ma sempre con caratteristiche di trasparenza tali da non limitare in modo sproporzionato la necessaria discrezionalità del Governo, che consente sul momento scelte responsabili ed efficaci. È vero, come ricordava Norberto Bobbio, che il segreto della democrazia è non avere segreti, ma, come in ogni cosa, ci sono tempi e modi per non avere segreti. Non a caso, Giovanni Sartori, nell'ultima edizione della sua “Teoria della democrazia”, invita a non eccedere nell'ossessione della politica immediatamente visibile. Dobbiamo conciliare Bobbio e Sartori: questo è il nostro compito. C'è, infatti, un tempo per decidere e un tempo per divulgare tutte le basi sulla base delle quali si è arrivati alle decisioni. Un tempo per decidere e un tempo per divulgare, come direbbe il libro di Qohelet.