Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
il 4 novembre 2020 il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed ha annunciato l'inizio di operazioni militari nello Stato settentrionale del Tigrè, dov'è stato proclamato lo stato d'emergenza per sei mesi. Il Tigrè ospita il 6 per cento della popolazione etiope ed è uno dei 10 Stati federati, delimitati per base etnica, dell'Etiopia;
l'offensiva è stata presentata come una risposta a un presunto attacco di poche ore prima, sferrato dalle forze armate legate al partito al potere nel Tigrai, il Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf) – che secondo l'International crisis group può contare su almeno 250 mila combattenti, tra paramilitari e milizie alleate –, contro la base del comando settentrionale dell'esercito federale a Mekelle, la capitale di questo Stato. Per molti analisti, invece, lo scontro nascerebbe dal mancato riconoscimento da parte del Governo centrale delle elezioni locali del settembre 2020, svoltesi nonostante il voto nazionale fosse stato rinviato a data da destinarsi a causa della pandemia da Covid-19. Da lì i rapporti tra il Governo centrale e quello locale non hanno fatto che degenerare fino all'attuale escalation militare;
il 7 novembre 2020 il premier Abiy Ahmed ha ottenuto dal Parlamento i poteri necessari a sostituire i leader del Tigrai, che per lui detengono il potere illegalmente;
le Nazioni Unite hanno lanciato un avvertimento riguardo alla fragile situazione umanitaria in Tigrai, dove vivono 600 mila persone che hanno bisogno di aiuti umanitari e un altro milione che dipende da altre fonti di sostegno;
l'Unione europea ha espresso preoccupazione per i rischi per l'integrità del Paese e per la stabilità della regione più ampia, che resta una priorità, e ha offerto il proprio sostegno a qualsiasi iniziativa dell'Unione africana per affrontare la situazione. Anche l'Onu ha chiesto al premier Abiy di tornare al più presto al dialogo;
si constata l'amaro paradosso che solo un anno fa aveva visto il premier Abiy Ahmed ricevere il premio Nobel per la pace per aver messo fine a un conflitto ventennale con la vicina Eritrea e oggi portare il proprio Paese sull'orlo di una guerra civile per antichi odi tribali;
l'Italia ha storiche relazioni politiche e commerciali con l'Etiopia che vedono tanti gruppi imprenditoriali italiani operanti attualmente nel Paese africano –:
quali iniziative il Governo stia ponendo in essere nei rapporti bilaterali con l'Etiopia per agevolare il dialogo e ripristinare al più presto lo Stato di diritto nel Paese e quali iniziative intenda intraprendere per tutelare le aziende italiane operanti in Etiopia.
Seduta dell'11 novembre 2020
Illustra e replica Lia Quartapelle Procopio, risponde il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Luigi Di Maio
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO: Grazie, Presidente. Ministro, come lei sa, l'Etiopia è sull'orlo della guerra civile. Il 4 novembre il Primo Ministro Abiy ha iniziato le operazioni militari nello Stato settentrionale del Tigrai, al confine con l'Eritrea. La decisione è stata maturata da un presunto attacco del TPLF a una base governativa Macallè, ma è una decisione che è avvenuta dopo un periodo di tensioni molto forti tra Addis Abeba e la regione del Tigrai e la minoranza che la abita. La domanda è molto semplice. Che cosa sta facendo l'Italia per scongiurare il fatto che questo Paese, questo grande Paese africano, sprofondi nella guerra civile?
LUIGI DI MAIO, Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Signor Presidente, vorrei ringraziare la deputata Quartapelle per avere posto questo tema, che ritengo di cruciale importanza. Stiamo seguendo con particolare attenzione e preoccupazione all'evoluzione della situazione interna in Etiopia, da quando il 4 novembre scorso le forze del Governo sono state attaccate dalle truppe del Fronte popolare di liberazione del Tigrai.
Voglio sottolineare subito, anche per rassicurare le famiglie dei connazionali presenti nel Paese, che, sin dall'inizio delle ostilità in Tigrai, attraverso la nostra ambasciata ad Addis Abeba e l'unità di crisi, stiamo monitorando la situazione degli italiani presenti nella regione, nonostante le difficoltà derivanti dalla sospensione delle linee di comunicazione dopo l'avvio dell'escalation militare. Siamo in contatto con i membri delle ONG e con i dipendenti delle realtà produttive italiane, in particolare Calzedonia, che si trovano in territorio tigrino e stiamo valutando, in raccordo con le organizzazioni internazionali, tutte le possibili opzioni a tutela dei nostri connazionali. Sul piano bilaterale, nel corso dell'ultima settimana, si sono susseguiti interlocuzioni con la controparte etiopica. Nel confermare il nostro pieno sostegno e l'amicizia al popolo etiopico, come ha sottolineato anche la Viceministra Marina Sereni, non abbiamo tuttavia celato la nostra preoccupazione per gli sviluppi sul terreno. Il nostro interesse prioritario, infatti, è evitare un ulteriore deterioramento della situazione interna e garantire la stabilità del Paese, incoraggiando il dialogo tra le parti. Siamo impegnati a sostenere gli sforzi a favore della stabilità e sicurezza dell'Etiopia e della regione del Corno d'Africa anche sul piano multilaterale, attraverso una costante consultazione con i nostri partner.
In particolare, nel quadro dell'Unione europea, L'Alto rappresentante Borrell è di recente intervenuto sulla situazione etiopica, offrendo la disponibilità dell'UE a favorire la riapertura del dialogo ed esprimendo sostegno a possibili iniziative dell'Unione africana e dell'organizzazione dei Paesi del Corno d'Africa. Ho affrontato il dossier Etiopia anche nella mia recente missione ad Abu Dhabi di due giorni fa, alla luce della crescente influenza dei Paesi del Golfo nell'area. L'Etiopia è il più importante partner dell'Italia nell'Africa subsahariana e il perno della sicurezza del Corno d'Africa. Addis Abeba, a sua volta, considera Roma il principale interlocutore politico nell'ambito dell'Unione europea; l'Italia, tradizionalmente, tiene alta l'attenzione dell'Europa e di tutta la comunità internazionale sulle vicende del Corno d'Africa. A conferma di questo ruolo, siamo copresidenti nella piattaforma dei partner della principale organizzazione regionale, l'organizzazione dei Paesi del Corno d'Africa. L'Etiopia è centrale per gli equilibri dell'Africa orientale e la stabilità non può essere imposta con la forza, va quindi scongiurata la prospettiva di un conflitto interno. In conclusione, continueremo a seguire ogni evoluzione della situazione in Etiopia, a favorire la stabilizzazione del Paese e la soluzione della crisi in corso che non può che passare attraverso un dialogo approfondito e inclusivo tra le parti. Seguiteremo ad adottare ogni azione utile, in stretto raccordo con la nostra ambasciata, per tutelare i connazionali presenti nel Paese e gli interessi delle aziende italiane che vi operano.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO: È un bene, Ministro, che l'Italia valorizzi e lavori per la stabilità nell'area e, in particolare, per la stabilità in Etiopia. Lei sa bene che la pace e la stabilità, però, non si possono imporre con la forza, cosa che, purtroppo, sta accadendo in questo momento in Etiopia. Il rischio è grande, lo diceva anche lei; c'è il rischio che l'Etiopia, da Paese più stabile della regione e da Paese più promettente d'Africa, si trasformi e venga risucchiato nelle dinamiche di instabilità che sono tipiche del Corno d'Africa. Non è da specialisti occuparsene, abbiamo scelto questo argomento per il question time non solo per le relazioni profonde che ci sono tra Italia e Etiopia, che anche lei ha ricordato e che danno all'Italia una grande possibilità di influire in quello che sta accadendo in quel Paese, ma anche per la posizione strategica dell'Etiopia che è appunto un Paese cruciale nel Corno d'Africa, ma che fa parte di dinamiche più ampie del Golfo e del Mediterraneo allargato. Lei sa bene che l'instabilità protratta di un Paese come l'Etiopia potrebbe avere delle conseguenze devastanti sul tema del contrasto al terrorismo, sul tema della capacità di governare i flussi migratori di quella regione che, spesso, arrivano in Italia e, più in generale, sulla regione tutta. Infine, è importante che l'Italia intervenga a livello bilaterale e non lasci solo il campo a un'iniziativa europea, perché non dimentichiamo che ogni volta che l'Italia non ha agito e non ha fatto valere il proprio peso, soprattutto nel Corno d'Africa, ha lasciato spazio ad altri attori, a partire dalla Turchia. Io credo che i rischi connessi con l'instabilità dell'Etiopia e con la possibilità di far entrare altri attori siano troppo alti perché l'Italia non si occupi quotidianamente di questa crisi molto grave e molto pericolosa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Italia Viva).