Grazie, Presidente, sottosegretari, colleghi. Quando il COVID, da una brutta notizia lontana proveniente dalla Cina, è divenuto una crisi pandemica globale, molti osservatori, quasi sempre economisti, come capita in queste occasioni, si sono affrettati a parlare di crisi, di “shock simmetrico”, cioè del fatto - a differenza delle crisi del 2008, o di altre crisi economiche che avevamo avuto in passato e che avevano avuto effetti diversi a seconda della solidità dei Paesi - questa crisi, per la sua comune origine sanitaria, colpiva tutti alla stessa maniera, tutti i Paesi, quasi fosse una scoria di quella globalizzazione delle opportunità, che aveva dominato per un ventennio la narrazione incontrastata del nostro tempo. Una crisi simmetrica, che ci rende tutti uguali. Ma - a ben guardare -, sotto la coltre spessa delle semplificazioni, in questo caso assai semplicistiche, esattamente come per le altre crisi, anche questa crisi, che da sanitaria si è fatta rapidamente economica, sociale e, per certi versi, esistenziale, non ha colpito affatto in modo simmetrico all'interno delle società che stanno affrontando con ogni mezzo la sua virulenza. Vi sono - come ogni volta - dei target privilegiati di sofferenza, di deprivazione, di sacrificio e non è difficile argomentare come - fra i soggetti più esposti alle conseguenze indirette di questa tragedia globale, che è la pandemia da Coronavirus - vi siano le bambine e i bambini, la cui quotidianità è stata travolta senza chiedere permesso, senza tante spiegazioni, da un giorno all'altro, sia dal virus, sia dalle misure che - pur giuste, razionali e inevitabili - nella maggior parte dei casi si sono abbattute sconvolgendo abitudini, socialità, diritti dell'infanzia. Non si tratta solo della drammatica rinuncia per vari mesi alla pienezza del diritto all'istruzione - nelle sue modalità ordinarie, in cui la didattica si fa un tutt'uno con la relazione fra pari, con una socialità specialissima e irripetibile che si realizza nell'età scolare e che, ahinoi, permane dimezzata per tante ragazze e ragazzi delle scuole superiori - ma il virus e le regole necessitate per attenuarne gli effetti, a tutela della sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, hanno travolto anche i diritti naturali delle bambine e dei bambini: il diritto a vivere momenti di tempo non programmato dagli adulti, il diritto al gioco con gli amici, il diritto all'affetto dei nonni, il diritto a vivere in una varia e stimolante comunità educante. Le diseguaglianze - che già lambiscono e troppo spesso attraversano l'infanzia di tante bambine e bambini - hanno avuto una recrudescenza in questa crisi. Con la pandemia in pochi mesi l'emergenza sanitaria, dicevo, si è trasformata in emergenza sociale: si è avuto un aumento significativo della povertà, che ha accentuato le diseguaglianze già drammaticamente evidenti fra le diverse regioni del nostro Paese e nelle periferie delle grandi città. Nel 2019, la povertà assoluta in Italia, che interessava oltre un milione di minori ed era più frequente nelle famiglie numerose del Mezzogiorno, è notevolmente aumentata e, secondo una recente indagine di Save the Children, è raddoppiata alla fine del 2020. E la povertà non è solo un problema in sé, ma è il moltiplicatore di molte altre mancanze, privazioni, povertà: i bambini poveri sono quelli che si ammalano più frequentemente e che sviluppano più spesso malattie croniche e disturbi dello sviluppo comportamentale, con conseguenze che possono protrarsi fino all'età adulta. Diseguaglianze nuove, giustapposte in un crescendo a diseguaglianze antiche, rese drammatiche da un ascensore sociale che nel nostro Paese è fermo e in ulteriore decrescita. L'OCSE, già nel 2018, ci ammoniva su una mobilità sociale immobile: in Italia sono - diceva - necessarie cinque generazioni perché un bambino nato in una famiglia a basso reddito raggiunga il reddito medio nazionale, cinque generazioni.
E la scuola purtroppo non opera più come potente attivatore di mobilità sociale: se infatti l'istruzione - come mostrano tutti i dati dei Paesi avanzati - è il veicolo principale grazie al quale si può ambire ad una condizione economica e sociale migliore, anche se un'ampia letteratura internazionale mostra che l'accesso ai servizi educativi e di istruzione di qualità, fin dai primi anni della vita, e di sostegno ai genitori comporta ricadute positive sul benessere e le competenze dei bambini, con effetti di lungo periodo su tutto il percorso di crescita personale, sul benessere delle loro famiglie, favorendo sia scelte di fecondità per chi lavora sia la partecipazione lavorativa per chi ha figli, con ricadute positive di contenimento della povertà infantile e, più in generale, sulla coesione e lo sviluppo economico delle opportunità.
Anche se tutto ciò risulta evidente e manifesto da anni, risulta altresì evidente la correlazione fra la nostra immobilità sociale e una spesa per l'istruzione, che vede l'Italia fra i Paesi europei buon'ultima, con un livello di spesa in rapporto al PIL del 3,6, laddove la media europea è del 4,7 e quella OCSE del 4,8.
Una scuola chiusa da mesi acuisce questa diseguaglianza di opportunità, questa diseguaglianza di relazioni e socialità, questa diseguaglianza di vita. Se penso a questi mesi difficili che abbiamo alle spalle, ma che non sono ancora conclusi, non posso non pensare alla sofferenza che è derivata dal confinamento, soprattutto per i bambini con disabilità, circa il 3 per cento della popolazione scolastica, i quali hanno subito con le loro famiglie, più degli altri, le difficoltà di questo terribile periodo, perché la gran parte ha sospeso anche gli interventi di sostegno e di riabilitazione.
In questo quadro realistico e preoccupante vi è, Presidente, la necessità di scelte che sappiano invertire questa prospettiva, che non si arrendono all'evidenza di tante e tali diseguaglianze. Il Governo è chiamato a dotarsi e a dotare il Paese di una visione strategica, composta di politiche che siano in grado di garantire miglioramenti concreti del benessere delle bambine e dei bambini, che non rappresentino, come veniva detto, un'eccezione momentanea, ma siano duraturi e generalizzati. Significa non solo mettere risorse. Significa progettare politiche che fissino l'infanzia, l'adolescenza, le aspettative e i diritti di bambine e bambini nelle priorità dell'agenda politica del nostro Paese, attraverso un piano straordinario, che riconosca la straordinarietà del momento e la straordinarietà dell'impegno che questo richiede.
Per farlo è necessario innanzitutto un cambio di paradigma culturale, con cui si guarda all'infanzia: i bambini e le bambine, come soggetti di politica a loro dirette, che accolgono aspettative, bisogni e diritti a loro rivolti, come soggetti di quei diritti, e non solo come soggetti passivi incidentali, di politiche e diritti altrui (le politiche di conciliazione dei tempi di vita e lavoro dei genitori, le politiche familiari, le politiche scolastiche, le politiche sportive). Considerare i bambini soggetti attivi nelle politiche a loro rivolte significa avere la capacità di ascoltarli, di renderli protagonisti delle scelte. Non sembri questo paradossale: è e può essere - ho avuto la fortuna di sperimentarlo negli anni in cui ho avuto il privilegio di fare l'assessore al welfare nella mia città, Bologna - una pratica comunitaria, in grado di mettere al centro i bambini e le bambine nella pianificazione di tutte le decisioni pubbliche, assumendo la trasversalità di punti di vista come condizione necessaria, che poi si fa un'unità di progetto per l'infanzia. Perché, se è vero come è vero, che una città a misura di bambino è una città in cui si vive meglio tutti, è altresì vero che un Paese a misura di bambino è un Paese migliore per tutti.
Allora, se questo è vero e se sono necessarie scelte nell'oggi, con lo sguardo fisso sul futuro, bisogna compiere scelte chiare, visibili, misurabili, scelte impegnative. Tra i progetti finanziabili con il fondo Next Generation EU deve essere presente un forte investimento sui diritti dell'infanzia, al fine di rafforzare le competenze e le conoscenze delle giovani generazioni e ridurre le diseguaglianze e contrastare la povertà educativa, favorendo anche la conciliazione dei tempi di vita di lavoro di tutto il contesto familiare, un progetto che poi trovi una governance. Una governance competente a garantirne l'effettività, come potrebbe essere, in modo anche straordinariamente simbolico, una unità di missione per l'infanzia e l'adolescenza presso la Presidenza del Consiglio. Una governance non solitaria, che sappia al contrario includere la voce e le ragioni dei molti soggetti, dagli enti locali alle associazioni, ai soggetti del no-profit, che ritengono fondamentale trovare risposta alle criticità inerenti i diritti dell'infanzia, degli adolescenti e delle loro famiglie, sia coadiuvando la politica nelle scelte, perché operi le riforme e le iniziative necessarie, sia sostenendo le comunità locali, perché costruiscano ambienti più favorevoli ai bambini, ai ragazzi e ai loro genitori. Una proposta capace di sviluppare politiche pubbliche adeguate a promuovere, come è avvenuto in molti Paesi occidentali, l'educazione allo sviluppo umano a partire dalla primissima infanzia, in coerenza sia con il benessere relazionale ed economico delle famiglie, sia con la prospettiva di una crescita solida e di qualità del Paese.
Perché ogni bambino - e chiudo, Presidente - ha il diritto di crescere in modo ottimale, di essere curato nel migliore dei modi quando si ammala, di essere adeguatamente educato al fine di sviluppare tutte le potenziali risorse intellettuali e conoscitive. La pandemia, che ha messo in moto luce molte criticità già presenti da decenni, ci mette di fronte alla possibilità e alla necessità, ci mette di fronte all'occasione, con i fondi previsti dal Next Generation EU, per correggere alcune gravi carenze nell'organizzazione sanitaria, educativa e sociale rivolta all'infanzia.
Sapendo - e chiudo davvero - che l'investimento nell'infanzia è il più efficace e duraturo, è il miglior contributo alla ripresa economica e allo sviluppo di una società, che investire sull'infanzia e sull'adolescenza vuol dire prendersi cura del futuro a partire dal presente. Questa mozione, frutto di un lavoro collettivo, è un primo - non certo l'ultimo - atto, segno di una forte determinazione politica ad andare in questa direzione.