Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sebbene di giorno in giorno la fine di quest'incubo sembra avvicinarsi sempre di più, il COVID-19 non è ancora stato battuto. Sono ad oggi quasi 110 mila i connazionali deceduti e molti di più quelli che, dentro e fuori quest'Aula, hanno toccato con mano la sofferenza di una persona cara. Nel tempo delle connessioni ultraveloci e dell'intelligenza artificiale, il mondo intero ha dovuto arrestare la sua corsa per difendersi da un virus. L'Europa e l'Italia hanno vissuto momenti durissimi. Il nostro Paese, in particolare, ha affrontato per primo il dramma del contagio, della saturazione dei posti negli ospedali, dell'insufficienza del personale sanitario e delle strumentazioni mediche, del ritrovarsi inermi a combattere un nemico sconosciuto e letale. E proprio nel momento più drammatico per il nostro Paese, sul finire dello scorso marzo, molti di noi, europeisti dalla nascita, hanno pensato, almeno una volta, che il progetto europeo sarebbe finito lì. L'Europa invece, proprio nel momento più buio, ha saputo rialzare la testa, ha saputo, anche grazie all'immenso lavoro portato avanti dal nostro Governo, riprendere in mano le redini del proprio destino e reagire con forza alle avversità del tempo.
Il Piano di ripresa e resilienza nasce lì, in quel momento di paura e disperazione, di sguardi bassi e cupa incertezza. Gli inglesi usano riferirsi ad eventi come questo con l'espressione sliding doors, le porte scorrevoli, che cambiano di colpo e certe volte, per caso o per fortuna, il prosieguo di una storia. Non è stato però né il caso e nemmeno la fortuna a ridare vita al progetto europeo, ma il cuore dell'Unione, le sue istituzioni forti e i popoli che lo formano. Quando l'emergenza sanitaria sarà alle spalle, sperando che ciò accada quanto prima, ci imbatteremo però in un'altra crisi, non meno allarmante, quella economica e sociale. Davanti a questa crisi, davanti al pericolo di vedere milioni di persone ripiombare nel dramma della miseria, il Piano di ripresa e residenza ci offre un'opportunità, una via di uscita per un futuro migliore.
Oggi completiamo, quindi, un'altra importante tappa in vista della compiuta definizione del nostro Piano nazionale. Nelle ultime settimane, tutte le Commissioni permanenti hanno avuto la possibilità di audire soggetti pubblici e privati, associazioni, organizzazioni, enti, centri studio e di ricerca. Abbiamo ascoltato con interesse le loro osservazioni e raccolto spunti e idee utili a rivedere il Piano e a rimettere in moto l'Italia. E proprio negli ultimi giorni, anche grazie al grande lavoro di tutti i presidenti di Commissione e, in particolar modo, del presidente Melilli, che è anche il relatore di questo provvedimento, che ne ha coordinato le attività, questa Camera ha riconquistato un ruolo e una centralità, riconsegnando al Governo un esame dettagliato di integrazioni e criticità . Come detto, se saremo capaci di accelerare ancora la campagna vaccinale, saremo fuori dal pericolo sanitario, ma non da quello economico e sociale. Le conseguenze di questa esperienza devastante hanno già aggravato i seri problemi strutturali che, da tempo, inibivano la crescita dell'economia, provocando un crescente allargamento dei divari tra le persone e tra i territori. Ripartire dagli ultimi, ripartire da chi è rimasto indietro, ripartire ricucendo gli squilibri di genere, generazionali e territoriali; la parità di diritti e opportunità per le donne, il futuro dei giovani, la coesione dei territori lasciati per decenni ai margini della vita sociale ed economica del Paese. Sono questi gli obiettivi di fondo, il filo conduttore della strategia di rilancio che vogliamo adottare, priorità trasversali che ritroviamo in ciascuna delle missioni in cui si articola il PNRR e a cui siamo certi che il Governo, accogliendo quanto esplicitamente chiesto da questo Parlamento, saprà dare forma e contorni maggiormente definiti nella versione finale del Piano.
Ripartire dal Mezzogiorno, mi permetto di sottolineare, come hanno già fatto tutte le Commissioni nei loro pareri e questa maggioranza, mettendolo nero su bianco nel testo della relazione. Puntare sul sud e sul suo sviluppo, sulle potenzialità finora inespresse, aumentando le risorse per gli investimenti pubblici ben oltre il 34 per cento per vedere crescere il Mezzogiorno d'Italia e, con esso, tutto il Paese. Perché solo se sapremo coniugare crescita e riduzione dei divari potremo massimizzare i buoni frutti del Recovery e beneficiarne tutti.
Ripartire dalle aree interne svantaggiate, le aree montane, cercando di colmare il divario di diritti e servizi pubblici che oggi le vede terribilmente indietro. Investire di più nelle infrastrutture e nei trasporti, rafforzare la fiscalità di vantaggio esistente per sostenere l'occupazione e incoraggiare l'innovatività e l'internazionalizzazione delle imprese, ma anche prendere atto di un ritardo dello Stato nell'offrire servizi pubblici all'altezza di un Paese e della nostra importanza e storia, a cominciare dagli asili nido e dalle scuole dell'infanzia, che non sono soltanto un essenziale occasione di crescita e socialità per i più piccoli, ma un fattore abilitante per il lavoro e l'autonomia familiare.
Per questo e per tanti altri diritti di cittadinanza ancora negati in molte parti d'Italia sarà fondamentale arrivare alla compiuta definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, senza cui, lo ripeto nuovamente, non possiamo vantare una cultura di civiltà. Al contempo, sarà importante rafforzare gli interventi che il Piano già prevede, sia per investire nelle infrastrutture sociali sia per ridare alle generazioni future, attraverso percorsi e modelli nuovi di istruzione e formazione, le capacità e gli strumenti per affrontare e vincere le sfide del futuro, tecnologiche e ambientali: ITS, università, lauree STEM, ricerca e la sua integrazione con il mondo delle imprese per creare, finalmente, le competenze che servono all'economia del Paese.
In ultimo, anche se trattasi dei due principali pilastri del Next Generation EU, la grande trasformazione ecologica e digitale che ci attende. Il mondo di domani deve essere equo, sostenibile e digitale e, quindi, l'Italia di domani deve essere equa, sostenibile e digitale, a partire dalla scuola e dalle modalità didattiche rese disponibili dalla tecnologia, dalle grandi occasioni che il digitale apre alle imprese piccole e grandi, alla vera e propria rivoluzione culturale che è necessario imprimere nell'organizzazione e nell'azione della pubblica amministrazione. Dobbiamo, quindi, riacquistare credibilità e fiducia dei cittadini e delle imprese, oltre che imprimere una svolta di efficacia ed efficienza. E, poi, i grandi investimenti nella transizione ecologica, efficienza energetica, tutela e valorizzazione del territorio, economia circolare, idrogeno e fonti rinnovabili: sono le parole d'ordine di un mondo nuovo, di cui, con questo Piano, è necessario porre le fondamenta.
Per concludere, signor Presidente, quella del Piano nazionale è una sfida molto impegnativa per l'Italia. Il nostro Paese, nei prossimi mesi, dovrà dimostrare di essere in grado di superare i suoi nodi strutturali e dare ottima prova di sé in termini di capacità di progettazione e di esecuzione degli interventi, usando correttamente fino all'ultimo centesimo le risorse spettanti. Per far sì che tutto ciò accada, non si può prescindere dal soddisfare tre condizioni: in primo luogo, consegnare alla Commissione europea, alla fine di aprile, il migliore dei Piani possibili; in secondo luogo, dare risposte agli interrogativi ancora aperti sulla governance. Gestire 200 miliardi e farlo con efficacia e trasparenza è un compito arduo. Siamo certi che il Governo accoglierà il nostro invito a mantenere, comunque, il saldo il rapporto con questo Parlamento, a conferirgli una funzione di controllo e monitoraggio costante, anche nella fase discendente del Piano, garantendo il necessario ruolo alle autonomie locali e territoriali previsto dalla Carta costituzionale, ma con le relative responsabilità in termini di obblighi di risultato, perché bisogna tenere bene a mente che all'Europa poco importa del se e del come, se è nella cornice già definita. Per l'Unione europea è imprescindibile che gli interventi siano realizzati nei tempi previsti e che ci sia un'autorità dotata del potere, in caso di insorgenza di problemi o questioni giurisdizionali, di avocare a sé la responsabilità dell'opera e portarla a compimento. Fare, quindi, è l'imperativo ed è per questo che sarà decisivo l'apporto della nostra pubblica amministrazione largamente intesa, delle strutture centrali e di quelle periferiche. Il settore pubblico deve dimostrarsi all'altezza dell'enorme missione che ha dinanzi a sé. Ecco perché occorre mettere la PA nelle condizioni di poter operare attraverso l'assunzione di nuovo personale specializzato e di una vasta opera di semplificazione e riduzione della burocrazia.
L'Italia è un grande Paese, ma, troppo spesso, tende a dimenticarsene e, dimenticandosene, alimenta pregiudizi e luoghi comuni. Nell'annunciare il voto favorevole del PD alla risoluzione di maggioranza, mi permetterete di aggiungere che questa sfida non è solo l'opportunità per riordinare la nostra economia e dare una prospettiva di crescita all'Italia, ma anche e, soprattutto, l'occasione storica di dimostrare quanto siamo grandi, quanto questo Paese sia capace di essere da esempio per l'Europa intera di guidare, invece che rincorrere, il processo di sviluppo e progresso dell'Unione, quello a cui noi teniamo con tutte le nostre forze, da amanti del nostro Paese e sostenitori dell'unione dei popoli europei.