Grazie, Presidente. In questa discussione credo che un dato sia assodato: il DEF è un documento doverosamente sfidante. Il recupero dei 13,7 punti di PIL nel quadriennio, che vanno a compensare la forte caduta dell'anno scorso, possono essere, da un lato, visti come ambiziosi e, dall'altro, come cautelativi, ma sono, a nostro avviso, credibili e necessari per far uscire il Paese dalla crisi e per rendere - questa è stata una discussione che la Commissione ha fatto - sostenibile il debito che stiamo accumulando per sostenere le famiglie e gli italiani e il sistema delle imprese. Dobbiamo, quindi, per questo scommettere sulla crescita, che vuol dire scommettere sull'uso razionale delle risorse che abbiamo di fronte.
Certo, non tutte le variabili sono in mano nostra - la situazione dell'epidemia, la situazione epidemiologica, la situazione del piano vaccinale -, certo, dobbiamo riaprire, ma farlo in maniera seria e controllata per evitare ricadute con danni alla salute e all'economia, ma, al netto di questo, il sistema è sulla strada giusta. Perché il Paese non è crollato in questa congiuntura è una domanda che ci dovremmo fare. Fra le molte risposte io ne trovo una e la trovo nelle prime pagine del DEF, nella figura n. 1, laddove vediamo una completa sovrapposizione fra l'andamento del PIL in questi trimestri e l'andamento della produzione industriale. Questo significa che, ancora una volta, una volta di più, la manifattura, l'industria italiana, le piccole e medie aziende, le medie aziende, le grandi aziende, il sistema dell'artigianato sono stati il banco di tenuta del nostro Paese. La Bank of America dice che l'Italia è un Paese su cui si può scommettere e credo che lo dica non solo per il Governo guidato da Mario Draghi, ma per la solidità che il tessuto economico sta mostrando.
Non mi voglio nascondere dietro un dito, non ci vogliamo nascondere sul fatto che una nuova grande frattura sociale sta attraversando il nostro Paese: più poveri in questa crisi, nuove povertà, nuovi disoccupati, un welfare che sarà posto sotto tensione per fare fronte a queste necessità. Però, a fronte di queste ombre, vi sono anche luci: un Paese dal forte risparmio, un risparmio che potrebbe essere convogliato nell'economia, un Paese in cui è tornata la fiducia delle aziende sul futuro. Quindi, scommettere sulla crescita si deve e si può e serve, per questo, puntare sulla manifattura e sulle imprese, serve una visione industriale strategica per il futuro. In questo faccio due osservazioni e mi avvio a concludere.
Per quanto riguarda la congiuntura più prossima, cioè lo scostamento di bilancio e il nuovo “decreto Imprese” o “Sostegni-bis”, noi siamo assolutamente d'accordo che un tema centrale debba essere la liquidità, l'estensione dei tempi di restituzione, misure di accesso facilitate e anche, eventualmente, una rivisitazione del temporary framework.
I ristori si muovono verso i costi fissi, il reintegro dei costi fissi, le scadenze fiscali- lo abbiamo sentito - prolungate, ma credo anche che la sospensione di un anno del codice fallimentare delle imprese possa evitare i fallimenti ancora fuori controllo. La riforma dell'amministrazione straordinaria come elemento di politica industriale, che è in trattazione la Camera, può essere un altro argomento importante. La semplificazione del “110 per cento”, nel processo di conversione di questo decreto, dovrà essere un tema affrontato per rilanciare anche questa attività. Una riflessione sui bonus rottamazione e auto, che hanno dato un grande risultato nell'applicazione di questi mesi in termini di svecchiamento del parco auto (300 mila rottamazioni), di miglioramento dell'ambiente e di aiuto alle fasce sociali più deboli.
Da questo punto di vista, noi ci aspettiamo questo dal nuovo “decreto Imprese”, ma ci aspettiamo anche - e qui vorrei accendere un focus particolare - interventi strutturali previsti dal PNRR, di cui non abbiamo ancora visto l'ultima versione, che vadano ad affrontare le incrostazioni storiche del nostro Paese: la competitività, che non è solo un problema di costo del lavoro, ma è un problema di costo Paese e le tante altre incrostazioni e le tante altre difficoltà strutturali che abbiamo accumulato negli anni.
Io voglio mettere a fuoco solo una delle questioni che sulla nuova politica industriale vorrei che il Governo affrontasse: quella delle filiere. Le filiere industriali italiane sono state quelle che hanno consentito al Paese di resistere in questa crisi, hanno anche supplito al nanismo del nostro tessuto industriale. Le piccole aziende, unite in grande filiera, hanno tenuto - come si dice dalle mie parti - botta in questo sistema. Serve consolidarle queste filiere, patrimonializzare le aziende, favorire la loro crescita, favorire la formazione di reti, aiutare la loro transizione verso prodotti più sostenibili e metodologie di produzioni più razionali e rispettose dell'ambiente.
E invito anche il Governo a pensare che, in questa pandemia, alcune riflessioni devono essere fatte: le grandi catene del valore mondiale globale si sono interrotte, non perché si è intraversato un cargo nel canale di Suez, ma perché la pandemia ha interrotto le comunicazioni. Allora, oggi dobbiamo riflettere anche sul riportare a casa, sul reshoring di alcune delle produzioni importanti per le nostre industrie, reso questo più importante in questa fase, in cui l'esplosione dei costi delle materie prime, la loro scarsità, la carenza di prodotti intermedi possono mettere in discussione la ripresa e verificarne i benefici.
Da questo punto di vista, sulle filiere bisogna anche ragionare, quindi, di filiere strategiche. Non possiamo pensare che l'acciaio sia abbandonato: un Paese che ha bisogno di acciaio per ricostruire la sua economia, per l'automotive, per le costruzioni, per i trasporti, non può, un Paese tradizionalmente esportatore, ridursi nella condizione per cui, nel 2020, a fronte di 27 milioni di tonnellate di consumo, ne abbiamo prodotte solo 20. Quindi, Taranto deve ripartire con la nuova azienda pubblica-privata, il ciclo integrale deve funzionare in maniera rispettosa dell'ambiente e della salute dei cittadini; Piombino deve uscire dall'incertezza, con i grandi investimenti sui trasporti ferroviari che lì sono localizzati per le forniture; Terni deve trovare la sua dimensione: gli acciai speciali non possono essere abbandonati, anche se escono dal gruppo Thyssen; l'elettrosiderurgia del nord Italia, con i forni e il rottame, sono una ricchezza nazionale ed europea. Serve un piano strategico. Così come, mi permetta, Presidente, serve un piano strategico per l'auto, non possiamo produrre mezzo milione di veicoli in una delle patrie europee dell'automobile. Dobbiamo mettere in campo un piano in cui ci sia sostegno alle nuove tecnologie, ci sia sostegno alla formazione di settore, un sostegno alla riconversione della filiera, alla componentistica, che vale 50 miliardi e sostiene la nostra bilancia commerciale.
Ma io potrei parlare di altre filiere. Non possiamo scoprire le biotecnologie quando vediamo che non produciamo i vaccini; non possiamo pensare all'aerospazio solo perché, quest'anno, raggiungiamo la cifra record di 2,3 miliardi conferiti all'ESA da parte dell'Italia per le attività, per i grandi satelliti, per l'esplorazione dello spazio, l'osservazione della Terra, i grandi vettori. Dobbiamo mettere tutto a sistema.
Ma potrei parlare di agroalimentare, di moda e di altre cose, non lo faccio per il tempo. Richiamo su due filiere che sono a scavalco fra l'industria e i servizi: il turismo e il commercio.
Il turismo è una delle industrie più forti in Italia e che ha sofferto di più in questa fase, dobbiamo migliorare l'offerta turistica destagionalizzandola, dobbiamo considerare che l'Italia non è solo mare, montagna e città d'arte, ma può essere un insieme di molti turismi: cammini storici, turismo sostenibile e dolce, il turismo di ritorno, turismo della salute, le crociere, il turismo estero. Molti non sanno che il turismo mette in funzione una filiera industriale molto forte. Fincantieri è Fincantieri anche perché è leader nella produzione delle navi da crociera. Qui servono interventi e il PNRR è debole sulla digitalizzazione, sulla formazione di settore, sul miglioramento dell'accoglienza ricettiva. Il commercio: il commercio è stato dimenticato nel PNRR, chiediamo che si faccia ammenda nel prossimo documento; sta affrontando svolte epocali: il commercio elettronico, un nuovo rapporto fra il commercio e le città, una fiscalità dedicata che non può limitarsi solo al tema degli affitti, anche se riguarda questo tema. Ora, io credo che serva, in questa fase, avere una chiara visione del futuro e strumenti dedicati. Invitalia, ma anche strumenti come quelli della Cassa depositi e prestiti, patrimonio destinato, che debbono intervenire nella salvaguardia dell'emergenza, potrebbero trovare un loro sviluppo nel futuro come strumenti di intervento nella politica industriale, non per uno Stato padrone, ma per uno Stato capace di aiutare il sistema e delimitare e delineare le linee di azione. In questo io credo che - e concludo, Presidente, perché credo di avere dato un quadro chiaro su quella che è la nostra idea - questa scommessa della crescita può essere vinta. Fra i tanti fattori, la manifattura, l'industria e il loro progresso, sono uno dei principali per ricreare benessere e lavoro, per risanare quella frattura sociale che si sta ampliando nel nostro Paese. Ciò di cui dobbiamo avere paura, la sola cosa di cui dobbiamo avere paura, in un momento in cui le risorse ci sono anche se a debito, è quella di non avere una visione coerente e la capacità di affrontare il futuro. Io credo che questo Governo, per la sua base parlamentare, per la sua composizione, per l'esperienza del Presidente del Consiglio, possa vincere anche questa sfida. Noi saremo con il Governo su questi temi.