Discussione sulle linee generali
Data: 
Giovedì, 22 Aprile, 2021
Nome: 
Pietro Navarra

Doc. LVII, n. 4

Presidente, onorevole Viceministro e colleghi, la Banca mondiale stima che la pandemia da COVID-19 ha dato vita a una delle peggiori recessioni economiche dal 1870, portando con sé un drammatico aumento dei livelli di povertà. Mentre nel 2019 il commercio internazionale era cresciuto dell'1,1 per cento, il 2020 ha registrato, in linea con le previsioni di vari istituti internazionali, una riduzione di circa 11 punti percentuali. Ciò ha portato i Governi dei principali Paesi, nonché le istituzioni internazionali, ad approvare ingenti misure di sostegno al reddito di famiglie e imprese, che tuttavia non hanno impedito di avere delle conseguenze devastanti in termini di disoccupazione e contrazione dei mercati.

La perdita accumulata per l'economia mondiale rispetto alle previsioni di crescita, se non ci fosse stata la pandemia, ammonta a 11 mila miliardi di dollari nel biennio 2020-2021. Nei primi mesi del 2021 ci troviamo, tuttavia, di fronte a un quadro macroeconomico globale in miglioramento. Allo stesso tempo, però, esso è caratterizzato da elevata incertezza connessa con le nuove ondate pandemiche. La disponibilità di vaccini e lo stimolo fornito dalle politiche economiche hanno indotto il Fondo monetario internazionale a rivedere al rialzo le stime di crescita a livello internazionale, portate per quest'anno al 6 per cento. Gli andamenti di breve periodo restano però condizionati dal persistere dei contagi e dal ritmo diseguale delle campagne vaccinali, due elementi di forte incertezza sul quadro macroeconomico generale.

Nel 2020 il PIL dell'Italia è diminuito di circa 9 punti percentuali, come mai accaduto in tempi di pace. Il quadro macroeconomico tendenziale del Documento di economia e finanza è stato elaborato sulla base delle variabili esogene internazionali e di un quadro di finanza pubblica che incorpora il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza nella versione recepita dalla legge di bilancio per il 2021 e il decreto-legge n. 41 del 2021, il “decreto Sostegni”.

Secondo le valutazioni contenute nel DEF, che sono state validate in settimana dall'Ufficio parlamentare di bilancio, si prospetta un ritorno alla crescita quest'anno al 4,1 per cento, dopo il crollo dell'attività dovuto alla pandemia nel 2020. L'anno prossimo si registrerebbe un'ulteriore accelerazione al 4,3 per cento, mentre nel biennio successivo la dinamica produttiva rallenterebbe, avvicinandosi ai ritmi più prossimi alla media storica precedente all'esplosione della pandemia da COVID-19.

Le previsioni descritte dallo scenario macroeconomico dell'economia italiana restano soggette, tuttavia, a diversi fattori di incertezza. Esse presuppongono il consolidamento del miglioramento della situazione dei contagi e il successo delle campagne vaccinali. A questo proposito, mentre il Governo intraprende la strada delle riaperture in modo doverosamente graduale e attento, per tutelare insieme la salute dei cittadini e la ripresa economica, sarebbe utile e prudente che nessuno, specie all'interno della maggioranza, si abbandonasse a scelte e comportamenti poco responsabili, mossi da interessi elettoralistici e di partito.

Le previsioni del DEF, inoltre, rimangono ancora dipendenti per questa prima parte dell'anno in corso dal mantenimento delle misure di sostegno economico che si riflettono sul reddito disponibile e sui consumi. Nello scenario programmatico il Governo prospetta una crescita più elevata della nostra economia: raggiungerebbe il 4,5 per cento nell'anno in corso e il 4,8 per cento nel prossimo anno. La differenza rispetto al quadro tendenziale è dovuta agli effetti del nuovo pacchetto di misure di sostegno alle imprese e alle famiglie che sarà varato nelle prossime settimane e al potenziamento degli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Per quanto attiene alle previsioni tendenziali di finanza pubblica, esse mostrano un disavanzo pubblico che nel 2021 si mantiene sul livello dello scorso anno, intorno al 9,5 per cento del prodotto interno lordo, ma che però si muove in successiva riduzione dal 2022, sino ad attestarsi al 3,4 per cento del PIL nel 2024. Il miglioramento atteso del quadro di finanza pubblica nel quadriennio è da attribuire a una serie di fattori: le aspettative sul superamento dell'emergenza sanitaria, il carattere straordinario della gran parte delle misure sin qui disposte per contrastare l'impatto del COVID-19 sull'economia e gli effetti positivi sulle entrate dovuti alla retroazione fiscale connessa all'impatto espansivo degli interventi del Piano di ripresa e di resilienza sulle basi imponibili. Rispetto al tendenziale, il percorso programmatico di finanza pubblica delineato dal DEF prevede un peggioramento dei saldi di finanza pubblica per il triennio 2021-2023, con un indebitamento che sale all'11,8 per cento, al 5,9 e al 4,3 per cento rispettivamente negli anni 2021, 2022 e 2023, per poi confermare nel 2024 il valore tendenziale.

Il quadro della finanza pubblica programmatica aggiornato nel DEF evidenzia anche una revisione degli obiettivi rispetto a quelli stabiliti nell'autunno scorso. Il rientro del deficit al 3 per cento del prodotto interno lordo slitta, infatti, dal 2023 al 2025 e viene ricalibrato il sentiero di avvicinamento all'obiettivo di medio termine in modo tale da riportare il rapporto tra debito pubblico e PIL verso il livello pre-crisi - era al 134,6 per cento - entro la fine del decennio.

L'aspetto più significativo contenuto nel DEF è rappresentato da un aumento considerevole di risorse destinate agli investimenti pubblici in un contesto in cui il profilo tendenziale prevede già una loro rapida espansione, anche e soprattutto grazie al Piano di ripresa e resilienza finanziato da risorse europee. Il tasso di crescita medio annuo degli investimenti pubblici previsti è di oltre il 10 per cento dal 2021 al 2024. Se queste previsioni dovessero essere mantenute, non solo si verificherebbe il recupero del livello di investimenti in valore assoluto - infatti si raggiungerebbe nel 2022 la quota registrata nel 2009, che si attestava intorno ai 60 miliardi, anno dopo il quale si è assistito a un ridimensionamento della spesa in conto capitale -, ma le previsioni andrebbero anche oltre questo risultato nel biennio 2023-2024, fino a raggiungere circa 70 miliardi di investimenti pubblici.

A questo proposito, è da mesi in atto nel Paese un acceso dibattito sulla capacità di spendere le risorse europee e nazionali nei tempi previsti. Ciò pone alle amministrazioni interessate un problema di Governo basato su un'efficiente ed efficace gestione e monitoraggio dei programmi di spesa, da cui nasce la necessità di adeguare le proprie strutture alle esigenze richieste dall'attuazione di un progetto così ambizioso. Certamente, va fatto un lavoro di attenta semplificazione delle procedure, ma, come è stato puntualmente affermato dall'onorevole Melilli recentemente, un tema che va risolto con soluzioni chiare è quello della responsabilità. Egli afferma l'esigenza di costruire un sistema che preveda, per ogni amministrazione destinataria di risorse del Piano, l'individuazione di uno o più responsabili a capo di un pool di risorse umane dedicate alla loro attuazione. Sarebbe utile inserire queste informazioni in una grande banca dati pubblica e trasparente, così che siano chiare le responsabilità dell'attuazione dei singoli progetti nei diversi tempi di attuazione previsti. Altrettanto utile sarebbe riconoscere ai dipendenti che saranno chiamati a dare attuazione al Piano adeguati incentivi economici.

Se è vero che gli investimenti previsti dal PNRR rappresentano un'occasione irripetibile per il nostro Paese, condivido con il collega Melilli che, intorno ad essi, si debba creare una comunità di attuatori ai quali attribuire premi e responsabilità ai diversi livelli di governo del programma. Sarebbe un errore pensare che l'architettura della governance del Piano si debba limitare alle responsabilità e alle forme organizzative soltanto a livello centrale.

Nel DEF, quindi, sono principalmente gli investimenti pubblici a spingere il Paese verso la crescita; tuttavia, affinché la crescita possa essere strutturale e di lungo periodo, gli investimenti pubblici devono essere accompagnati da investimenti privati e dall'aumento della produttività. Ricordo che il nostro Paese, nell'ultimo trentennio, si è caratterizzato per una scarsa crescita e una bassa produttività. Negli ultimi trent'anni, infatti, l'economia italiana ha perso 32 punti percentuali di PIL, quasi 500 miliardi di euro, nei confronti con la zona euro, pari al PIL di Grecia e Portogallo sommati insieme, e ben il 61 per cento di PIL nei confronti degli Stati Uniti, pari a 990 miliardi di euro, un valore di PIL tra quello della Turchia e quello della Spagna.

L'Italia ha, inoltre, un secondo grave problema irrisolto, che si chiama produttività. Stando alle statistiche recentemente pubblicate dall'Istat, infatti, l'indice della produttività dei fattori produttivi, capitale e lavoro, fa segnare una variazione dello zero per cento, cioè nulla, per il periodo 1995-2019.

Perché è importante la produttività? Perché è un indice che misura il rapporto tra il volume di prodotto realizzato e il volume di uno o più fattori impiegati nella sua produzione, cioè gli effetti del progresso tecnologico e degli altri fattori propulsivi della crescita, tra cui le innovazioni del processo produttivo, i miglioramenti nell'organizzazione del lavoro e delle tecniche manageriali, i miglioramenti nell'esperienza e nel livello di istruzione raggiunto dalla forza lavoro. Un indice di produttività fermo al 1995 ci dice che, per produrre un bullone oggi, occorre esattamente lo stesso sforzo produttivo, in termini di ore di lavoro e investimenti di capitale che serviva nel 1995. Affrontare le difficoltà create in tutto il mondo dalla pandemia è chiaramente la questione al momento più urgente. Il sostegno dato dalle politiche di bilancio e monetarie alla domanda aggregata proseguirà necessariamente nel prossimo futuro, ma per l'Italia è altrettanto importante affrontare i problemi che da circa trent'anni ne frenano la crescita e la produttività. Serve un cambio radicale di paradigma fondato su due pilastri principali: è essenziale attuare riforme volte a creare un ambiente più favorevole alle imprese, aumentando la qualità e l'efficienza dei servizi pubblici, migliorando la giustizia civile, riducendo gli oneri amministrativi e burocratici che ostacolano gli investimenti pubblici e privati, abbattendo il peso dell'evasione fiscale e della corruzione. Tuttavia, tali riforme da sole non sarebbero ancora sufficienti per un Paese avanzato come il nostro. Quando un Paese si avvicina alla frontiera tecnologica, infatti, il suo reddito e i suoi salari non consentono più una strategia di sviluppo basata unicamente sulla concorrenza in termini di costi e di prezzi. In tale contesto, la crescita economica dipende dalla capacità di integrare e di promuovere l'innovazione. Ecco, quindi, il secondo pilastro sul quale scommettere per il futuro della nostra economia: innovazione tecnologica e capitale umano. I gravi ritardi accumulati nell'innovazione e nell'istruzione e la loro interrelazione con la struttura del sistema produttivo sono una delle principali cause della debole crescita economica dell'Italia.

Infine, un'ultima annotazione. Secondo quanto dispone la normativa di contabilità e finanza pubblica, il DEF dev'essere presentato al Parlamento, per le conseguenti deliberazioni, al fine di consentire alle Camere di esprimersi sugli obiettivi programmatici di politica economica in tempo utile per l'invio del Programma di stabilità e del Programma nazionale di riforma al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea. Il DEF 2021, in esame, è stato trasmesso privo del Programma nazionale di riforma perché il Governo ha ritenuto che il Programma nazionale di ripresa e resilienza possa integrarlo, visto che le riforme occupano un ruolo centrale nel PNRR e in forza del regolamento dell'Unione europea che istituisce il Dispositivo per la ripresa e la resilienza. Tuttavia, il regolamento citato riguarda il rapporto tra Stati membri e istituzioni europee e non riguarda i rapporti tra Governo e Parlamento. Pertanto, onorevole signor Viceministro, nell'interesse e nel rispetto della centralità del Parlamento desidero affermare che la deroga della normativa relativa alla trattazione degli obiettivi programmatici di politica economica da parte delle Camere non deve costituire un precedente da ripetere in futuro, comprendendo gli importanti sforzi del Governo in un momento del tutto eccezionale di grandissima emergenza economica, sociale e sanitaria senza precedenti nella storia recente, come quella che stiamo vivendo, che sta vivendo il nostro Paese e che ci auguriamo presto di superare.