Grazie, signor Presidente, gentile esponente del Governo, colleghe e colleghi, oggi noi siamo qui per cominciare a colmare un vuoto, un vuoto di verità e quindi anche un vuoto di giustizia. Oggi cominciamo a creare lo strumento parlamentare per colmare quel vuoto, per supportare e aiutare la magistratura - non per sostituirci alla magistratura - e fare quindi chiarezza sulla tragedia della Moby Prince, uno degli episodi più inquietanti e misteriosi della storia del nostro Paese.
Voglio chiarire subito questo aspetto: i promotori di questa iniziativa parlamentare - io sono tra questi, insieme a tanti altri, a coloro che hanno anche firmato le tre proposte di legge poi unificate - non hanno voluto sostituirsi in alcun modo alla magistratura ma, con la Commissione d'inchiesta che nascerà e lavorerà qui a Montecitorio, hanno voluto offrire nuovi spunti ed elementi di indagine; spunti ed elementi di indagine che possono contribuire finalmente, occorrerebbe aggiungere, ad accertare le vere cause di una tragedia e i motivi per i quali 140 persone hanno perso la vita, a chiarire una volta per tutte se le vittime di quella catastrofe avrebbero potuto essere salvate se i soccorsi fossero arrivati per tempo magari, se ci furono negligenze o ritardi colpevoli, così come se ci furono errori o manchevolezze nelle indagini. Perché, colleghi, in mezzo a tanti misteri e a tante domande ancora senza risposta, una cosa è assolutamente certa: quali furono le vere cause della collisione tra la petroliera Agip Abruzzo e il traghetto della Navarma, Moby Prince, a trent'anni dal fatto, ancora noi non lo sappiamo e questo è assolutamente inaccettabile.
Il percorso giudiziario, che è stato anche ricordato dai colleghi prima di me, ha visto nel 1998 l'assoluzione in primo grado e poi la prescrizione in appello di tutti gli imputati; quindi, ancora, la riapertura dell'inchiesta nel 2006 e la sua successiva archiviazione nel 2010, ancora senza una causa precisa e ancora senza colpevoli.
Le inchieste giudiziarie, così come ricordava poco fa anche il collega D'Ettore, oggetto di più di una critica - perché queste inchieste sono state oggetto di critiche anche pesanti - non hanno scoperto perché le due navi sono venute a contatto; ancora oggi, trent'anni dopo, non sappiamo perché l'Agip Abruzzo e la Moby Prince sono venute a contatto, perché se le cose fossero state normali le due navi non avrebbero dovuto venire a contatto.
Quindi, qualcosa è accaduto, perché non sono riuscite ancora a chiarire, perché sono rimaste incastrate a lungo.
Perché non sono riuscite a dare un perché al fatto che i soccorsi arrivarono per tempo per la petroliera (dove, infatti, non si sono registrate vittime), ma non sono arrivati per tempo o forse non sono arrivati affatto per il traghetto; perché per lungo tempo, troppo tempo, la causa del disastro venne individuata nella nebbia, mentre sappiamo con certezza, grazie agli accertamenti della parallela Commissione del Senato, che la sera del 10 aprile del 1991, nella rada del porto di Livorno la nebbia non c'era. Risultanze - dobbiamo chiarirlo subito - che non hanno coinciso con quelle dell'autorità giudiziaria che hanno riguardato la tragedia. Sembra che le risultanze dell'autorità giudiziaria, da quanto emerso dalle indagini successive ma soprattutto da quanto emerso dalle risultanze della Commissione del Senato, riguardino due fatti diversi, due accadimenti diversi; invece, riguardano lo stesso fatto.
In particolare, i senatori, sulla base dell'imponente lavoro svolto, hanno dissentito - e lo hanno messo per iscritto nella relazione finale - con le tesi che hanno sostenuto le sentenze di assoluzione e archiviazione; quelle sentenze che avevano indicato nella nebbia la principale causa della collisione, nell'imprudenza e negligenza della catena di comando del traghetto NavArMa. Una relazione finale, approvata poco prima di Natale, il 22 dicembre del 2017, che ha trasformato radicalmente il quadro degli elementi sui quali hanno poggiato le conclusioni nelle sentenze. Nel dicembre del 2018 la procura di Livorno ha acquisito gli atti della Commissione d'inchiesta del Senato, ma a distanza di tanti anni molti reati sono coperti dalla prescrizione.
Inoltre - e questo è un altro degli scopi dell'iniziativa parlamentare della quale oggi discutiamo - occorre approfondire e completare i risultati scaturiti dal lavoro di quella Commissione del Senato per superare i limiti che oggi la magistratura si trova dinnanzi nella ricerca della verità.
Ma non è tutto, perché a conclusione dei lavori di indagine che si svolgeranno, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione repubblicana, la Commissione dovrà anche valutare, a nostro parere, la necessità di un intervento legislativo da avanzare al Parlamento nel suo insieme, capace di attenuare le conseguenze di quella strage; conseguenze che hanno sofferto i familiari delle vittime per 30 lunghi anni.
La Commissione che stiamo per istituire non è l'unico organismo parlamentare, come abbiamo visto. Al Senato ha lavorato egregiamente, tra il luglio del 2015 e il dicembre del 2017, nel corso della precedente legislatura, un'altra Commissione parlamentare d'inchiesta. Un lavoro prezioso, utilissimo quello compiuto dai colleghi del Senato. Io vorrei ringraziarli per gli aspetti che hanno contribuito a far emergere, per la scelta degli auditi, per la chiarezza nella esposizione delle risultanze.
A questo proposito, permettetemi di onorare la memoria del comandante del Moby Prince, Ugo Chessa (Applausi). Era un sardo come me e come non poche vittime della strage. Nelle prime ore successive all'impatto si parlò, tra le cause, di errore umano, di una distrazione provocata dalla trasmissione televisiva di una partita di calcio: niente di tutto questo. Il comandante Chessa era un marinaio di grande esperienza e di grandi capacità, così come tutti i componenti della catena di comando del traghetto NavArMa. I suoi figli con orgoglio perseguono con passione la ricerca della verità e uno di loro guida oggi una delle associazioni che tutelano gli interessi delle famiglie delle vittime.
No davvero, colleghi, Presidente: la causa dell'impatto non fu la distrazione o la negligenza; va ricercata altrove. Tante le ipotesi, tante le illazioni, le piste imboccate e presto abbandonate. Si parlò anche di un attentato, lo ricorderete: un attentato opera di terrorismo o della mafia.
Vede, Presidente, se non conosciamo ancora le vere cause della tragedia del Moby Prince, ancora non conosciamo nemmeno il responsabile di quello che è il più grave incidente della marineria civile italiana nella storia della Repubblica del nostro Paese. Come ho avuto modo di dire prima, questo è assolutamente inaccettabile per un Paese civile.
Altro che nebbia! Sono di altro tipo le opacità che avvolgono l'intera vicenda. Oltre ai punti che abbiamo già evidenziato, occorre ancora accertare quante e quali navi incrociavano la rada del porto di Livorno quella sera, e ancora cosa c'è da scoprire nei collegamenti radio intercorsi quella notte. Sono state sbobinate le conversazioni di un solo canale - il canale di emergenza n. 16 - ma le conversazioni possono essere avvenute e sicuramente sono avvenute anche su altri canali che ancora dobbiamo verificare.
Inoltre, signor Presidente, nel novembre scorso, il tribunale civile di Firenze, con sentenza, ha negato ai familiari delle vittime il diritto al risarcimento con la motivazione secondo cui ogni ipotesi di addebito - leggo testualmente - deve ritenersi prescritta, essendo trascorsi due anni dalla sentenza della corte d'appello divenuta irrevocabile. Nello stesso provvedimento, nel novembre scorso, si legge che le risultanze della Commissione parlamentare d'inchiesta devono ritenersi un atto politico che non supera quanto è stato accertato a livello penale. Una valutazione, quella dei giudici fiorentini, accolta negativamente dalle associazioni dei familiari delle vittime. Ha ragione da vendere il collega D'Ettore, quando dice che queste valutazioni non possono essere accettate, perché, sì, ovviamente il Parlamento istituisce Commissioni d'inchiesta, che sono anche atti politici, ma basate su fatti comprovati e, quindi, inoppugnabili.
Nella mia attività di giornalista televisivo, Presidente, mi sono occupato più volte, così come il collega Marino, della tragedia del Moby Prince, trattandosi di un evento che ha riguardato la Sardegna e ha riguardato la morte di sardi innocenti, di tanti sardi innocenti, di tante vittime innocenti. Mi è capitato per il mio lavoro di vedere e di esaminare anche le immagini di una videocassetta VHS, recuperata dal relitto del Moby Prince. Poco prima della collisione con la petroliera era stata girata questa cassetta. Le immagini che mi è capitato di guardare mostrano una famiglia felice, una famiglia di sardi, che lavorano in Toscana e fanno ritorno nell'isola per una breve vacanza con i parenti. Ci sono anche due bimbe piccole in questa famiglia e sono riprese dalle immagini. Sono bimbe felici, per la novità della vacanza che stanno per affrontare. Ecco, Presidente, oggi noi dobbiamo istituire la Commissione d'inchiesta, perché abbiamo il dovere di cercare la verità su quanto è accaduto. Lo dobbiamo a quella famiglia, a quelle bimbe, lo dobbiamo alla coscienza civile del nostro Paese, all'ineliminabile desiderio di giustizia che nasce da eventi come quello del Moby Prince, purtroppo, come tanti altri eventi, sui quali non si è riusciti a fare completamente luce.
Noi, Presidente - e mi avvio alla conclusione -, siamo convinti che sia un dovere anche della politica. Questo è un dovere anche della politica: fare in modo che dopo trent'anni si faccia luce su un episodio tragico e misterioso. Aggiungo che noi promotori dell'iniziativa parlamentare siamo anche convinti che le inchieste giudiziarie debbano essere riaperte, perché quelle sentenze, di cui ho parlato prima, sono frutto di fatti assolutamente marginali, rispetto a quanto è stato poi accertato da altre inchieste e dalla Commissione parlamentare del Senato. Per fare questo, per raggiungere questo obiettivo, noi del Partito Democratico ci siamo e ci saremo.