Grazie Presidente, colleghi e colleghe, il lavoro che svolgiamo quotidianamente anche in Commissione antimafia arriva a questa fase di analisi, in cui parliamo inevitabilmente di infiltrazioni mafiose in epoca COVID, dopo un lungo lavoro che è stato portato avanti. E' necessario evidenziarne tre principali aspetti; in primo luogo, l'esplosione della pandemia da COVID-19 ha messo il Paese, inteso come organizzazione e, nel dettaglio, famiglie ed imprese, davanti al proprio destino ossia ad una serie di fragilità, che già sussistevano nella società italiana e che erano già estremamente radicate: fragilità economiche, fragilità sociali, fragilità nel reperimento del credito lecito, debolezze e fragilità legate alla pubblica amministrazione e, in particolare, alla gestione degli enti pubblici.
Queste fragilità ovviamente hanno rappresentato e rappresentano tuttora un prerequisito essenziale perché l'erba cattiva, le mafie si possano infiltrare con maggiore facilità; al tempo stesso, però bisogna far chiarezza su un secondo aspetto che, in questa fase di premessa, è utile citare perché, in alcuni momenti, sembra quasi che il fenomeno mafioso nasca nella sua aggressività con l'esplosione della pandemia da COVID-19, cosa che va da sé non è nella storia italiana; purtroppo, la presenza delle mafie storicamente è forte e radicata; ha visto il coinvolgimento in alcuni momenti di parti limitrofe allo Stato; ha vissuto e speculato sulle aree grigie, inserendosi soprattutto in tutte quelle situazioni di estrema fragilità, anche dal punto di vista storico, che hanno purtroppo caratterizzato il nostro Paese (penso all'epidemia di colera fino ai terremoti e alle ricostruzioni, come ha ricordato più volte il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho).
Tutto questo lavoro è stato analizzato e trattato in un comitato, che ho l'onore di coordinare in Commissione bicamerale antimafia, che si occupa proprio delle infiltrazioni mafiose in epoca COVID, grazie al quale è stato portato in sessione plenaria con un'approvazione all'unanimità, nonostante alcune effervescenza su un tema che affronterò in seguito; in particolare, abbiamo fatto una fotografia di ciò che è accaduto nei primi dodici mesi, ovviamente in evoluzione, e di quello che potrebbe accadere nei prossimi mesi con riferimento in particolare ai fondi che arriveranno con il PNRR.
Tre sono i fronti aperti: l'aspetto economico, l'aspetto legato alle comunità sociali e l'aspetto legato agli enti locali. Quest'ultimo ci interessa in particolare sia per la storia degli scioglimenti dei comuni per infiltrazioni mafiose in Italia sia perché gli enti locali si troveranno, di qui a brevissimo, a gestire, quindi ad erogare, a rappresentare il collo di bottiglia di buona parte di quei finanziamenti che stanno arrivando al nostro al nostro Paese; pertanto, è assolutamente strategico e indispensabile avere una pubblica amministrazione, anche nelle sue propaggini territoriali, adeguata, in grado di verificare l'adeguatezza delle proposte che arriveranno e di controllare come queste verranno eseguite.
Sull'aspetto economico della mozione Cantalamessa ed altri n. 1-00498, che ringrazio per aver portato in Aula in maniera tempestiva questo tema, vi è un focus assolutamente approfondito mentre, sugli aspetti legati alle comunità sociali, sarà premura del gruppo del Partito Democratico fornire ulteriori contributi perché ci possa essere una restituzione completa della gamma di rischi che vengono vissuti e di strategie per intervenire.
In particolare, la prima fase (quindi, febbraio, marzo fino a luglio, agosto, i primi otto mesi del 2020) è stata caratterizzata da alcuni fenomeni molto chiari; da un lato, anche nelle audizioni svolte in Commissione antimafia, ci siamo trovati di fronte a quella che nessuno ha esitato a definire come un'“economia di guerra”.
Dico questo per due motivi: primo, le famiglie mafiose, le consorterie criminali hanno speculato ed investito laddove le fragilità, di cui parlavo prima, erano già presenti, cogliendo le opportunità; dall'altro, è importante sottolinearlo perché buona parte di una serie di trend, che in questa fase possiamo ipotizzare, analizzare e tracciare, non è ancora arrivata a maturazione perché, come nell'economia di guerra, buona parte dei traffici avviene in maniera non immediatamente visibile ed identificabile.
Nonostante questo e nonostante l'atteggiamento attendista della criminalità organizzata, che non aveva interesse a guidare i processi ma ha l'interesse ad intervenire, laddove si creano opportunità, nelle comunità sociali e nelle imprese per cui vi sono condizioni favorevoli per farlo, abbiamo assistito ad alcuni segnali che è importante citare: un numero enorme di cambi di codici ATECO, che arriva a circa 120 mila nel primo semestre.
Ciò significa che, in una fase nella quale l'economia italiana era sostanzialmente immobile, tendenzialmente in gigantesca sofferenza, c'è stato un lavorio di adeguamento anche - e non esclusivamente - alle nuove opportunità che la situazione pandemica offriva; non è un mistero, perché la magistratura ci ha già iniziato a lavorare da tempo, che molte imprese si siano convertite nei settori che rimanevano “aperti”, ad esempio la sanificazione, la movimentazione dei rifiuti pericolosi e così via, andando a determinare, fra l'altro, una dinamica per cui non soltanto sono stati presidiati quei settori, già infiltrati, ma anche nuovi settori sono stati aggrediti.
Analogamente, di pari passo con il cambio dei codici ATECO, in una fase, ripeto, di sostanziale stasi dell'economia e della società italiana, abbiamo assistito a numerosissime variazioni di compagini societarie, di aziende.
E' chiaro che non intendiamo fare di tutta l'erba un fascio ma dalle analisi che abbiamo prodotto, anche nell'interlocuzione con Confindustria, Confcommercio e tutti gli interlocutori che abbiamo audito, quello delle partecipazioni societarie è stato individuato come uno dei settori ai quali prestare maggiore attenzione perché potrebbe essere la spia di un qualcosa che sta succedendo e che verosimilmente succederà in maniera ancora più ancora più evidente.
Tutti questi elementi di fragilità che ho appena citato hanno mostrato, in un momento di grande difficoltà per il nostro Paese - non c'è bisogno di ribadirlo oltre - alcuni punti di rottura che una situazione di grande emergenza come questa ha permesso di evidenziare ulteriormente: fenomeni di corruzione, contesti anche istituzionali favorevoli, zone grigie, una troppo facile semplificazione, più volte ribadita anche in quest'Aula, fra buoni e cattivi (chi parla di buoni e cattivi nega l'esistenza di zone grigie e ciò è un controsenso nel contrasto alle mafie), la mancanza di diritti e la presenza di disuguaglianze; tutti fenomeni, già presenti, che hanno rappresentato degli attivatori, acceleratori, opportunità di business che una situazione di grande emergenza prevedeva.
Come hanno attecchito questi rischi? Cito quattro dei principali assi di intervento: innanzitutto, le mafie hanno potuto offrire, purtroppo, sciaguratamente - ma sono riuscite in molti casi a farlo - una risposta, dal punto di vista temporale, maggiormente tempestiva rispetto allo Stato perché lo Stato ha regole, leggi da creare in una fase di emergenza, da far rispettare mentre le mafie dispongono di un elemento, sempre in una posizione di grande criminale vantaggio: ossia una disponibilità gigantesca e immediata di liquidità.
Quindi, con la liquidità le mafie sono riuscite ad arrivare all'ultima delle famiglie in difficoltà in tempi brevi, ma anche all'impresa, che rischiava di chiudere o che rischiava di non riaprire. Quindi, è stata attivata e resa disponibile, sul mercato, nella società, una disponibilità di liquidità economica gigantesca che, sia nei territori di nascita delle mafie sia nei territori di nuovo insediamento, è andata di pari passo con quello che era già presente e che era un sostanziale potere di influenza, dialogo, di sviluppo di capitale sociale e relazionale, con coloro che invece su quel territorio conducono una vita personale di comunità e una vita imprenditoriale assolutamente sane. Questo potere si è tradotto, in particolare in alcune zone d'Italia, - o meglio non si è tradotto, è stato potenziato - da un altro asset fondamentale delle mafie in Italia, ossia il controllo del territorio. Mettendo insieme tutti questi aspetti, abbiamo avuto quello che magistrati e inquirenti, ben più preparati del sottoscritto, hanno definito, nelle relazioni semestrali e annuali che abbiamo acquisito, un vero e proprio welfare mafioso. Welfare mafioso, alternativo a quello dello Stato, che ha guardato l'offerta di prossimità per i cittadini, che poteva essere denaro, pacchi della spesa, disponibilità ad accedere a prestazioni sanitarie e, dall'altra parte, liquidità per le imprese e possibilità di non chiudere. Questa situazione assolutamente esplosiva ci ha portato a vedere una mafia, una serie di mafie che si sono dapprima inabissate e hanno lasciato i loro emissari coinvolgere popolazioni ed imprese. Quegli aiuti che sono arrivati alle imprese e alle comunità sociali, ai singoli cittadini, in fase pandemica, ovviamente non sono aiuti gratis, non sono aiuti elargiti pro bono. Sembra una banalità, ma, purtroppo, quando si vivono delle situazioni drammatiche, che portano a rischio di chiusura dell'impresa piuttosto che al rischio di non arrivare a fine mese, queste vengono trascurate e ci siamo trovati di fronte a un aumento esponenziale dell'usura, e all'aumento di infiltrazioni nelle imprese, attraverso neanche la spoliazione dell'impresa stessa e dell'imprenditore, ma attraverso l'immissione di denaro liquido, l'apposizione di teste di legno e la presa di possesso dell'impresa, avviando in questo modo dei processi di svuotamento economico e della capacità produttiva. Ma, ancora, dal punto di vista sociale, siamo arrivati al bisogno di non guardare soltanto al grande mafioso, che non si esponeva per questi aiuti di basso rango; il dramma è che si sono sviluppati fenomeni di usura di prossimità. Non era più il boss mafioso, ma era il vicino di casa, all'interno di una rete mafiosa, che prestava il denaro a strozzo. Questo sistema ovviamente, come dicevo prima, non è gratis, perché dopo, passata la fase emergenziale, quando le mafie ne avranno bisogno, busseranno alla porta e chiederanno o imporranno. Cosa chiederanno? Di conservare pacchi, di aiutare persone, affiliati, a scappare e, tendenzialmente, di votare chi verrà detto di votare. Infatti, questo è il controllo del territorio e il mantenimento del piede che schiaccia la possibilità di crescere delle comunità che le mafie portano avanti.
Con i fondi del PNRR ci accingiamo a vedere qualcosa che purtroppo - lo accennavo poco fa - è già successo. Ho citato l'epidemia di colera a Napoli, il terremoto dell'Irpinia, il terremoto in Abruzzo e tutte quelle grandi tragedie, che dovrebbero dimostrare l'inesistenza di una mafia buona, che molte volte viene portata avanti. Dovrebbe dimostrarsi tanto più in una fase di grande destrutturazione e di grande rischio per la società, all'interno della quale la sanzione dei comportamenti illegali o negativi rischia di essere come soglia ulteriormente abbassata, proprio perché il momento di bisogno estremo e di estrema difficoltà rischia di rendere molte volte maggiormente propensi ad accettare dei comportamenti che vanno nella zona grigia. Allora, in questa fase sono importanti i diversi attori dello Stato.
Sono importanti la magistratura, le Forze dell'ordine, i corpi intermedi, le forze sociali; sono importanti quei soggetti che, piaccia o meno, sono parte dello Stato, sono alleati dello Stato. L'UIF, l'Ufficio di informazione finanziaria di Banca d'Italia, con un'azione di prevenzione e di analisi straordinaria fatta in tempo reale, ha visto crescere enormemente le segnalazioni di operazioni sospette. Questo ha rappresentato uno strumento fondamentale, perché interconnesso alle banche dati della DIA e delle DDA, al fine di capire se quelle segnalazioni andavano nella direzione dei soggetti già noti. Questa attività, questa azione di prevenzione, non può essere scollegata dalla invece necessaria unione fra gli aspetti economici e gli aspetti sociali. Una società italiana che vede degli aiuti alle imprese, senza badare alla ricaduta sui cittadini e sui momenti di estrema difficoltà che vivono i cittadini, non regge. Allora, noi non possiamo pensare di contrastare le mafie, se abbiamo ancora gli schiavi nei ghetti del foggiano; non possiamo pensare di contrastare le mafie, se nella mia regione, in Puglia, e in Campania e in tante altre regioni, abbiamo uno dei tassi di povertà educativa più alti e di abbandono scolastico oltre il 18 per cento. Manca un anello e, quindi, l'invito - ed è una parte del contributo che daremo, ma che già è emerso, come il collega Cantalamessa sa, in Commissione antimafia - è proprio quello di investire nella coesione sociale. Per contrastare le forme più aggressive di mafia, non servono azioni isolate, non servono più soltanto gesti esemplari: servono un'antimafia diffusa e quotidiana, servono una serie di azioni collegate fra di loro, che mettano insieme anche i professionisti, le associazioni datoriali, le scuole e le comunità che caratterizzano i nostri territori.
È stato fatto poco fa un riferimento alla politica, la lotta alla mafia. Io, dal 2001, da quando a Bari c'è stata la prima vittima di mafia innocente, Michele Fazio, un ragazzino di 16 anni ucciso per sbaglio - anche se “per sbaglio” è sempre brutto e difficile da dire -, dal 2001, mi occupo di questi temi. Credo che la politica, che è parte in causa di questa azione di contrasto, abbia subito molto, troppo a lungo, una sorta, paradossalmente, di depoliticizzazione della lotta alla mafia. Allora - e ci torno nelle conclusioni - non basta più dire che siamo contro le mafie. Abbiamo gioco facile: prendiamo qualche applauso, un po' di like su social; ma come siamo contro le mafie? Siamo contro le mafie perché vogliamo bloccare e precludere gli appalti alle imprese che pagano le tasse all'estero? Allora, queste sono le scelte che dobbiamo fare! Queste sono le proposte, che dobbiamo portare avanti e sulle quali ci dobbiamo confrontare. Ma, ancora, la politica ha delle responsabilità importanti, non soltanto per la depoliticizzazione, ma anche perché troppo a lungo, soprattutto ultimamente, la lotta alla mafia è diventata “ordine pubblico”. Ma siamo fuori strada, perché non è solo ordine pubblico, perché i giudici prendono i papà, gli zii e i genitori dei ragazzi e il nostro impegno deve essere quello per cui i ragazzi poi non arrivino a ripercorrere le stesse orme che i genitori hanno dimostrato di saper purtroppo prendere, condizionando anche la vita dei ragazzi.
Allora, è qui la sfida vera di questo Parlamento in questa fase, davanti ad un'emergenza almeno europea, perché l'emergenza mafiosa sul PNRR non è soltanto italiana, ma è quantomeno europea. Davanti a questo noi ci dobbiamo porre alcune domande e alcune proposte. Io qualcosa la anticipo: quella sulle imprese che pagano le tasse all'estero, mi sembrerebbe la più banale da sottoporre all'Aula; come anche la possibilità di introdurre l'informativa antimafia fra i privati; come anche la possibilità di attuare - con un contributo che ha portato il senatore Mirabelli in Commissione antimafia _ un codice rosso per i reati di usura; ancora, una maggiore sensibilizzazione delle associazioni di categoria e datoriali da sensibilizzare. Non vi racconto, perché c'è poco tempo, la difficoltà nell'avere dati - concludo - e informazioni da molte associazioni di categoria, che in una fase del genere ci hanno detto: le imprese non ci rispondono. Ci sarà un problema, se non rispondono.
Quindi, ancora l'invito e il contributo che daremo alla mozione - e chiudo davvero - è quello di far coesistere un intervento tutto centrato su ciò che bisogna fare per reprimere, da un lato, ciò che già c'è, purtroppo, e per aiutare le imprese a degli interventi fondamentali e imprescindibili di prevenzione e di cura delle comunità sociali (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Lega-Salvini Premier).