Ministro Orlando, la sua relazione ci fornisce un quadro chiaro sulle dinamiche di funzionamento del reddito di cittadinanza, sulla platea dei beneficiari e sull'entità del beneficio, sulle modalità di accesso, sull'impianto dei controlli e sulla vigilanza che giustamente ci deve essere, come c'è, e deve essere rafforzata e, inoltre, sulle prospettive di correzione inserite, come lei ha detto, nella manovra di bilancio e su cui lavoreremo ancora in Parlamento. Queste correzioni sono tese, in particolare, a ridefinire il reddito di cittadinanza quale strumento di contrasto alla povertà e ad inserirlo con questa specifica accezione, così com'era stato per il ReI, per il reddito di inclusione, nel perimetro delle politiche pubbliche che assumono non solo l'obiettivo di sottrarre alla condizione di povertà donne, uomini e molti bambini e ragazzi - il cui numero, come ci ricorda il rapporto di Save the Children, negli ultimi quindici anni, è aumentato fino ad arrivare a un milione di minori in più privo del necessario per vivere in modo sereno e dignitoso - ma anche quello di saper e voler leggere, conoscere, quantificare e qualificare la povertà nelle sue varianti e nei suoi stadi, alcuni dei quali, purtroppo, come ci dice l'esperienza, sono anche irreversibili. Lo dicono i numeri, se vogliamo prenderne atto. La povertà non solo non può essere considerata una colpa, e spero che su questo siamo tutti d'accordo, ma non è nemmeno una condizione singola, non è il prodotto né, tanto meno, la rappresentazione di una condizione univoca, semmai sono diverse condizioni che si sovrappongono e la caratterizzano; così, c'è una povertà strutturale legata al genere, all'età, al territorio di residenza. Ricordiamo infatti che fra i percettori del reddito di cittadinanza il 52 per cento è donna, il 64 per cento risiede nel meridione e nelle isole, e il 29 per cento ha meno di vent'anni.
Un pezzo importante della platea dei beneficiari è fuori dal mercato del lavoro (altro tema che non possiamo sottovalutare): infatti, il 26 per cento sono minori; il 14 per cento anziani; il 17 per cento nuclei familiari con almeno un disabile. Un'altra parte rilevante ha un percorso lavorativo discontinuo e precario. Lei ha citato i dati di ANPAL. Infatti solo il 33 per cento dei beneficiari nella fascia di popolazione attiva - 18-64 anni - ha storie contributive nel biennio 2018-2019; gli altri soggetti, quelli indirizzati alle politiche attive del lavoro, spesso non hanno mai lavorato, hanno un basso livello di scolarizzazione, competenze professionali inesistenti, obsolete o non spendibili nel mercato del lavoro, con basso livello di soft skill. Qui si profila la sfida sulle politiche attive: la formazione e la ricollocazione di questi soggetti, avendo però chiara questa considerazione. C'è, poi, una povertà contingente, quella prodotta anche dalla pandemia (il lavoro povero di cui lei parlava). Ricordiamo, per esempio, che le donne - in particolare le madri - secondo i dati del 2020, hanno subito una riduzione salariale dovuta soprattutto alla riduzione delle settimane lavorate (quella povertà contingente di cui ci dobbiamo occupare).
Con questa consapevolezza dobbiamo praticare l'ambizione di cambiare e di migliorare il reddito di cittadinanza. Con la stessa consapevolezza dobbiamo dire che sono altre le misure e i percorsi, sebbene correlati e in alcuni casi consequenziale all'attivazione del beneficio caratterizzato dal reddito di cittadinanza, che devono attivare, quando le condizioni lo consentono, il reinserimento e il ricollocamento dei soggetti beneficiari di questa misura. Se accettiamo la sfida insita nella ricostruzione precisa e, direi, oggettiva che lei ha appena proposto all'Aula, noi possiamo migliorare la misura finalizzandola all'obiettivo che deve ossessionarci ogni giorno: contrastare la povertà, assistere i poveri. Questo lo voglio sottolineare, care colleghe e cari colleghi, perché quando una mamma e un babbo, o una mamma sola o una donna anziana non riescono a mettere insieme il minimo indispensabile per mangiare e nutrire i propri figli, in capo alla Repubblica - non allo Stato, ma in capo alla Repubblica, articolata nei diversi livelli istituzionali - sorge il dovere, anzi io direi l'obbligo, all'assistenza, che non è una brutta parola. Noi parliamo sempre di assistenzialismo e ci dimentichiamo che l'articolo 38 della nostra Costituzione invita la Repubblica ad assistere i cittadini che, inabili al lavoro o sprovvisti di mezzi necessari per vivere, hanno diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. Questo è un passaggio fondamentale.
Nella sua relazione, Ministro, nell'oggettività dei dati proposti da autorevoli e compiuti approfondimenti che noi stessi, in Commissione lavoro, abbiamo potuto acquisire attraverso la nostra indagine conoscitiva sulle disuguaglianze prodotte in pandemia, attraverso INPS, Istat, ANCI e Caritas, che ci propone un monitoraggio plurale del reddito di cittadinanza per provare a rilanciarlo imparando dall'esperienza (o anche il Comitato scientifico, istituito dal suo Ministero per la valutazione del reddito di cittadinanza), in tutti questi documenti ci sono le premesse per rendere strutturale ed efficace questa misura di civiltà, senza rinunciare al driver per far ripartire il Paese, ovvero le politiche di attivazione di percorsi di formazione e ricollocazione di coloro che sono ricollocabili nel mercato del lavoro.
Per farlo in modo plurale e condiviso ritengo che dobbiamo rinunciare alle derive ideologiche che hanno rappresentato in passato - e rappresentano ancora oggi - la pesantezza e la parte più insopportabile di questo dibattito. Il reddito di cittadinanza non ha abolito la povertà - ce lo possiamo dire, colleghi, dopo due anni di attivazione della misura - e, infatti, in pandemia siamo dovuti intervenire con ulteriori misure per dare risposte ai poveri. Però è anche insopportabile - né possiamo trarre tale conclusione dagli illeciti efficacemente rilevati e denunciati - la conclusione che una misura universale di contrasto alla povertà debba essere messa in discussione in un Paese civile come il nostro, a meno che non assumiamo il principio che laddove i furbetti eludono le regole per accedere ai benefici di legge si procede con la cancellazione delle relative misure di welfare.
Quindi, miglioriamo il reddito di cittadinanza, attiviamo le politiche attive - come stiamo facendo con il programma GOL, di cui parlava il Ministro - ma, vi prego, colleghi, senza mai banalizzare sulla povertà e sui poveri, perché in questo Paese i poveri ci sono, vivono male e vivono anche meno, come dicono gli ultimi dati relativi alla speranza di vita nel Paese .