Grazie Presidente. Come Partito Democratico, siamo molto contenti di celebrare questo momento - parlo proprio in forma solenne - di un provvedimento che significa tantissimo per il nostro Paese. Siamo qui perché intendiamo sottolineare la rilevanza che ha questa legge per il sistema Italia, ma mi duole partire da alcune amare considerazioni, per poi fare una conclusione piena di speranza e di fiducia nel futuro. Noi siamo in ritardo di cinquant'anni con questa legge, 50 anni di assenza o di interventi fatti con un rango giuridico inferiore rispetto a quanto è stato fatto negli altri Paesi. Le Fachschulen tedesche sono state fondate nel 1970, sono state fondate, da una parte, perché c'era l'interesse di creare un sistema professionalizzante rispondente all'innovazione tecnologica, perché l'innovazione tecnologica è un flusso in corso, forse, anche da più di un secolo o due, ma, negli anni Settanta, si è ritenuto di costruire un canale che rispondesse in maniera più appropriata all'innovazione tecnologica del tempo. Ma non solo, perché nell'apertura universitaria, nell'accesso universitario, cioè quello che negli anni Settanta veniva indicato come il passaggio epocale da un'università dell'élite a un'università di massa, il sistema professionalizzante significava tantissimo, insieme a quello accademico, era il secondo canale che assicurava accesso alla stragrande maggioranza della popolazione. Siamo, quindi, in ritardo di 50 anni e, finalmente, oggi - dicevo prima -, in forma solenne, possiamo celebrare, siamo a un passo dal riconoscimento di legge, cioè esiste finalmente in Italia - finalmente, ripeto - un canale terziario professionalizzante riconosciuto, parallelo a quello universitario.
Dicevo la Germania, ma tutti i Paesi europei, da decenni, possiedono un sistema di formazione terziaria. La Germania ha un sistema speciale, triennale e, poi, anche quinquennale, universitario parallelo; altri, come la Francia, hanno seguito i bienni. Noi, se devo dire la verità, siamo più su questo orizzonte, su un orizzonte francese, abbiamo un biennio. Io mi auguro, però, che questo biennio non rimanga isolato, non sia collegato, poi, ad ulteriori finestre verso il sistema universitario. Questo è importante, perché ci dobbiamo ricordare che in Europa, tra i giovani che hanno un titolo di studio superiore terziario, il 25 per cento ce l'ha all'interno di un sistema professionalizzante terziario; quindi, anche il basso tasso di laureati che abbiamo in Italia è legato anche all'assenza di questo canale, che viene conteggiato, invece, negli altri Stati europei. Senza contare il fatto che, non essendoci un canale del genere, diventa poco attrattivo per i diplomati - questo è importante - e, in ultima analisi, rende ancora più complesso il recupero dell'abbandono universitario, dei famosi drop out dei ragazzi che impattano con il sistema dell'istruzione accademica, mentre potrebbero essere recuperati all'interno di un canale professionalizzante e, comunque, portati a un livello di istruzione più elevato.
Perché in Italia abbiamo resistito tanto? Abbiamo prodotto con effetti anche dannosi, non solo per il tasso di frequenza degli studenti, non solo per la questione dell'abbandono scolastico, ma anche per la produttività delle imprese. Cioè, noi abbiamo vissuto gli ultimi 20 anni con un'invasione tecnologica senza precedenti, un impatto tecnologico enorme, che ha cambiato non solo il sistema produttivo, come accadeva nel passato, ma, addirittura, la nostra vita. Abbiamo avuto una trasformazione tecnologica senza precedenti e, a fronte di questo, al contrario di quanto hanno fatto tutti i Paesi del mondo, noi abbiamo screditato ogni percorso di sapere tecnologico e tecnico. Addirittura, abbiamo fatto passare la formazione tecnica come se fosse scollegata anche dalla tecnologia, relegandola a un livello molto inferiore. Questa veramente è una domanda che ci dobbiamo porre: cosa c'è nel nostro Paese che ci impedisce di capire il valore di quest'ambito? Perché scolleghiamo la tecnologia dalla tecnica?
Voglio solo segnalare qui - è un'occasione per dirlo - che sono decenni che noi, in alcuni casi malamente, facciamo riferimento al cosiddetto know-how, il famoso sapere che passa non per via orale, lo usiamo dappertutto il know-how. Invece è esattamente questo il know-how: un sapere tacito che si passa con l'esperienza diretta, che è anche affiancato, però, da momenti teorici. Ecco, questi sono gli istituti tecnici superiori. Perché citiamo questo termine ovunque, in qualsiasi ambito e, però, consideriamo, nel campo istruttivo, questo tipo di percorso basato su teoria e know-how, un percorso inferiore? Questa è una domanda culturale che noi dobbiamo porci, è un problema culturale.
In questo anno e mezzo - e qui voglio ringraziare i miei colleghi, i colleghi del mio partito, che mi hanno sostenuto moltissimo per il lavoro fatto -, mi sono reso conto che, in questo Paese, noi abbiamo un problema enorme su questo tema. Ancora oggi, non siamo riusciti a fare la distinzione tra un diplomato ITS e un operaio. Io sento in giro cose tremende: fare gli ITS per le gelaterie, fare gli ITS per gli autisti, ma non è così. Noi stiamo producendo un canale decisivo per il nostro sistema produttivo. E lo voglio dire, smettiamola una volta per tutte di legare la competenza allo sfruttamento in questo Paese, perché la competenza è un diritto delle persone che fanno sacrifici per studiare. Perché abbiamo screditato la competenza? Perché, soprattutto in quest'ambito?
Allora, noi dobbiamo sapere che il famoso know-how, quello che viene detto spesso, anche malamente, in Italia è fondamentale per affrontare una trasformazione tecnologica. Sappiate che, per esempio, nel sistema a conoscenza intensa - per non usare termini inglesi -, negli ultimi 10 anni, l'arruolamento, l'assunzione, per essere più precisi, delle persone con un'alta specializzazione tipica ITS, professionale terziaria, è cresciuta del 3 per cento in Europa e dello 0,5 in Italia. Noi abbiamo creato un corto circuito: non formiamo personale specializzato e le imprese non investono in tecnologie avanzate. Questo è il tema - come dimostra la Banca d'Italia - della bassa produttività in Italia. E, allora, guarda un po': il tema, ormai anche questo decennale, della bassa produttività in Italia da dove passa? Passa dalle persone. Abbiamo parlato di tutto, investimenti in tecnologie, continuiamo a comprare macchine, continuiamo a comprare tecnologie e non sappiamo, invece, che la chiave - l'abbiamo detto a Lisbona, ma abbiamo mancato quell'appuntamento - è la conoscenza. Ma la conoscenza, in questo Paese, dobbiamo smettere di relegarla all'ambito scientifico, dove, fra l'altro, non siamo, neanche lì, tanto bravi.
Come pensiamo di andare avanti in questo Paese? Costruendo muri di cristallo tra diversi saperi, tra ambiti scolastici, stabilendo anche i livelli di classe sociale? No, non è possibile. Noi dobbiamo fare un discorso in cui finalmente ci rendiamo conto di cosa parliamo quando parliamo di formazione terziaria, ci rendiamo conto di quanto questa formazione interessa per la crescita del Paese e, una volta per tutte diciamolo - perché questo è un Paese a mobilità sociale bloccata - lì è la chiave della mobilità sociale, l'accesso a questi percorsi. Noi lo dobbiamo ai giovani italiani, alle imprese, lo dobbiamo a tutto il Paese questo sforzo. Per questo il mio tono è così enfatico e solenne: noi non stiamo parlando della scuola professionale, non stiamo parlando dei ragazzi che non riescono a studiare, che, in qualche modo, dobbiamo sistemare. Io chiedo, in questo Parlamento, che si smetta di intendere, quando si parla di ITS, di intendere questo. Non è così, anche se abbiamo un problema enorme, perché abbiamo la scuola professionale solo in alcune regioni d'Italia, e qui ci sarebbe tutto un altro discorso da fare.
Oggi vogliamo dire, con questa legge, una volta per tutte, che, quando parliamo di ITS, parliamo di alta competenza, di giovani con carriere brillanti, di creatività, di conoscenza, di dignità del lavoro. Bisogna che in questo Paese ci scrolliamo di dosso dei pregiudizi insopportabili per un Paese che vuole crescere, vuole parlare di avanzamento tecnologico e vuole parlare di avanzamento sociale. Lo dobbiamo fare; a proposito di questa legge - di cui oggi non ho intenzione di parlare, perché è già stata ben descritta dai miei colleghi che mi hanno preceduto - ho voluto, come dire, cercare di trasmettere lo spirito di quello che abbiamo fatto e su cui ci siamo impegnati moltissimo. Concludo, dicendo: guardate, questa legge, all'articolo 1, cita il PNRR. Non so quante leggi ci siano in circolazione con una citazione così importante. Noi questo l'abbiamo chiesto, abbiamo detto: colleghiamo lo sviluppo di questo settore alla trasformazione e innovazione europea, digitale e green. Se noi non facciamo gli ITS, non li facciamo bene e non li facciamo crescere, noi siamo fuori dall'innovazione tecnologica del PNRR. Questa è la posta in gioco e questo è il motivo per cui poniamo un'enfasi così importante su questo settore.