A.C. 5-A
Grazie, Presidente. Grazie anche per questa splendida notizia, che festeggiamo con gioia. Lo sport o, meglio, la cultura del movimento, definizione trasversale, indipendente da età, talento, status sociale o disponibilità economica, è, come dimostrato dalla letteratura scientifica, uno dei principali generatori di risparmio per il Servizio sanitario nazionale e non solo in termini di prevenzione. Quella stessa letteratura scientifica dimostra, infatti, che l'attività fisica è un vero e proprio farmaco, capace di esercitare una forma di controllo e di contenimento di patologie come il diabete, le malattie cardiovascolari, forme tumorali, disturbi dell'umore o dell'obesità, e un terzo delle persone fortemente sovrappeso od obese sono minori.
Lo sport e la cultura del movimento sono un'agenzia educativa capace di insegnare valori come inclusione, solidarietà e rispetto e sono capaci di formare cittadini e cittadine più consapevoli, più rispettosi del proprio corpo, della propria salute e dell'ambiente. Lo sport e la cultura del movimento sono un luogo di ricerca e di investimenti in tecnologia o in trasformazione del paesaggio delle nostre città. Lo sport e la cultura del movimento sono lo strumento che permette a migliaia di persone diversamente abili di trovare la propria dimensione attiva nella nostra società, con benefici di salute, inclusione e socializzazione che sono evidenti. Insomma, il mondo dello sport è un generatore di benessere, di senso civico, di qualità della vita e anche - sì! - di economia. Lo sport e la cultura del movimento hanno un impatto sull'economia che è stato più volte misurato. Una recente ricerca dell'Istituto per il Credito Sportivo, presentata nel luglio scorso, quando il Ministro per lo Sport Andrea Abodi ne era presidente, ha identificato in 24,5 miliardi di euro, equivalenti all'1,37 per cento del prodotto interno lordo, il contributo dello sport al Paese nell'anno 2019, ovvero l'ultimo anno di un mondo che per lo sport non esiste più.
Queste premesse, certamente sentite tante volte in quest'Aula, sono necessarie per esprimere con chiarezza la preoccupazione mia e del Partito Democratico per l'insufficiente intervento di sostegno al mondo dello sport contenuto nel “decreto Aiuti-ter”.
La somma di 50 milioni, prevista nell'articolo 7 quale contributo a fondo perduto per associazioni e società sportive dilettantistiche, federazioni, enti di promozione sportiva e gestori di impianti sportivi e natatori, è drammaticamente insufficiente. Lo dico consapevole delle difficoltà di gestione del passaggio di consegne rispetto a questo decreto, che arriva, però, dopo un periodo molto lungo di difficoltà per il comparto sportivo e dopo un altro brutto segnale: quel PNRR, che poteva essere un'occasione imperdibile per il rilancio del mondo dello sport, che, invece, ha destinato soltanto 700 milioni - oltre a 300 milioni per l'impiantistica scolastica - che è una cifra non congruente alla percentuale di impatto sul PIL che ho citato prima.
Ai tempi non ero seduto in questo Parlamento, ma ero già responsabile sport del Partito Democratico e non ho mai capito perché l'allora sottosegretaria con delega allo sport Valentina Vezzali, nonostante le nostre sollecitazioni e forse a causa di un inadeguato confronto con il mondo sportivo e con le forze parlamentari, abbia potuto accettare che le risorse destinate allo sport del PNRR fossero circa lo 0,45 per cento del totale, a fronte di quell'1,37 per cento di impatto sul PIL che ho citato. Per capire quell'incongruenza bastava una calcolatrice. Facilmente si sarebbe capito che sarebbe stato giusto destinare allo sport almeno il triplo di quello che era stato deciso. Il Partito Democratico lo chiedeva allora e lo continua a chiedere oggi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
Dunque, PNRR, ristori e decreti di aiuti, compreso quello che siamo chiamati a votare oggi, non sono sufficienti per aiutare un comparto in enorme difficoltà. Lo dico con amarezza e senza ambiguità, anche per chiarire una schizofrenia che va compresa. In un momento storico che ha visto i nostri atleti e atlete azzurri trionfare in tantissime discipline, dai Giochi olimpici ai Giochi paralimpici, dai Mondiali agli Europei, lo sport di base è nel momento più drammatico della sua storia. Per questo il Partito Democratico ha presentato un emendamento per aumentare la cifra destinata all'articolo 7, emendamento che non è stato recepito. Ne prendiamo atto, ricordando, ancora una volta, lo stato agonizzante in cui versano le società di gestione degli impianti sportivi e le società di gestione degli impianti natatori. Le piscine, peraltro, hanno un'ulteriore specificità che deve essere chiara: in percentuale superiore al 95 per cento sono impianti di proprietà pubblica. Il numero di impianti natatori che stanno chiudendo è enorme e rappresenta un problema di priorità assoluta non solo per le società di gestione, che stanno portando i libri in tribunale, e per i loro lavoratori, ma anche per le casse dei comuni e delle città, che di quegli impianti sono quasi sempre proprietari.
Oltre a un sostegno più robusto, occorre oggi pensare a un intervento strutturale che passi attraverso la proposta di linee guida nazionali per supportare e riscrivere, viste le incredibilmente diverse condizioni di mercato, i rapporti concessivi relativi ai contratti esistenti di gestione degli impianti comunali. Lo chiedono i gestori, lo chiedono le amministrazioni comunali, lo chiedono gli utenti di quegli impianti.
Il Partito Democratico ha presentato altri due emendamenti anch'essi non recepiti, che riguardano un comparto che, invece, è stato completamente dimenticato dall'Aiuti ter, cioè quello degli impianti di risalita a fune. In Italia sono presenti 1.500 impianti di risalita, con una forza di lavoro di 15 mila unità fra collaboratori fissi e stagionali. Il fatturato del settore è pari a 1,2 miliardi di euro e l'indotto collegato, a favore del sistema socioeconomico territoriale, è stimato da sette a dieci volte superiore a quel fatturato. L'importanza delle aziende funiviarie, infatti, è proprio nel peso che hanno per la filiera turistica a loro collegata. Insomma, se gli impianti si spengono si spegne l'intera economia della montagna. Molte di queste aziende concentrano il loro fatturato nei soli quattro mesi invernali e permettono il lavoro di maestri di sci, affitta sci, alberghi, baite, rifugi, negozianti e servizi turistici collegati. Normalmente, i costi energetici rappresentano il 7 per cento dei costi di bilancio, mentre con gli attuali prezzi la percentuale è diventata del 30 per cento.
Questo cosa significa? Che una parte degli operatori non potrà aprire e altri si troveranno in estrema difficoltà e - lo ripetiamo - l'intera economia montana si spegnerà, anche perché il turismo sportivo invernale italiano è in forte concorrenza con le vicine regioni alpine europee e la clientela internazionale, in assenza di certezza sulla programmazione delle aperture delle località sciistiche italiane, si rivolgerà ai vicini mercati di Francia, Austria e Svizzera. I tempi per un intervento di sostegno sono strettissimi. Infatti, proprio in queste settimane le stazioni sciistiche devono produrre la neve programmata indispensabile all'apertura degli impianti di risalita e anche la produzione della neve dipende fortemente dai costi dell'energia.
Ma c'è un paradosso: il paradosso è che il settore degli impianti di risalita non è compreso nelle imprese energivore, così come definite dalle linee-guida della Commissione europea, nonostante nei mesi di esercizio i consumi energetici siano enormi, tanto per far funzionare gli impianti, quanto appunto per produrre la neve e sono del tutto assimilabili a quelli delle aziende energivore. Non c'è traccia di aiuti nel decreto che votiamo oggi, a pochi giorni dall'apertura di quegli impianti, i cui gestori stanno più pensando al giorno in cui saranno costretti a chiudere che a quello in cui accoglieranno i primi sciatori e turisti. Vi chiedo allora di ricordarvelo nella scrittura della legge di bilancio, per evitare il collasso di questo ecosistema sportivo, turistico ed economico, considerando due distinte tipologie di sostegno, come era proposto nei nostri emendamenti: una per sostenere i rincari energetici, almeno durante i prossimi quattro mesi invernali, con intensità equivalente a quella prevista per le aziende riconosciute energivore e un'altra di sostegno ai costi per la manutenzione ordinaria degli impianti e per la messa in sicurezza dei comprensori, in quanto le società di gestione degli impianti, già gravate dalla crisi COVID e dai maggiori costi dell'energia, abbiano la possibilità di avere risorse per mantenere gli elevati standard di sicurezza richiesti dal settore. Segnalo in questo contesto, quello della sicurezza, anche la necessità di correggere il decreto legislativo n. 40 del 2021 sulla sicurezza sulle piste da sci, che presenta diverse criticità, necessita di chiarimenti e interpretazioni autentiche, tutto ciò a un mese dall'inizio della stagione. Dopo la pandemia, l'impatto del caro energia ha determinato la frantumazione di un modello sportivo che oggi non esiste più: che si tratti di sport agonistico, di dilettantismo, di impianti sportivi outdoor o indoor, di palazzi del ghiaccio, di impianti natatori o di impianti di risalita, il modello di sport che abbiamo conosciuto per più di 70 anni, delegato dalla cosa pubblica e fondato sul contributo decisivo del denaro privato, principalmente delle famiglie, non esiste più. Quel modello si è polverizzato: nulla è più come prima e nulla sarà più come prima. Questo è il momento della discontinuità, è il momento di cambiare un paradigma, iniziando con un fatto tutt'altro che simbolico: la ripresa dell'iter per arrivare alla modifica dell'articolo 33 della Costituzione in materia di attività sportiva, con l'inserimento del comma: “La Repubblica riconosce il valore educativo sociale e di promozione del benessere psicofisico dell'attività sportiva in tutte le sue forme”. Voi, colleghi della passata legislatura, c'eravate quasi riusciti, quasi, perché l'iter, a seguito della fine anticipata della XVIII legislatura, si è interrotto a pochi giorni dalla quarta e ultima necessaria lettura qui alla Camera. Il 13 ottobre, primo giorno di questa XIX legislatura, ho depositato una proposta di legge, riproponendo esattamente lo stesso testo. Saremo chiamati, onorevoli colleghi, a completare questo passo che la storia impone, che genererà un vero diritto allo sport, tutelato e reso accessibile a tutti e a tutte da politiche pubbliche. Mi auguro fortemente che questo Parlamento possa esprimersi in maniera positiva e soprattutto all'unanimità. Chiudo su due temi, Presidente, di cui molto si è parlato in questi giorni. Il primo è la brutta vicenda che ha coinvolto la Federazione Ginnastica d'Italia, che ha avviato un'indagine interna, della quale attendiamo con urgenza e con altissimo livello di attenzione l'esito. Le aberranti pressioni psicologiche, denunciate da alcune atleti, in riferimento all'alimentazione e alla loro composizione corporea, confermate ancora ieri da una campionessa come Vanessa Ferrari, che ha dichiarato di avere vissuto sulla sua pelle quel problema, accende un enorme riflettore su un'altra enorme responsabilità che i tecnici, soprattutto quelli che si occupano dei settori giovanili, hanno nei confronti dei loro giovani atleti. Così, fra le tante necessarie discontinuità per costruire un nuovo modello post pandemico, è necessario ed è irrimandabile ricordare - come dimostrano i fatti che ho citato - che lo sport è anche un lavoro, che ha bisogno di essere fatto bene e che richiede dignità. Centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici del mondo dello sport sono, da quando esiste la Repubblica, fantasmi, persone senza tutele, senza diritti, senza copertura assicurativa, senza un euro versato all'INPS e senza la possibilità di accendere un mutuo se vogliono comprarsi casa e mettere su famiglia. Il decreto legislativo n. 36 del 2021, pubblicato il 2 novembre in Gazzetta Ufficiale, quindi diventato legge dello Stato, ha finalmente normato il lavoro sportivo, superando una serie infinita di ingiustizia e disparità di status, di genere, di diritti e di tutele di centinaia di migliaia di lavoratori sportivi. Tira, Presidente però, una brutta aria di rinvio per questa riforma e qualcuno - usando una metafora sportiva - vuole calciare la palla in tribuna. In un momento di grande difficoltà, io chiedo soluzioni e non rinvii perché, laddove non arriverà la legge, arriverà la giurisprudenza: ci sono 37 sentenze della Corte di Cassazione, espresse tutte in modo univoco che rivendicano la necessità di riconoscere i lavoratori e le lavoratrici del mondo dello sport.