Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
nei giorni scorsi, il Ministro interrogato ha incontrato il Presidente egiziano Al-Sisi e ha riferito, via social, riguardo il colloquio che: «ho chiesto e ricevuto rassicurazioni per forte collaborazione sui casi Regeni e Zaki». Il portavoce della Presidenza egiziana ha dichiarato che: «l'incontro ha testimoniato la volontà e l'interesse reciproco di sviluppare le relazioni bilaterali tra i due Paesi in tutti i campi nel prossimo periodo»;
a metà novembre 2022, la Presidente del Consiglio dei ministri Meloni aveva avuto un incontro con il Presidente Al-Sisi e aveva ribadito che in Italia c'è la massima attenzione per il caso Regeni e che «ci si aspetti collaborazione»;
l'Egitto si è sempre rifiutato di prestare la minima collaborazione per processare gli indagati del delitto Regeni;
difatti, un funzionario del Ministero della giustizia, riferendo in tribunale nell'ambito del processo Regeni, ha confermato di «non aver ricevuto nessuna risposta dalle autorità egiziane», che per gli egiziani nessun processo e nessuna collaborazione sono possibili e che in Egitto non si potrà più aprire un procedimento per il caso Regeni nei loro confronti, per il principio del «ne bis in idem»;
il processo Regeni in Italia è fermo da quasi due anni per una questione procedurale, in quanto non è possibile notificare gli atti agli imputati. Ma la notifica è impossibile senza la collaborazione dell'Egitto, che non consegna gli indirizzi all'Italia. A nulla sono valse rogatorie internazionali, né le pressioni politiche del nostro Governo. L'ex Ministra della giustizia, Cartabia, si era offerta di andare personalmente al Cairo. Ma l'Egitto non si è degnato nemmeno di rispondere. Per questo motivo, parrebbe anche che l'ex Presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi aveva maturato la decisione di non partecipare alla Cop26. Draghi aveva compiuto anche un altro atto dal valore fortemente simbolico: la costituzione di parte civile della Presidenza del Consiglio dei ministri nel procedimento contro i quattro agenti egiziani;
un'ultima via legale ancora esperibile potrebbe essere quella dell'arbitrato internazionale, facendo ricorso agli strumenti previsti dalla Convenzione internazionale contro la tortura, di cui Italia e Egitto sono entrambi firmatari, e citando, dunque, l'Egitto davanti a un giudice per aver violato la Convenzione –:
che tipo di «rassicurazioni per una forte collaborazione sul caso Regeni» abbia ricevuto il Ministro interrogato dal Presidente egiziano e se il Governo intenderà avvalersi dei meccanismi previsti dalle Nazioni Unite e citare l'Egitto per aver violato la Convenzione internazionale contro la tortura.
Seduta del 25 gennaio 2023
Illustrazione di Debora Serracchiani, risposta del Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, replica di Lia Quartapelle Procopio
DEBORA SERRACCHIANI, Grazie, Presidente. Ministro, nei giorni scorsi, lei ha incontrato il presidente al-Sisi e, dopo questo incontro, abbiamo saputo che ha ricevuto rassicurazioni, così abbiamo capito; allo stesso modo, anche la Presidenza egiziana ha detto che è pronta a una collaborazione in tutti i campi.
Sappiamo che questo impegno è stato assunto dal Presidente al-Sisi anche con la Presidente del Consiglio dei ministri Meloni che si aspetta che ci sia questa collaborazione. Sappiamo però che il processo che riguarda l'omicidio di Giulio Regeni è, purtroppo, fermo, perché mancano alcuni dati fondamentali, cioè gli indirizzi delle persone a cui inviare gli atti. Nonostante tutto, finora, il Governo egiziano assolutamente non ha prestato alcuna collaborazione, nonostante le innumerevoli richieste e considerata anche la posizione del Governo Draghi che, in precedenza, non solo, si è costituito parte civile nel processo, ma pare che avesse dato anche disposizione di non partecipare alla COP26.
Ora, di fronte a tutto questo e anche vista la possibilità di altri strumenti legali, come ricorrere ad esempio agli strumenti offerti dalla Convenzione internazionale contro la tortura, le chiediamo, Ministro, quali siano le rassicurazioni che ha ricevuto e se intenda procedere, almeno utilizzando la Convenzione internazionale contro la tortura.
ANTONIO TAJANI, Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Innanzitutto, proprio oggi voglio riconfermare la mia vicinanza e quella del Governo alla famiglia Regeni che ha il diritto che si faccia luce su ciò che è accaduto e ha diritto che i responsabili dell'orribile omicidio vengano processati e puniti.
La mia visita in Egitto deriva dall'importanza che il dialogo con quel Paese riveste per l'Italia e per il nostro interesse nazionale; penso al dossier immigratorio, alla lotta al terrorismo, all'energia, alle crisi regionali, prima fra tutte la Libia, tutti fattori cruciali per la sicurezza del nostro Paese. Questo è l'obiettivo che anima la nostra strategia nel Mediterraneo e coinvolge altri settori importanti, quali la cooperazione allo sviluppo e il dialogo interreligioso. Siamo convinti che con Il Cairo sia opportuno mantenere canali di comunicazione e collaborazione, come fanno tutti i nostri principali alleati.
Questa considerazione del ruolo internazionale dell'Egitto non farà certo venir meno l'impegno corale di tutto il Governo nel continuare ad esigere la verità sulla barbara uccisione di Giulio Regeni avvenuta ormai sette anni fa.
Il Presidente al-Sisi ha assicurato che l'Egitto farà di tutto per eliminare gli ostacoli che rimangono e che rendono difficile il dialogo con l'Italia. Lo stesso mi ha ribadito il Ministro degli Esteri, Shoukry. Con lui avevo già affrontato l'argomento nel corso dei Dialoghi Mediterranei di dicembre. Ho intravisto una disponibilità diversa rispetto agli anni passati da parte egiziana, anche se il processo in Italia attraversa una fase di stallo. Ciò non esclude, anzi richiede di continuare a monitorare attentamente quanto l'Egitto farà in futuro su una vicenda che ci sta profondamente a cuore. Vedremo se alle parole seguiranno i fatti.
Occorre non disperdere i risultati raggiunti dalla magistratura e dagli investigatori italiani, sostenuti dalle pressioni a livello diplomatico che hanno permesso di chiudere le indagini preliminari. Abbiamo bisogno di una più fattiva collaborazione de Il Cairo, a cominciare dalla notifica degli atti di citazione agli agenti su cui gravano evidenze probatorie. Occorre punire chi ha torturato e ucciso un giovane italiano impegnato a studiare in Egitto. Per provare a raggiungere questo obiettivo non possiamo, però, prescindere dall'intrattenere con le autorità egiziane un dialogo diverso da quello esclusivamente giudiziario. Siamo aperti al dialogo, perché fare altrimenti vorrebbe dire abbandonare Giulio Regeni e la nostra richiesta di verità. Non c'è giustizia senza verità. Lo diciamo più forte oggi, nell'anniversario della scomparsa di Giulio dalle strade de Il Cairo. Continueremo a fare pressioni. Il Governo, anche con il contributo prezioso del Ministro della Giustizia, valuterà attentamente l'efficacia di tutte le vie percorribili, al fine del raggiungimento della verità.
Nei miei colloqui ho affrontato anche il caso di Patrick Zaki: sulla vicenda dello studente egiziano dell'università di Bologna continueremo a lavorare con discrezione e determinazione. Concludo. Nel dialogo con un attore fondamentale per la stabilità del Mediterraneo e per i nostri interessi nazionali, non rinunceremo mai a promuovere la tutela dello Stato di diritto e dei valori di libertà su cui si fonda la nostra democrazia.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO, Grazie, Ministro. Noi non siamo soddisfatti della sua risposta. Non sappiamo bene che cosa lei abbia intravisto nel colloquio che ha avuto con le autorità egiziane. Quello che noi abbiamo visto in questi 7 lunghi, dolorosi, drammatici anni è stato il fatto che gli ufficiali egiziani che hanno affiancato il lavoro dei nostri investigatori si sono ritrovati gli indiziati del processo. Abbiamo visto un depistaggio che è costato la morte di 5 cittadini egiziani che non c'entravano nulla con il caso. Abbiamo visto molte versioni di comodo, alcune ingiuriose nei confronti della memoria di Giulio. Abbiamo visto tutte le rogatorie a cui non è stata data nessuna risposta. In questo quadro, ci dispiace, non ci possiamo limitare ancora una volta a far sì che i nostri Ministeri e le nostre autorità ricevano delle parole vuote da parte degli egiziani. Le prove raccolte mettono sotto accusa il sistema egiziano. Finora l'Egitto non ha collaborato. Accettare come concrete le ennesime profferte di collaborazione che non finiscono in nessun fatto reale, vuol dire, da un lato, velare di ipocrisia le nostre relazioni con l'Egitto, e, dall'altro lato, accettare di fatto che non ci sarà mai giustizia. E quindi no, per noi non c'è collaborazione, non ci bastano le parole egiziane, e vorremmo vedere il Governo di questo Paese che difende l'onore e la memoria di un ragazzo, l'onore e la memoria di un cittadino italiano ucciso all'estero. Ministro, non la butti sul Ministro Nordio, la scelta del ricorso alla Convenzione contro la tortura del 1953 è del Governo tutto. Dovete prendere questa decisione, ne va dell'onore del nostro Paese. E non dimenticate Patrick Zaki. Non bastano le parole egiziane, sono 7 anni di parole, e solo quando l'Italia ha fatto molta pressione, sia nel caso di Zaki che nel caso di Regeni, abbiamo ottenuto pochissimi millimetrici passi in avanti. Se lei accetta quel tipo di linguaggio, fa un torto all'amore di un ragazzo, all'affetto della sua famiglia, ma soprattutto all'immagine del nostro Paese, che non è in grado e non vuole difendere la verità e la giustizia su un caso ignominioso di omicidio e di tortura avvenuto in Egitto.