Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 27 Febbraio, 2023
Nome: 
Vinicio Giuseppe Guido Peluffo

A.C. 908

Grazie Presidente, rappresentante del Governo e colleghi deputati. Ho chiesto di intervenire in discussione generale per proporre innanzitutto, Presidente, rispetto a questo provvedimento una considerazione di carattere più ampio e approfitto anche della sua presenza in Aula. La considerazione che voglio svolgere in termini preliminari attiene alla gestione del Governo nella fase di conversione parlamentare dei decreti-legge. Per quanto riguarda l'attività della Commissione di cui faccio parte, Presidente, la X Commissione (Attività produttive) - siamo al terzo decreto assegnato, prima il cosiddetto decreto Lukoil, poi il decreto Carburanti ed il presente decreto, vi è stato un crescendo preoccupante di limitazioni della discussione e del confronto parlamentare. Questo, Presidente, a fronte di un atteggiamento del Governo che sta, di fatto, azzerando la possibilità stessa di intervenire sul testo in fase di conversione parlamentare. Con questo decreto, tra l'altro, siamo arrivati al paradosso che mentre il decreto in oggetto non era ancora stato votato al Senato, quindi, non era ancora stato trasferito a questo ramo del Parlamento, in Commissione già venivano fissate le date di scadenza per la presentazione degli emendamenti su un testo che non era ancora stato assegnato. Lo definisco un paradosso, ma credo, Presidente, che questo sia un problema che non riguardi soltanto l'opposizione, ma riguardi anche i colleghi della maggioranza, ossia la possibilità stessa di esercitare la propria funzione parlamentare, perché, come ho detto, sono stati fissati i tempi di discussione di un provvedimento che non era ancora stato neppure trasmesso a questo ramo del Parlamento.

A ciò si aggiunga che anche la discussione di questa mattina - perché noi alla fine gli emendamenti li abbiamo discussi e votati, Presidente, questa mattina, quindi, a ridosso della discussione in Aula - si è svolta con il consueto, ecco, mi viene da definirlo così, rincorrersi di voci rispetto a una possibile questione di fiducia che verrebbe ancora una volta posta dal Governo anche su questo provvedimento. Peraltro, ho visto una dichiarazione del Ministro Urso dello scorso 23 febbraio, che diceva che, una volta approvato al Senato, nell'approdare alla Camera, questo decreto non avrebbe ricevuto ulteriori modifiche. Per cui, da questo punto di vista, potremmo dire che il Governo sta imponendo una sorta di monocameralismo di fatto che non è attualmente ancora previsto dalla Costituzione, ma quello che io voglio sottolineare è che l'approccio sistematico della maggioranza ai decreti di Governo, ai decreti-legge e alla gestione della fase di conversione impedisce al Parlamento di fare il proprio lavoro, sicuramente per quanto riguarda i componenti dell'opposizione, ma, come dicevo prima, a mio giudizio dovrebbe essere un tema che dovrebbero porsi anche i colleghi della maggioranza.

Presidente, se si trattasse solo di questo, la questione potrebbe rimanere anche confinata alla discussione in queste Aule, ma c'è di più, perché anche in quest'occasione si è riproposta, da parte del Governo, una totale chiusura alle istanze provenienti dalla società, dalle rappresentanze territoriali, dalle parti sociali. Ciò è stato clamoroso con il decreto Carburanti quando, a fronte di audizioni nelle quali pressoché tutti gli auditi avevano indicato le contraddizioni e i rischi del prezzo medio regionale, il Governo aveva comunque tirato dritto, prendendo in giro un intero settore. La stessa cosa è accaduta anche questa volta, con una chiusura totale alle voci discordanti emerse nelle audizioni in Commissione al Senato. Faccio riferimento all'altro ramo del Parlamento perché qui, Presidente, non è stato neanche possibile immaginare alcune audizioni, ascoltare delle voci per poter predisporre il lavoro di questo ramo del Parlamento sul provvedimento.

Venendo al testo, la prima constatazione che intendo svolgere riguarda quella che io penso che non si possa altrimenti definire se non la disarmante inadeguatezza di questo provvedimento rispetto alla situazione che intende affrontare, perché la vicenda dell'ex Ilva si trascina, Presidente, di fatto, ormai da undici anni ed oggi riguarda la gravissima situazione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, tale da mettere in discussione la stessa continuità produttiva di quello che continua a essere il più grande polo siderurgico d'Europa.

Di fronte a questa prospettiva ci troviamo a discutere di un provvedimento che non si preoccupa di dare respiro, in termini di politica industriale, all'intero settore, visto che ogni volta che parliamo dello stabilimento dell'ex Ilva di Taranto stiamo parlando, di fatto, della larga parte del settore siderurgico del nostro Paese. Si tratta di una prospettiva che deve essere compatibile socialmente ed ambientalmente, ma questo provvedimento, di fatto, interviene limitandosi ad un'iniezione di denaro pubblico senza, peraltro - e questo credo che costituisca uno dei problemi principali -, destinarlo ad obiettivi chiaramente individuati. Si tratta di una cifra considerevole, parliamo di 680 milioni di euro, che permetterà però, a malapena, di pagare i debiti più importanti accumulati in questo periodo da Acciaierie d'Italia, a partire dalla bolletta Snam di 208 milioni di euro, che è necessario pagare per evitare il distacco della fornitura e l'interruzione della produzione, a cui si aggiunge l'altra bolletta, quella che ormai è intorno ai 300 milioni di arretrati, con ENI. Certo, nel 2022, il gruppo ha dovuto fare i conti con una bolletta energetica pari a 1,5 miliardi, scesa poi con il meccanismo del tax credit a 1,1 miliardi di euro, ma in ogni caso straordinariamente più alta rispetto ai 200 milioni pagati dal gruppo nel 2019 e nel 2020.

A questa cifra stanziata dal Governo si aggiungono poi i fondi destinati dal privato, dal gruppo ArcelorMittal che portano ad un totale di 750 milioni di euro, cifra che dovrebbe avere l'obiettivo di far tornare l'ex Ilva a una produzione annuale di 4 milioni di tonnellate, che è il livello di produzione dell'acciaio annuo del 2021. In realtà, questo intervento non ha la forza di attivare questo piano di rilancio; per quello serve un investimento di respiro maggiore, almeno il miliardo di euro che il Governo Meloni ha ereditato dal Governo Draghi, il cui utilizzo, però, è subordinato all'aumento del capitale pubblico in Acciaierie d'Italia.

Siamo nella situazione per la quale se lo Stato non sale nella sua quota di maggioranza il rilancio non parte; questo è uno dei nodi che pone questo provvedimento, che non risolve; continua a essere una delle questioni aperte. I 680 milioni di euro di fondi pubblici serviranno, quindi, a rimettere almeno in parte in carreggiata un'azienda che senza soldi in cassa stava letteralmente deragliando, tanto da non poter pagare le materie prime per la produzione, l'approvvigionamento del gas per gli impianti e i fornitori. Ricordiamo che quando parliamo dell'indotto dello stabilimento di Taranto, dei suoi fornitori, parliamo in larga parte di aziende che si trovano in una situazione di mono committenza con l'azienda, quindi, in una situazione particolarmente delicata, precaria e complicata.

Peraltro, sulla situazione drammatica di immobilismo nella quale si trova l'azienda ho visto che il presidente di Acciaierie d'Italia, Franco Bernabè, che è un manager di lunga esperienza, in audizione al Senato ha parlato di una situazione più complessa di tutte quelle vissute in precedenza e temo che ci sia da credergli, anche in ragione della sua esperienza decennale di manager, visto che la produzione dello stabilimento di Taranto è crollata a tre milioni di tonnellate su base annua, mentre - è giusto sottolinearlo, Presidente -, da altre parti, in Europa e non solo, la produzione negli stabilimenti dello stesso gruppo ArcelorMittal non ha avuto queste contrazioni, anzi. Tutto questo ha un effetto immediato e continuo rispetto ai livelli occupazionali, con la cassa integrazione che attualmente riguarda più di 3.000 addetti.

Tuttavia, vorrei, Presidente, soffermarmi su un aspetto molto delicato, che non è adeguatamente affrontato dal provvedimento e che riguarda la questione ambientale. Certo, la situazione non è paragonabile, e per fortuna, a dieci anni fa, questo non può e non deve bastare, ma è sconcertante la totale assenza di attenzione da parte del Governo rispetto ai temi dell'ambiente e della salute dei cittadini. Da parte nostra, abbiamo chiesto - e abbiamo presentato in tal senso emendamenti sia al Senato che qui alla Camera - che si effettui la valutazione di impatto sanitario prevedendo che, in caso di rischi per l'ambiente, vi sia il riesame degli atti autorizzativi per la prosecuzione dell'attività produttiva. E, siccome quello che si è fatto e quello che è previsto non è sufficiente, bisogna considerare che la sfida ambientale è troppo grande e troppo cruciale per essere messa in secondo piano.

Così come è necessario, in termini anche complessivi di prospettiva industriale, guardare con attenzione il fatto che l'indispensabile piano di decarbonizzazione è da portare avanti con un preciso obiettivo di arrivare alla completa eliminazione delle emissioni climalteranti, perché la produzione green di acciaio, oltre a essere a portata di mano per lo stabilimento di Taranto, è la carta su cui questo stabilimento deve puntare per tornare ad essere competitivo. Quindi, come vede, Presidente, avere maggiore attenzione e cura per l'ambiente è l'unico modo per dare una possibilità di capacità competitiva, di sviluppo, di mantenimento della capacità di produzione e dei livelli di occupazione.

C'è un altro aspetto fortemente controverso del provvedimento che voglio richiamare perché è stato oggetto di discussione di numerosi emendamenti presentati da tutti i gruppi di opposizione in Commissione, ed è lo scudo penale, che è un vero e proprio insulto a Taranto e ai suoi cittadini. Noi abbiamo proposto con i nostri emendamenti, sia al Senato che qui alla Camera, di sopprimerlo per come è stato definito all'interno del provvedimento o, quantomeno, di limitarne significativamente l'ampiezza, perché è davvero troppo esteso, in maniera incomprensibile, e quindi limitarlo, escludendo la sua applicabilità per fatti riguardanti la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.

Un altro aspetto delicato della situazione che stiamo affrontando - lo accennavo prima, Presidente - riguarda la condizione delle aziende dell'indotto. Non si può non tenere costantemente presente che l'ex Ilva è anche l'indotto, fatto di quelle aziende, consapevoli, nell'affrontarlo, che il livello di sofferenza del contesto industriale che gravita attorno ad Acciaierie d'Italia è arrivato ormai al punto limite. Per questo è indispensabile ripartire con gli ordini, ripartire con le attività delle imprese appaltatrici dell'indotto. Per questo è necessario, però, un intervento che consenta una scelta di questo tipo, perché, visto che non sono destinati in tal senso i fondi pubblici previsti, il rischio è che da questo punto di vista non ci sia la possibilità

di un passo in avanti.

Quello che noi abbiamo proposto è di stanziare 50 milioni di euro per le fatture non saldate e garantire l'accesso al credito per i fornitori e i creditori di Acciaierie d'Italia. È evidente, Presidente, in conclusione, che con questo provvedimento ci sono diverse cose che non funzionano, che non tornano, ed è soprattutto necessario indicare come queste nuove risorse pubbliche, così significative per il loro importo, debbano avere una chiara definizione e debbano avere soprattutto una chiara finalizzazione rispetto al conseguimento degli obiettivi.

Per questo abbiamo proposto di modificare l'attuale assetto azionario per favorire il passaggio della quota maggioritaria al socio pubblico, anticipandolo al 31 dicembre 2023, perché pensare di protrarre questa situazione, questa governance, che non è stata in grado di risolvere i nodi, fino al dicembre del 2024 vuole dire abbandonare l'azienda in questa situazione di immobilismo.

Senza un assetto diverso, senza una nuova governance e una guida capace e sicura, non si riuscirà ad affrontare il tornante decisivo che abbiamo di fronte. Infine, Presidente, definivo questo provvedimento inadeguato innanzitutto in riferimento alla mancanza di una visione, una strategia dal punto di vista delle politiche industriali. Per cercare di rimettere al centro questo tema, provando anche a trovare una direzione di marcia con il concorso di tutti i soggetti coinvolti, con i nostri emendamenti abbiamo proposto un programma pluriennale per vincolare le misure di rafforzamento patrimoniale, partendo da un tavolo istituzionale composto dalle amministrazioni centrali e locali, aperto al territorio, alle organizzazioni sindacali e ai rappresentanti degli operatori economici e delle imprese.

È questo il modo per dare un riconoscimento pubblico e legislativo a Taranto, una realtà che ha già pagato un tributo altissimo, e arrivare finalmente ad una vera e propria svolta per realizzare gli obiettivi fondamentali che si devono tenere insieme: bonifica e risanamento ambientale, transizione ecologica, tutela della salute, salvaguardia dei livelli occupazionali e formazione dei lavoratori per prepararli ai nuovi processi produttivi. È necessario tenere insieme la complessità di questi obiettivi ed è necessario avere uno strumento, come quello che abbiamo proposto, del tavolo, e poi dell'accordo di programma che indichi gli obiettivi.

Questo è quello che ho in parte illustrato, Presidente, il complesso degli emendamenti che abbiamo proposto in Commissione e che ora ripresentiamo per l'Aula, sfidando il Governo a non porre la questione di fiducia, per consentire al Parlamento di svolgere il proprio compito in fase di conversione, migliorando un provvedimento altrimenti inutile e, per certi versi, dannoso rispetto alla complessità delle sfide che intende affrontare.