A.C. 977
Grazie, Presidente. Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, oggi abbiamo l'opportunità di discutere una legge molto importante per la nostra società, che riguarda la vita dei nostri anziani e non solo. Si tratta di una riforma che aspettavamo da decenni. L'aspettavano soprattutto loro, gli anziani (ma non solo loro), e deve coinvolgere l'intero Paese, perché richiede una nuova visione sull'invecchiamento, come anche sull'assistenza e sulla sostenibilità del suo modello civile ed economico.
D'altronde, anche se l'invecchiamento è un tema che tutti ci auguriamo che un giorno riguarderà ognuno di noi, ancora troppo poco si è ragionato e riflettuto sul senso e sul valore di questa età.
“La vecchiaia non è una malattia, ma una fase della vita che deve essere accettata e vissuta con saggezza e serenità”, scriveva Cicerone nel De Senectute già nel 44 avanti Cristo, riflettendo sulla vita e sulla condizione umana della vecchiaia. Un valore e una dignità che ad oggi spesso sembriamo non riscontrare.
Come tutti sappiamo, però, la popolazione anziana sta crescendo rapidamente, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Questo, se da una parte rappresenta un segnale della nostra capacità di migliorare le condizioni di vita e di cura grazie al progresso della scienza e della medicina, allo stesso tempo pone sfide significative per il nostro sistema sanitario e assistenziale. Viviamo, infatti, una contraddizione: abbiamo guadagnato anni di vita, ma non abbiamo ragionato abbastanza su cosa farci e come gestirli. La società allunga la vita, ma talvolta non la sa mantenere e quella che è una conquista diventa, purtroppo, una maledizione per troppi. Alcune di queste contraddizioni sono emerse drammaticamente, con chiarezza, durante la recente crisi globale determinata dal COVID.
La legge di cui parliamo oggi trova origine dal lavoro appassionato e competente svolto dalla Commissione per la riforma dell'assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana, istituita nel 2020 dall'allora Ministro Speranza e presieduta da monsignor Vincenzo Paglia, e successivamente anche dalla Commissione interministeriale voluta dal Ministro Orlando e approvata, poi, nell'ultimo Consiglio dei Ministri del Governo Draghi.
È una legge, dicevo, che rappresenta un progetto molto serio che si propone di affrontare, per la prima volta in modo organico e sistematico, il tema dell'assistenza alle persone anziane, che non potrà che diventare cruciale nei prossimi anni, anche alla luce dell'evoluzione demografica che il nostro Paese sta vivendo. Per ragionare con qualche numero, si pensi che nel 2020 il numero di persone nel mondo di età superiore ai 65 anni è stato di circa 703 milioni e si prevede che raggiungerà 1,5 miliardi nel 2050, quando, per la prima volta nella storia dell'umanità, ci saranno più ultrasessantenni che giovani sotto i 16 anni.
In Italia la popolazione anziana rappresenta una percentuale molto alta. Secondo l'Istat, nel 2021 gli over 65 rappresentavano il 22,8 per cento della popolazione, mentre nel 2031 si stima che saranno il 28,3. In Italia l'aspettativa di vita è tra le più alte al mondo. Nel 2022 alla nascita era di 83,6 anni per le donne e di 79,7 anni per gli uomini (potremmo dire che si tratta di un orgoglio nazionale). Già oggi, secondo Eurostat, siamo il Paese con la maggior percentuale di anziani d'Europa. Questi dati, se letti in combinato con quelli relativi alla natalità nel nostro Paese, che, purtroppo, è in costante calo da diversi anni, rendono ancora meglio la necessità di un investimento sia a sostegno della popolazione che invecchia sia a favore di nuove nascite. Infatti, sempre secondo l'Istat, nel 2020 il tasso di fecondità complessivo è stato pari a 1,23 figli per donna, un valore molto al di sotto della soglia di rinnovamento generazionale, fissata a 2,1 figli per donna. Questo fenomeno è dovuto a diversi fattori, su cui non entrerò nel dettaglio in questa sede. Però, semplicemente mi limito ad auspicare un pronto completamento, da parte di questo Governo, di un altro importante provvedimento della scorsa legislatura sul tema della famiglia, costituito dalla riforma del Family Act, ancora solo parzialmente attuato.
La legge delega che oggi discutiamo ha, dunque, una portata storica. Deve rispondere, infatti, a un fenomeno che è apparso per la prima volta nel nostro Paese, che potremmo definire come quello della vecchiaia di massa. Infatti, ben 14 milioni di cittadini, quindi quasi uno su quattro, hanno superato la soglia e vivono i loro 65 anni ed oltre, ma ci siamo arrivati senza una consapevolezza chiara, tanto che non abbiamo inventato quasi nulla per i 30 anni in più che sono stati guadagnati negli ultimi due secoli.
Certo, abbiamo conquistato la pensione, e non è poco, ma non un pensiero articolato su come vivere la vecchiaia, se non con farmaci e ricoveri. È troppo poco; ad esempio, è troppo poco se paragonato a quanto la nostra civiltà ha inventato per i primi trent'anni di vita. Alla fine del XIX secolo, di fronte a un numero enorme di bambini e a una loro totale “deconsiderazione”, perché erano “deconsiderati” i bambini in quell'epoca, ci siamo inventati l'infanzia. Oggi, ci presentiamo allo storico traguardo di un indice di invecchiamento prossimo a 200, cioè 200 anziani ogni 100 bambini under 15, con idee superate o piuttosto confuse o assenti. Dobbiamo inventarci la vecchiaia, dobbiamo rovesciare il paradigma per cui gli anziani sono solo una spesa, un onere, per di più prevalentemente sanitario.
Posto in questi termini, il problema di fare dell'Italia un Paese anche per anziani, comporta ripensare quell'insieme di servizi, attività, comportamenti essenziali nella vita quotidiana, utilizzando come parametro di riferimento la loro fruibilità da parte degli anziani. In questa prospettiva, gli stessi fondamentali aspetti sanitari e assistenziali vanno considerati solo come uno degli aspetti delle politiche verso la terza età, evitando quindi che siano l'unica dimensione in cui l'anziano viene considerato. Nessun anziano è il suo bisogno o la sua malattia.
Ebbene, il disegno di legge delega in discussione oggi tenta di rispondere al bisogno fortissimo e improcrastinabile di ripensare gli ultimi trent'anni di vita in maniera organica. Come vivere questi anni? Concordo con i principali obiettivi che la legge identifica e che tentano di rispondere a questa domanda fondamentale: primo, la deistituzionalizzazione e la non automaticità dell'istituzionalizzazione come risposta ai bisogni degli anziani; secondo, la prevenzione della non autosufficienza; terzo, l'implementazione della domiciliarità; quarto, l'implementazione delle misure volte a favorire l'invecchiamento attivo.
L'invecchiamento attivo implica l'idea che la vecchiaia non debba essere vista come un momento di declino e isolamento, ma come una fase della vita in cui è possibile continuare a mantenere un ruolo attivo nella società, prevenendo situazioni di isolamento e marginalizzazione, e garantire una buona qualità della vita per tutti a prescindere dall'età. Tutto ciò nel più totale rispetto della persona e delle sue libere determinazioni, finalità decisiva che è necessario salvaguardare anche e soprattutto nei momenti in cui la persona si trova in un momento di debolezza, qual è certamente la vecchiaia più avanzata, anche perché anche su questo dovremmo riflettere, pensando che oggi la vecchiaia inizia a 65 anni e quando guardiamo e pensiamo a tanti sessantacinquenni del nostro Paese pensare che siano in una fase di declino della loro vita ci sembra decisamente strano.
Sull'istituzionalizzazione ricordo ciò che diceva con grande saggezza don Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII: “Dio ha creato la famiglia, l'uomo ha creato gli istituti”. Ecco, dobbiamo iniziare a liberare tanti nostri concittadini dalla solitudine spersonalizzante degli istituti. Così come si è riusciti a chiudere e riconvertire i grandi orfanotrofi nel corso della storia, così dobbiamo cominciare un percorso di ripensamento rispetto ai grandi istituti per anziani. Il dramma del COVID ha dimostrato drammaticamente l'inefficacia di questi luoghi come luoghi di protezione, confermata purtroppo dalla strage di anziani in tutto il mondo. La pandemia ha rivelato come abbiamo fatto crescere RSA, case di riposo e tante altre sigle fantasiose per rispondere malamente a tre grandi crisi, quella della famiglia e della solitudine, che imponeva la delega dell'assistenza ad altri attori, quella del declino demografico e dello spopolamento, che fa mancare i servizi proprio laddove cresce il mondo degli anziani, spesso nei piccoli centri, e quella del divorzio tra sociale e sanitario, come sfere di sovranità totalmente separate e reciprocamente ignorate. La recente clamorosa inchiesta su alcune RSA in Francia, sintetizzata dal libro inchiesta Les fossoyeurs (i becchini), che ha scatenato stampa, Parlamento, Governi e giudici d'Oltralpe, ha mostrato come questi istituti spesso, oltre a essere luoghi disumani, siano solo macchine da soldi e parliamo di un'inchiesta fatta su un leader mondiale di queste strutture, un leader che possiede oltre 1.100 RSA nel mondo, di cui 320 in Francia e decine anche in Italia. Anche qui, lo abbiamo visto, senza generalizzare e rispettando profondamente il lavoro di tanti, anche, di questi istituti, ma quanti anziani sono morti nelle RSA per COVID e abbandono? Quanti scandali e denunce quotidiane su questi luoghi? La sola soluzione, la migliore soluzione a questo sistema credo sia una riconversione industriale: puntare sulla domiciliarità in tutte le sue forme e sull'assistenza domiciliare.
In qualche modo, la legge delega prova ad affrontare anche questo punto, a partire da un impianto teorico di nuova concezione, attraverso un'implementazione ispirata a modelli di co-progettazione, co-programmazione e co-sperimentazione, ossia, di presa in carico di tutti gli anziani che avviene attraverso un articolato continuum assistenziale. Questo suppone l'incontro tra sociale, sanitario e assistenziale per poter avviare una risposta coordinata e appropriata con la collaborazione di ospedali, ASL, comuni, ambito territoriale, sociale e INPS, a tutti i livelli.
In questo senso vanno alcuni strumenti rimasti fuori da questa norma, ma che a mio avviso la sosterrebbero in maniera importante. Mi riferisco al monitoraggio attivo delle persone ultraottantenni e all'istituzione dell'infermiere di famiglia e di comunità, di cui mi farò personalmente portavoce in questa legislatura. Sono ben consapevole, infatti, che la legge vada perfezionata; di qui, l'importante lavoro per i decreti attuativi, penso a quelli relativi ad un altro tema personalmente a me molto caro e legato a quello dell'invecchiamento, ovvero il sostegno alle famiglie e ai caregiver. Sappiamo che molte famiglie si occupano di anziani e, spesso, questo impegno può essere gravoso e stressante. La legge delega prevede la promozione di servizi di supporto ai caregiver, nonostante sappiamo quanto sia necessario dare al più presto alla figura del caregiver familiare il pieno e totale riconoscimento giuridico e di tutti gli aspetti assistenziali e previdenziali, in quanto rappresentano un pilastro fondamentale del nostro welfare, a cui dobbiamo tanto.
In sintesi, il disegno di legge è finalizzato a fornire una risposta alle esigenze degli anziani, promuovendo l'invecchiamento attivo e sano, garantendo un'assistenza sanitaria assistenziale completa e personalizzata. Mi dispiace, in questo senso, che sia stato espunto dal testo il riferimento alla Carta dei Diritti degli anziani e dei doveri della comunità, altro importante documento realizzato dalla Commissione, che fissa punti di riferimento per la promozione dei diritti degli anziani e della loro inclusione nella società e che incardina l'intero disegno su tre pilastri: il diritto al rispetto e alla dignità, il diritto dell'anziano a scegliere in autonomia e con adeguate informazioni il tipo di assistenza a cui aspira e soprattutto quello di rimanere nella propria abitazione, il diritto e la protezione a una vita di relazione. In questo senso andava anche l'emendamento che avevamo presentato in Commissione e che mi auguro sia recuperato nell'esercizio della delega. Non sono principi astratti, ma fondamento di un modo nuovo di vedere l'anziano e di concepire la vecchiaia, non uno scarto o, peggio, un problema, nemmeno solo corpo da curare e alimentare, non gravame assistenziale e fattore di destabilizzazione dei bilanci, ma persona, cittadino capace di partecipare, vivere e contribuire.
Allora, occorre ripensare e rivalutare in positivo l'enorme capitale sociale di 14 milioni di cittadini, con la loro esperienza, le loro energie e le loro aspirazioni. Devo, prima di terminare, sottolineare il problema dell'individuazione dei fondi.
Una legge ambiziosa, che si prefigge di implementare tanti e importanti obiettivi, necessita di risorse, di più risorse. Sicuramente c'è il tema dell'assunzione del personale medico, una questione che riguarda non solo questa legge delega, ma il nostro sistema sanitario assistenziale nel suo complesso. Siamo consapevoli che la mancanza di personale medico e sanitario potrebbe rendere difficile garantire un'assistenza di alta qualità, e non solo per gli anziani, ma dobbiamo trovare soluzioni innovative e sostenibili per affrontare la sfida. Occorre fare scelte coraggiose e coerenti e mi spiace constatare, per esempio, la contraddizione tra queste e tante misure previste da questa legge e quello che io temo possa realizzarsi, attraverso l'implementazione dell'autonomia differenziata, ovvero il non rispondere a quanto vorremmo per gli anziani e per ogni nostro concittadino, come il pari diritto di accesso a cure, servizi e informazione su tutto il nostro territorio nazionale. Ad ogni modo, sul provvedimento in esame oggi, siamo pronti a collaborare con tutte le istituzioni, le organizzazioni della società civile, gli esperti del settore e naturalmente con il Governo, per garantire che il provvedimento possa essere attuato in tutte le sue declinazioni. Dobbiamo essere consapevoli che il problema della mancanza di fondi e di personale medico e sanitario è una questione complessa che richiede un impegno a lungo termine. Tuttavia, possiamo e dobbiamo fare di più per garantire che gli anziani ricevano l'assistenza e il sostegno di cui hanno bisogno per vivere una vita dignitosa. È ormai evidente la necessità di un servizio sanitario che sappia offrire l'intero spettro dei servizi, da quelli di rete di prossimità, di lotta alla solitudine e di prevenzione fino a interventi domiciliari di sostegno sociale e sanitario continuativo, alla semiresidenzialità in centri diurni, alle residenze sanitarie e assistenziali, in grado di offrire sempre elevati standard qualitativi, avendo in mente interventi riabilitativi e terapeutici che dovrebbero avere l'obiettivo di far tornare a casa, ove è possibile, i pazienti anziani. I fondi del PNRR che saranno utilizzati dovranno essere l'occasione per muoversi verso una sanità centrata sul paziente e sulle sue necessità. Mettere la persona al centro si rivelerà sempre la scelta migliore, perché l'attenzione ai bisogni degli anziani non dovrebbe limitarsi solo alle politiche pubbliche, ma dovrebbe diventare un valore collettivo e una responsabilità di tutta la comunità. Concludo, Presidente, con un augurio per i nostri anziani e, direi, per ognuno di noi, con le parole di Victor Hugo, “Quando la grazia e unità con le rughe è adorabile. C'è un'alba indicibile in una vecchiaia felice”. Troppe volte gli ultimi anni di tanti anziani sono segnati dall'infelicità. Mi auguro che anche attraverso questa legge possiamo presto arrivare a questa nuova alba.