Dichiarazione di voto finale
Data: 
Mercoledì, 7 Giugno, 2023
Nome: 
Arturo Scotto

A.C. 1114-A

Signor Presidente, io non amo il ricorso agli “ismi” per definire le miserie di un gruppo di potere, che è arrivato nella stanza dei bottoni, senza avere mezza idea dei bisogni reali del Paese, se non per cavalcare paure, pregiudizi e superstizioni. La storia è troppo tragica e pesante per essere paragonata alla vostra merce avariata, che non risolve i problemi, ma alimenta e moltiplica questi problemi per mera propaganda elettorale.

Eppure, c'è un “ismo” che mi rimbomba in testa, un tarlo che non riesco a cacciare via, si tratta di quel sovversivismo delle classi dirigenti che altro non è che la tendenza a sovvertire regole e procedure democratiche, per conculcare le minoranze e difendere le proprie posizioni di potere. Questa è l'autobiografia del decreto PA. Quattro decreti al mese, signor Presidente, due fiducie solo in questa settimana, decreti che diventano omnibus e minestroni nonostante i richiami del Capo dello Stato e, poi, lo sfregio a questo Parlamento, con l'emendamento sul controllo concomitante della Corte dei conti, inserito dentro un provvedimento che doveva occuparsi un po' pomposamente - se ci limitiamo al titolo - del rafforzamento della pubblica amministrazione. Qui, non c'è solo il merito, che delinea una conclamata indifferenza verso le regole, ma un vero e proprio disegno di demolizione di qualsiasi organismo, che si limita a fare e a dire quello che la Costituzione gli assegna, dall'Ufficio di bilancio alla Procura nazionale antimafia, per finire alla Corte dei conti; poi, la dichiarazione senza precedenti sulle tasse come pizzo di Stato, un appello a evadere il fisco, un'istigazione a delinquere e a smantellare quel poco di principio di solidarietà che consente ancora la tenuta unitaria di questo Paese.

Quando accadono queste cose, interrogarsi sullo stato di salute della democrazia è un dovere morale, non un esercizio accademico. Questo decreto, signor Presidente, è un'operazione striminzita, che non risponde alla domanda fondamentale, quella che dovrebbe assillare tutti quanti noi: come strappare alla precarietà una generazione di lavoratori pubblici, come dare un contratto decente, che si aspetta da troppo tempo, a 3,2 milioni di addetti, che hanno perso potere d'acquisto e status sociale, come costruire un piano straordinario per l'occupazione che consenta a una generazione, soprattutto nel Sud, di ricostruire lo Stato, salvare la sanità, la scuola e il welfare? Coltivate piccole ambizioni, lavorate e vi limitate a stabilizzare qualche staff ministeriale e a cambiare qualche capo dipartimento. È troppo poco, signor Presidente, per l'emergenza di un Paese che tra qualche mese non sarà nemmeno in grado di stampare una carta di identità o di stampare un passaporto.

Vedete, il PNRR, lo hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto, è stata la più grande operazione fatta dai Governi più recenti, strappata non attraverso una dialettica pacifica, ma anche facendo un po' a cazzotti, un po' a cazzotti con quei Paesi che pensavano che dalla pandemia si uscisse come prima, ma anche all'interno della dialettica democratica di questo Paese. Lo dico così all'onorevole Montaruli che ieri ha detto che l'opposizione è anti italiana perché scommette sul fallimento di questo Paese: si ricordi che quelli che hanno portato i 209 miliardi del PNRR in questo Paese sono stati i nostri Governi, mentre altri votavano contro, in Europa. Se questo è essere anti italiano rivendico di essere anti italiano.

Ma andiamo al punto, il vostro ritardo sul PNRR non è frutto di incapacità, di inettitudine, di sciatteria; certo, dalle dichiarazioni del Ministro Fitto si capisce che la mano non è molto sicura e che la dimestichezza con le carte è molto poca, eppure, la verità è un'altra: voi non siete d'accordo con il merito del Next Generation EU, voi pensate che la transizione ecologica sia tempo sprecato, che la sanità pubblica non vada rilanciata, ma consegnata alle assicurazioni private, che i divari tra Nord e Sud non vadano colmati, ma allargati con quell'autonomia differenziata che cancellerà l'universalismo dei diritti e spaccherà il Paese.

Il blocco di interessi che rappresentate è negazionista sui cambiamenti climatici, classista sulla fruizione dei servizi pubblici, parassitario sull'economia e sulla produzione, perché immagina un Paese che compete sulla scala internazionale, mettendo il costo del lavoro al ribasso e comprimendo i diritti.

Noi voteremo “no” a questo decreto, convintamente, perché non ci avete lasciato altro spazio, perché l'atteggiamento dell'opposizione, come il presidente Walter Rizzetto, che ringrazio, ha potuto constatare, è stato molto, molto responsabile, però, dentro un decreto che poteva essere migliorato, ci sono stati dei colpi di mano inaccettabili. Eppure, mi corre l'obbligo di ringraziare i colleghi e le colleghe di tutti i gruppi parlamentari; siamo riusciti ad approvare un piccolo emendamento, che è il frutto di un'elaborazione di anni dell'Istituto italiano di antropologia e di uno straordinario divulgatore scientifico, che qui voglio ricordare, come Pietro Greco.

Vedete, altri Paesi l'hanno fatto prima di noi, ma il fatto che, da domani, gli atti della pubblica amministrazione non conteranno più la parola “razza” come elemento di distinzione tra gli esseri umani è un passo in avanti notevole. Non ci sarà più nei documenti del Ministero dell'Interno, nei concorsi pubblici, nei questionari vergognosi nelle scuole. Questo in un Paese, l'Italia, che fino a 80 anni fa aveva ancora un periodico che si chiamava La difesa della razza e dove un Ministro, ancora oggi Ministro, ahimè, poteva definire un esponente di questo Parlamento “orangotango” ed è stato condannato a 7 mesi di reclusione. La comunità scientifica ci dice che il 99 per cento del patrimonio genetico degli esseri umani è lo stesso. Attorno al restante 0,1 si sono consumati gli alibi peggiori per quell'homo sapiens che ha scelto di frequentare il sonno della ragione. La guerra, i campi di concentramento, le pulizie etniche, l'apartheid: dobbiamo chiudere quella pagina, non basterà una legge, non basterà un emendamento; serve cultura e coerenza tra i valori enunciati e le parole praticate. Noi saremo qui non con il ditino puntato, ma a vigilare, a continuare quella lotta per l'eguaglianza e la fraternità e dunque per un Paese migliore senza razzismo.