Discussione generale
Data: 
Lunedì, 10 Luglio, 2023
Nome: 
Michele Claudio Stefanazzi

A.C. 1038-A

Grazie, signor Presidente. Colleghe e colleghi, Vice Ministro Leo, il provvedimento che arriva oggi in Aula, nonostante il lavoro svolto in Commissione - che riconosco, come dirò più avanti - non sfugge o temo non potesse sfuggire alla retorica degli annunci e dei manifesti governativi e rappresenta una sorta di lenzuolata di promesse che, come temo sappiate benissimo, non vedranno mai la luce del sole. Probabilmente, c'è anche da augurarselo, perché il costo e il conto di queste misure sarebbe salatissimo. Siccome le parole sono importanti, il clima in cui è maturato questo lavoro sulla delega nasce da una frase infelice, per usare un eufemismo, del Presidente Meloni, rispetto al fatto che le tasse siano “pizzo di Stato”. È una frase devastante sotto molti punti di vista ma che, purtroppo, nasconde un concetto deleterio che informa, temo, gran parte della delega fiscale. Le tasse creano difficoltà spesso insormontabili per famiglie, imprese oneste e per i professionisti che assistono le imprese. Conseguentemente, elusione ed evasione fiscale sono elevati al rango di strumenti di difesa, in un Paese che anche senza i consigli premurosi della nostra Premier detiene già un pessimo record in Europa. Quindi, se si vuole fare una riforma fiscale e si parte dall'assunto che le tasse siano un pizzo di Stato, è chiaro che i contenuti devono essere necessariamente coerenti con questa impostazione. Le tasse, quindi, cessano di essere il contributo di tutti, di ciascuno secondo le proprie possibilità, al finanziamento dei servizi pubblici ma sono qualcosa da cui liberarsi e soprattutto da cui liberare alcune categorie di persone e di imprese. Una riforma che dichiara, ad esempio, di perseguire l'equità orizzontale sembra invece fare di tutto per proteggere l'impostazione corporativa di una parte del nostro sistema e consolidare alcune rendite di posizione. Peraltro, dispiace dirlo, nonostante l'impegno, in particolare, del Vice Ministro Leo, senza nemmeno particolari novità rispetto ai mantra fiscali di altri Governi di centrodestra, la delega è clamorosamente tremontiana o berlusconiana nell'impostazione.

Il primo grande errore del provvedimento è che non riesce ad affrontare i temi e i problemi atavici del fisco italiano. Innanzitutto, come ha detto il Vice Ministro, vi è il tema delle spese fiscali, che hanno raggiunto ormai l'astronomica cifra di 626 esenzioni, detrazioni o deduzioni, una selva che costa allo Stato, mal contati, circa 125 miliardi di euro, in termini di minori entrate, di cui peraltro conosciamo ben poco, vista la mancanza di dati quantitativi per oltre il 70 per cento di tali spese fiscali. Basti sapere che solo in 19 casi su 626 abbiamo a che fare con sconti che superano il miliardo di euro, riportati quasi 60 milioni di volte nelle dichiarazioni dei redditi degli italiani, con una sovrapponibilità che genera un numero esponenziale nella riproduzione dei benefici indicati, mentre quasi nel 50 per cento si tratta di spese fiscali che coinvolgono al massimo 30.000 soggetti, dei mini bonus. Sareste potuti partire da lì per semplificare il sistema e renderlo razionale e ridurre le minore entrate. Invece, la dichiarata volontà di fare una riforma fiscale epocale si è ridotta a un'unica sostanziale barricata per mantenere di fatto immutato lo stato delle cose. In secondo luogo, vi è l'erosione della base imponibile dell'Irpef, che oggi si traduce in un gigantesco problema di equità.

Nel corso degli anni, si sono stratificate piccole e grandi fughe di intere categorie di contribuenti dall'imposta progressiva sui redditi delle persone fisiche: il risultato è che il nostro fisco ha, de facto, sposato un modello di progressività selettiva e oggi l'Irpef è una tassa che viene pagata per l'85 per cento dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, mi viene da dire due categorie che, nello schema neo-corporativistico del Governo Meloni non sono proprio così centrali.

Proprio per riprendere il tema dell'equità orizzontale se noi oggi confrontassimo le diverse categorie di contribuenti, a parità di reddito, supponiamo 50.000 euro - così, a titolo di esempio -, scopriremmo che su un lavoratore dipendente graverebbe un onere contributivo 1,6 volte più alto di quello di un percettore di dividendi, di 2 volte superiore rispetto a chi dà in fitto i propri immobili con la cedolare secca e di 2,8 volte maggiore di quello di un professionista in regime forfetario.

Devo confessare che, quando ho letto alcune dichiarazioni roboanti circa la necessità di tornare a una effettiva equità orizzontale, vi ho prestato interesse e devo dire che ho anche sperato, però mi dovreste spiegare - e dovreste spiegarlo soprattutto agli italiani - perché poi vi siete guardati bene dall'eliminare quei fattori che rendono iniquo il nostro sistema, perché non avete nemmeno sfiorato la moltitudine dei regimi fiscali speciali per certi cespiti o categorie di contribuenti; ne avete creati, anzi, di nuovi, come l'estensione della cedolare secca agli immobili strumentali, di cui però parlerò successivamente.

Sempre in tema di Irpef, poi rincorrere un obiettivo di cui davvero non sappiamo spiegarci né il senso, né la vantaggiosità; ridurre gli scaglioni per arrivare a una flat tax per tutti i contribuenti, è questa l'idea di equità orizzontale che intendevate portare avanti? La questione della flat tax è avversata da tutti non perché ci sia un pregiudizio ideologico, ma perché lo dicono i fatti, oltre evidentemente anche i nostri principi costituzionali. La Banca d'Italia, tra gli altri, ha ripetutamente espresso un principio chiaro: sostituire le attuali aliquote con una tassa piatta vorrebbe dire reprimere drasticamente la progressività del nostro sistema fiscale; meno progressività vuol dire più diseguaglianza e più iniquità e, soprattutto, vuol dire favorire ancora una volta i redditi elevati, e farlo a discapito dei servizi pubblici da finanziare a beneficio di tutti. Fortunatamente, il buonsenso vi ha fatto fare marcia indietro sulla proposta della flat tax incrementale, l'ennesimo tentativo di allontanarci da un sistema equo. L'equità del sistema fiscale si poteva - e si può - raggiungere altrimenti, guardando, per esempio, alla nostra Costituzione: solidarietà, uguaglianza, rispetto delle capacità contributiva e progressiva sono principi che troviamo realizzati nelle proposte che ci siamo permessi di fare. Tra queste, una molto semplice, ma anche molto sostanziale, era quella del modello duale che elimini la miriade di regimi speciali e sostitutivi, per far posto, da una parte, a un sistema ad aliquota continua per i redditi di lavoro e, dall'altra, a un sistema con un'aliquota proporzionale non inferiore all'ordinaria Ires per i debiti derivanti dall'impiego di capitale, semplice e con l'impegno di utilizzare ogni centesimo derivante dalla revisione delle spese fiscali per abbattere il carico fiscale dei soggetti sottoposti ad Irpef, sistema, come dicevo, semplice, equo crediamo, che costituirebbe un presupposto utilissimo per ridurre le tasse e mantenere in vita la progressività dell'imposta, ma evidentemente non adatto a un Governo che sulla progressività non intende discutere.

Poco fa, abbiamo parlato di uno dei più utilizzati strumenti di regimi speciali, la cedolare secca. Credo si sia persa una ottima occasione per dare al regime esistente un principio di maggiore equità. Avevamo proposto, come Partito Democratico, un emendamento per far sì che anche gli affittuari potessero beneficiare delle agevolazioni che oggi premiano esclusivamente i proprietari; non si è voluta aprire questa discussione e ne prendiamo atto. Oltre a ciò, lascia molto perplessi la norma che vuole estendere la cedolare secca anche agli immobili strumentali, un principio che non ci trova d'accordo e, come abbiamo spiegato più volte in Commissione, che temiamo possa rappresentare un'illusione, un'altra promessa che si scontrerà poi con la dura realtà dei costi, perché, invece di eliminare i regimi speciali, se ne introduce uno nuovo e, per giunta, a favore di chi ha una rendita da difendere. Noi facevamo un'altra proposta, invece, che va nella direzione opposta: introdurre un limite di reddito di 120.000 euro già per la cedolare secca sugli immobili abitativi. Se proprio si vuole sperimentare la via dell'allargamento agli immobili strumentali, avevamo chiesto che l'agevolazione fosse riservata ai soli contratti definiti sulla base di accordi fra le organizzazioni dei proprietari di immobili e le organizzazioni delle imprese; una sorta di canone concordato anche per questo tipo di immobili. E anche su questo, purtroppo, abbiamo trovato chiusura.

Sul versante Ires, abbiamo apprezzato il parziale passo avanti che si è fatto in Commissione. L'impianto originario era, infatti, incredibilmente capotico e assolutamente inadatto al sistema imprenditoriale italiano, costituito, per la stragrande maggioranza, com'è noto, da piccole e medie imprese. La vostra proposta tagliava fuori moltissime imprese dal regime agevolato, favorendo molto più imprese grandi, mature, strutturate e in salute rispetto a quelle piccole o appena nate, che sono, invece, quelle - come è noto - che hanno bisogno di maggior sostegno. Onestamente, lo dico veramente con preoccupazione, avere immaginato un sistema nel quale per accedere allo sconto Ires occorreva non solo reinvestire gli utili prodotti, ma addirittura farlo in un regime di investimenti che poi sarebbero stati valutati al biennio successivo, mi è sembrata una fuga dalla realtà. Non so se siete consapevoli di cosa significhi, oggi, per le imprese di una parte di questo Paese produrre utili o non so se siete consapevoli di cosa voglia dire per le imprese di una parte di questo Paese accedere al credito bancario. Di grazia, come avrebbero dovuto finanziare gli investimenti necessari per ottenere l'agevolazione Ires tante PMI italiane? Mantenere aperta un'altra via per tutte quelle imprese che non trarrebbero vantaggio dalla mini-Ires è un fatto di per sé positivo, anche per non dilapidare tutto quello che di buono - come è stato riconosciuto, peraltro, nella discussione in Commissione - è stato fatto con misure come l'ACE, gli incentivi fiscali per l'investimento e la Transizione 4.0.

Siamo anche soddisfatti di aver visti accettati alcuni suggerimenti che abbiamo proposto, soprattutto perché, come detto, a trarne beneficio saranno le imprese più piccole o quelle che, per loro caratteristica - come, ad esempio, le startup - tendono a registrare perdite rilevanti nei primi anni. Aver introdotto il riferimento al potenziamento dell'ammortamento e il sostegno agli investimenti e alle assunzioni è senz'altro un progresso. Ciò non toglie che sulla mini-Ires permangono forti dubbi di applicazione, per esempio, e questo è stato oggetto di ampia discussione in Commissione, nella misura in cui non c'è un perimetro minimamente definito dei cosiddetti investimenti qualificati; non sappiamo quali siano i criteri che possono qualificare l'investimento. Ciò che, purtroppo, è certo è che non ci sono cenni alla sostenibilità ambientale, alla transizione ecologica e a quella digitale, nonostante sia stato chiesto più volte. Non ci resta, evidentemente, che sperare nei decreti legislativi.

Sulle assunzioni, invece, non possiamo nascondere una profonda delusione, considerato che, ancora una volta, si sceglie di non privilegiare l'occupazione di qualità, né di stimolare le assunzioni di giovani e donne. Abbiamo, come sistema Paese, perso un'occasione, quella di offrire uno stimolo e un incentivo alla formazione e colpire al cuore il problema delle fasce sociali dove si annida, impietosa, la maggiore disoccupazione.

Sempre a proposito di imprese, mi permetto di fare un appunto. Vice Ministro, lei ha parlato del reshoring, ma credo si sarebbe potuto fare di più, soprattutto in una fase storica in cui i segnali che ci arrivano, in particolare da alcuni settori produttivi e, tra tutti, il settore tessile, abbigliamento, calzaturiero, che sta assistendo a un enorme attività di ritorno delle imprese, soprattutto dal Sud-Est asiatico, indicano che mettere in piedi una batteria di strumenti fiscali avrebbe probabilmente consentito al nostro Paese di essere più attrattivo. Il nostro Paese, evidentemente, non per colpa solo di questo Governo, ha un gap di attrattività e competitività da recuperare ed è chiaro che uno specifico provvedimento per favorire l'insediamento in Italia di queste attività ci avrebbe spianato la strada. Con un emendamento che ho personalmente firmato si chiedeva una serie di misure per imprese rimpatriate; dalla maggiorazione del valore di mercato dell'attività, alla riduzione dell'aliquota Ires, a uno specifico intervento di decontribuzione dei lavoratori neo-assunti, ma anche qui, purtroppo, non c'è stato nulla da fare.

Vorrei ricordare un ottimo punto segnato dal Partito Democratico, grazie alla proposta emendativa del collega De Luca; grazie alla sua proposta, infatti, il Mezzogiorno acquisisce una cittadinanza che, in questa deroga, a onor del vero, non c'era. Sviluppo economico, riduzione dei divari e agevolazioni per le imprese nelle ZES diventano princìpi da attuare con l'esercizio di questa delega.

Vigileremo e spereremo, anche perché, purtroppo, altro non possiamo fare, così come continueremo, Vice Ministro, a piantonare il malsano progetto di autonomia differenziata, che ha avuto un suo deleterio ascendente anche su questo disegno di legge delega.

Mi riferisco alla mancanza, fra i principi dell'articolo 2, della garanzia che venga assicurata l'autonomia impositiva degli enti locali: un tema sempre cruciale, ma che nel bel mezzo del disegno di legge Calderoli avrebbe dato una certa rassicurazione a regioni e comuni e, indirettamente, ai cittadini. Peraltro, le rappresentanze degli enti locali avevano chiesto in maniera chiara l'inserimento del principio che scongiurasse il pericolo di dover definanziare servizi fondamentali sui territori. Vi siete opposti e questo non può che alimentare i nostri sospetti sui piani futuri di questo Governo. Due Italie: chi ce la fa, bene e ha la spinta dello Stato; chi non ce la fa si arrangia perché lo Stato se ne è già lavato le mani.

Infine, c'è una questione che proprio non vi sta a cuore, ossia quella dell'evasione fiscale. Nel nostro Paese l'evasione - non c'è bisogno che lo dica - sfiora annualmente circa 100 miliardi di euro, pur registrando, com'è noto, alcuni progressi negli ultimi tempi. Abbiamo una propensione all'evasione dell'Irpef, da parte del lavoro autonomo e d'impresa, vicina al 70 per cento; l'IVA è più evasa solo in 4 Paesi dell'area UE. Eppure, oltre ai pessimi segnali che abbiamo richiamato, anche in questo provvedimento non vediamo altro che una postura potenzialmente pericolosa e accomodante verso gli evasori. Mi chiedo come possa essere venuto in mente, in questa fase storica, in un Paese come il nostro, di introdurre il concordato preventivo. Una bella visione di stampo liberale che - com'è clamorosamente chiaro e per come l'avete scritta - rischia di legalizzare l'evasione di ricavi e compensi. Avete compiuto - mi dispiace dirlo - un piccolo miracolo degno di un David Copperfield Ministro del tesoro: dal momento che non ci va e non possiamo combattere l'evasione, raggiungiamo il risultato quanto meno sul piano lessicale e smettiamo di chiamarla “evasione”.

D'altra parte, in questo testo sono presenti molte zone d'ombra che, peraltro, non abbiamo avuto modo di analizzare in Commissione. Non che il presidente Osnato, il Sottosegretario Freni o il Vice Ministro Leo ce lo abbiano impedito, assolutamente; anzi, la presidenza di Commissione e il Governo hanno consentito una discussione ampia e plurale che, peraltro, mi permetto di dire, è un'assoluta novità nei rapporti fra maggioranza e opposizione in questa legislatura. Tuttavia, con riferimento, per esempio, agli articoli riguardanti l'accertamento, le sanzioni, la giustizia tributaria, il contenzioso così come la riscossione, la discussione è stata semplicemente assente, peraltro su punti che, per molti versi, a partire dalla prospettiva di nuovi condoni e definizioni agevolate, riteniamo assolutamente intollerabili.

Infine, come spesso è avvenuto anche nel recente passato, la destra sposta la polvere sotto il tappeto quando si tratta di fare riforme vere. Nemmeno in questo provvedimento vediamo riferimenti alla necessaria riforma del catasto che adegui i valori di mercato degli immobili. Un fatto che oggi è foriero di grandi disparità e disuguaglianze fra gli italiani e di cui, ça va sans dire, si avvantaggia chi possiede molto più degli altri. E questo, Vice Ministro, nonostante avessimo ripetutamente sostenuto in Commissione che la riforma del catasto non deve di per sé essere foriera di aumenti di tasse; solo che è intollerabile non solo il fatto che migliaia di immobili sfuggano a un corretto censimento catastale, ma che sfuggano sotto il profilo dell'adeguatezza e della giustezza della valutazione, generando una sostanziale iniquità su un bene che, in un sistema come quello nazionale, è centrale.

Insomma, signor Presidente, siamo di fronte a un documento che ha un forte valore simbolico per il centrodestra. Peccato, mi viene da dire, che al momento abbia solo quello, perché questo libro dei sogni del giovane liberista non fa i conti con un principio insormontabile: quello delle risorse e delle coperture finanziarie. Infatti, per pochissime delle misure di sistema proposte e inserite in queste deleghe ci sono i soldi per la copertura. O, meglio, un modo c'è e in alcuni tratti del vostro programma di governo è persino tratteggiato: affrontare, diminuire, distruggere in maniera irreparabile il welfare del nostro Paese, come, infatti, avete già iniziato a fare con la sanità - che a breve sconterà quasi un punto percentuale di PIL in meno rispetto agli stanziamenti garantiti fino allo scorso anno - oppure come è stato fatto con il reddito di cittadinanza o con la pensione di cittadinanza che sono stati cancellati in quattro e quattr'otto per consentire al Governo di disporre di risorse.

Insomma, Presidente, a un Governo che taglia e toglie alla sanità per favorire l'evasione fiscale e a una riforma fiscale piuttosto caotica e difficilmente applicabile, continueremo ad essere fieramente e orgogliosamente alternativi