A.C. 1295
Cara Presidente, signor Ministro, care colleghe e colleghi, nella giornata di oggi, 18 ottobre di 80 anni fa, centinaia di ebrei romani, catturati il 16 e reclusi in un collegio militare qui vicino, venivano caricati, proprio in queste ore, su vagoni piombati per essere trasportati verso Auschwitz. Iniziava così la deportazione e sapevano ben poco del loro destino. Molti sarebbero entrati immediatamente nelle camere a gas appena arrivati, altri messi al lavoro in attesa della morte. Solo 16 si salveranno e, tra loro, nessun bambino. Non avevano fatto nulla, come sappiamo, non avevano alcuna colpa, ma erano ebrei e, quindi, dovevano essere uccisi. A tutti loro, la mattina del 16, nelle loro case, era stato consegnato un foglio: “Sarete trasferiti, avete 20 minuti per fare la valigia, portate documenti, dei viveri, dei bicchieri. Gli ammalati, anche gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Chiudete l'appartamento”. E 80 anni fa, proprio in queste ore, lasciavano Roma. Io credo che sia di grande importanza che, proprio oggi, il Parlamento della Repubblica italiana dica unito “sì” a una legge per istituire nella loro città il Museo della Shoah. A loro, le vittime, possiamo dire insieme, 80 anni dopo: non vi abbiamo dimenticato e ci impegniamo affinché mai veniate dimenticati.
Non era scontato, parliamo del 1943, ma il rischio dell'oblio c'è stato e c'è stato eccome. Solo agli inizi del 2000 si concretizzò un'ipotesi di lavoro per il Museo e, poi, nel 2005, con il sindaco Veltroni, in un clima di grande effervescenza culturale, partì il progetto del Museo che, tra mille vicissitudini, oggi, il sindaco Gualtieri ha fatto suo e vuole portare a compimento. Sorgerà, come sappiamo, a Villa Torlonia, accanto a un luogo simbolico del regime - la residenza che fu di Benito Mussolini - come monito, perché la storia pretende chiarezza ed esclude omissioni e, con il Museo, la capitale d'Italia entrerà, come merita, nella rete dei luoghi del ricordo e della memoria ramificati in tutto il mondo. Si integrerà nell'arricchire l'offerta culturale della Repubblica con il MEIS, il Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah, di Ferrara, città anch'essa offesa dalla deportazione e città, tra le altre, della famiglia Finzi Contini, come ci hanno ricordato Giorgio Bassani e Vittorio De Sica con le loro due straordinarie opere pilastri della cultura e della memoria italiana del dopoguerra.
Sul marmo nero che dominerà l'edificio del museo saranno scolpiti, non a caso, i nomi di tutte le vittime romane della Shoah per ribadire che i numeri non bastano a definire un essere umano. I nazisti, invece, la prima cosa che facevano ai prigionieri entrati nei campi era togliergli proprio il nome, tatuare su un braccio un numero, con l'intento di trasformare l'essere umano - il papà, la mamma, il nonno, la nonna, il figlio, la sorella - in un numero, peggio, in una pratica da sbrigare. Lo sapeva bene Primo Levi, quando un giorno, nel corso di un'assemblea in una scuola, forse stanco, infastidito dalle domande, alla fine si slacciò il polsino e mostrò “174517”: il suo numero assegnato nel campo come ultima, estrema prova che l'orrore che stava descrivendo era in realtà avvenuto. Un fatto, come altri, che conferma oggi la necessità e l'importanza di un museo come presidio di verità cui attingere per gli anni futuri.
Per molti anni, questo peso e la missione della memoria sono ricaduti, a mio giudizio, troppo, sicuramente in gran parte, sulle spalle di molti sopravvissuti. Molti si sono recati di nuovo in quei luoghi dell'orrore per accompagnare migliaia di studentesse e studenti in un grande sforzo per tramandare memoria. A loro abbiamo chiesto di nuovo di tornare nei campi di concentramento e di sterminio, rivisitando così i momenti più drammatici della loro vita. Il Museo, allora, è un atto di riconoscenza e di assunzione di responsabilità anche nei loro confronti.
Tra le tante e i tanti, permettetemi di citare le sorelle Tatiana e Andra Bucci, scambiate per gemelle da Mengele e, quindi, tenute in vita come cavie per esperimenti sul corpo umano; oppure, alcuni che non sono più tra noi, come Shlomo Venezia - del Sonderkommando di Auschwitz - che ha raccontato decine di volte, davanti alle macerie dei forni, che, per sopravvivere, doveva svuotare le camere a gas e tagliare i capelli ai cadaveri, capelli che, poi, sarebbero stati utilizzati per fare tappetini per i sommergibili del Terzo Reich; o il grande Piero, il caro Piero, Piero Terracina, che ha raccontato decine di volte il dolore delle bastonate che avevano ricevuto lui e il suo papà quando, arrivati ad Auschwitz, non volevano separarsi dal resto della famiglia. Piero, negli ultimi anni della sua vita, era molto angosciato e mi diceva spesso: Nicola, ma questo Museo si farà? Lo farete? Io ho capito che non lo vedrò mai, ma voi, mi raccomando, andate avanti, perché non è giusto che tutto, ancora una volta, ricada solo su noi testimoni.
Quindi, care colleghe e colleghi, la scelta, sono convinto, unanime oggi - il coinvolgimento dello Stato è importante per tutti loro, compresi i sopravvissuti - rappresenta la volontà di lanciare un segnale e il tentativo di tramandare un testimone, ma - questo dobbiamo dircelo - è utile anche per i nostri giorni, per l'oggi e per il domani, perché ritornare con la memoria a quella cesura della nostra storia ci aiuta a comprendere come la Shoah, tutta la violenza e l'odio riversati sulla comunità ebraica, ma anche contro i rom, contro gli omosessuali, contro le minoranze politiche, sono stati un crimine immane commesso non da extraterrestri o da animali, ma da normali esseri umani, dotati di intelligenza e di cultura. Ciò è accaduto per mano dell'uomo e dall'uomo può sempre accadere di nuovo.
Questa consapevolezza è un valore democratico fondamentale e la Shoah per questo, oggi, è ancora un monito, perché la sua radice profonda è l'odio, l'odio verso l'altro, il disprezzo per la persona e per ciò che è. La soppressione sistematica di milioni di esseri umani non accadde all'improvviso, bensì fu l'ultima tappa drammatica del processo di disprezzo e svalutazione della dignità umana. In Italia, affonda le radici nelle scelte del fascismo: quegli elenchi che i nazisti avevano in mano e leggevano nelle case esistevano grazie alle scelte del regime del 1938 e del censimento degli ebrei voluto proprio per principi razzisti e antisemiti.
Il Museo e le nostre scelte, dunque, sono elaborazione etica e civile che, per non essere annacquate nella retorica, richiedono ora, oggi e domani coerenza nei comportamenti. Ci chiedono di portare nelle nostre vite, tutti i giorni, l'impegno a tenere viva la cultura del valore delle differenze, ci chiedono di indignarci sempre e protestare quando un essere umano viene offeso, perché giudicato, offeso o emarginato semplicemente per quello che è (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Per questo, noi siamo vigili, dovremo essere vigili e dovremo tutte e tutti essere attivi ogni qualvolta una persona viene offesa e un pensiero di sopraffazione si afferma in Italia, in Europa e nel mondo. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, recita l'articolo 3 della nostra Costituzione, quella di tutti noi. I deportati non avevano questo scudo a salvargli la vita. La democrazia e la libertà lo hanno dato a noi e alle generazioni future.
Ed oggi, in un Parlamento che nella dialettica democratica è spesso - come oggi - attraversato da dure polemiche, dare un segnale di unità a difesa della nostra storia e dei valori repubblicani è un fatto di grande rilevanza. Dovrà essere un luogo vivo, frequentato da milioni di ragazze e di ragazzi provenienti da tutto il mondo, per raccontare questa parte della nostra storia. Il negazionismo ha accompagnato, è stato detto, la storia del secondo dopoguerra, ha assunto le forme insidiose più diverse, dal silenzio complice alla negazione dei fatti. Il Museo di Roma, allora, sarà importante anche come presidio di memoria autorevole e vigile nel futuro. È sempre stato importante, ma oggi lo è ancora di più, perché viviamo e vivremo in un tempo nuovo, sempre di più nell'era dell'informazione digitale e, nel tempo della globalizzazione, miliardi di persone comunicano tra loro e si informano attraverso canali di proprietà di pochissimi gruppi e persone che, a livello globale, dominano questa dimensione del futuro, e come sappiamo questo è un problema enorme in tutti i campi, ma anche sul tema della memoria.
È stato detto, Presidente: la verità è in crisi e, oggi, è in crisi non solo per la presenza di falsità, ma spesso per la fragilità e l'incertezza delle fonti e la concentrazione assurda della proprietà delle reti, che condiziona la distribuzione delle notizie.
Ho concluso. Il museo di Roma, allora, dovrà essere fonte scientifica, preziosa e autorevole per tutto il mondo, a tutela della storia. Annuncio ovviamente il “sì” convinto favorevole del gruppo del PD a questo disegno di legge, che cambierà l'approccio italiano al tema della Shoah. Oggi, lo ripeto, è una giornata importante. Se ci potessero ascoltare in questo momento tutti coloro che, in queste ore di 80 anni fa, stavano salendo su quei camion e quei vagoni piombati, potremmo dire loro: noi siamo qui, i vostri carnefici hanno perso, il Parlamento della Repubblica di un'Italia libera e democratica non vi ha dimenticato e vi giuriamo che non vi dimenticherà mai .